leggende orientali – L’OCA PAZZA E LA TIGRE DELLA FORESTA

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Leggenda dalla Cina

Tradotta da Dario55

L’Oca pazza e la Tigre della foresta

Hu-lin era una ragazzina schiava. Era stata venduta dal padre quando era poco più di una bambina e aveva vissuto per cinque anni con un gran numero di altri bambini in una miserevole casa galleggiante. Il suo crudele padrone la trattava con molta cattiveria. La faceva uscire per strada con le altre ragazzine che aveva comprato costringendole a mendicare per sopravvivere. Questo genere di vita era particolarmente duro per Hu-lin. Lei desiderava giocare nei campi, dove gli enormi aquiloni fluttuavano nell’aria come uccelli giganteschi. Le piaceva osservare i corvi e le gazze che volavano di qua e di là. Si divertiva moltissimo vederli costruire i loro nidi di bastoncini sui pioppi alti e slanciati. Ma se mai il suo padrone la sorprendeva mentre sciupava il tempo in questo modo, la picchiava con rabbia e cattiveria e non le dava niente da mangiare per tutto il giorno. Infatti era tanto malvagio e crudele che tutti i bambini lo chiamavano Cuore Nero.
Un mattino in cui Hu-lin si sentiva più triste che mai per il modo in cui era trattata, decise di scappare, ma, ahimè!, non si era allontanata neppure di cento metri dalla casa galleggiante, quando vide Cuore Nero che la inseguiva. La catturò, la rimproverò in modo terribile e le diede tante di quelle botte da farla cadere svenuta.
Per molte ore giacque a terra senza muovere un muscolo, gemendo come se il suo cuore si stesse spezzando. “Ah! Se solo qualcuno mi salvasse”, pensava, “lo amerei per il resto dei miei giorni!”
Ora, in una capanna diroccata non lontana dal fiume viveva un vecchio. La sua unica compagnia era un’oca che di notte faceva la guardia al cancello ed emetteva alti strilli, se un estraneo si azzardava ad aggirarsi vicino alla casa. Hu-lin e quest’oca erano molto amici, e la piccola schiava si fermava spesso a chiacchierare con quel saggio uccello quando le capitava di passare accanto alla capanna del vecchio. In questo modo era venuta a sapere che il padrone dell’uccello era un povero che teneva un bel po’ di denaro nascosto nell’orto. Ch’ang, l’oca, aveva un collo insolitamente lungo che riusciva a ficcare nella maggior parte degli affari del suo padrone. Non avendo familiari con cui parlare, raccontò a Hu-lin tutto quello che sapeva.
Proprio quella mattina in cui Cuore Nero aveva picchiato Hu-lin per punirla del suo tentativo di fuga, Ch’ang fece una scoperta sorprendente. Il suo padrone in realtà non era un vecchio miserabile, ma un giovane travestito da vecchio. All’alba Ch’ang, sentendosi affamata, era sgattaiolata nella casa per vedere se fosse rimasta qualche briciola dalla cena della sera precedente. La porta della camera da letto quella notte era spalancata, e sul letto dormiva profondamente un giovane, anziché il vecchio canuto che l’oca considerava suo padrone. Poi, proprio davanti ai suoi occhi, il giovane si tramutò improvvisamente nella forma originale e fu di nuovo un vecchio.
In preda all’eccitazione, completamente dimentica del suo stomaco vuoto, l’oca corse terrorizzata in cortile per pensare a quel mistero, ma quanto più a lungo si arrovellava, tanto più strana le sembrava tutta la faccenda. Poi pensò a Hu-lin e decise di andare da lei per chiedere la sua opinione. Provava una grande stima per la saggezza della piccola schiava ed era certa che avrebbe capito perfettamente cosa era accaduto.
Ch’ang andò fino al cancello. Come al solito era chiuso, e non c’era altro da fare che attendere che il padrone si alzasse. Due ore dopo la poveretta camminava avanti e indietro nel cortile. Il padrone sembrava di buonumore e diede da mangiare a Ch’ang più del solito. Dopo la sua fumata mattutina sulla strada di fronte alla casa, se ne andò a passeggio lasciando socchiuso il cancello sul davanti.
Questo era proprio ciò che l’oca stava aspettando. Sgattaiolando in silenzio in strada, si diresse verso il fiume dove poteva vedere le case galleggianti in fila sulla banchina. Sulla sabbia vicino a loro stava distesa una forma conosciuta.
«Hu-lin», chiamò avvicinandosi, «svegliati, ho una cosa da raccontarti».
«Non sto dormendo», rispose lei, rivolgendo verso la sua amica il viso rigato di lacrime.
«Cosa succede? Stai di nuovo piangendo. Il vecchio Cuore Nero ti ha picchiata?»
«Zitta! Sta schiacciando un pisolino sulla barca. Non farti sentire».
«Se anche mi sentisse, non udrebbe altro che il verso di un’oca», ribatté sorridendo Ch’ang. «Comunque credo che sia sempre meglio essere sicuri, quindi ti racconterò sottovoce quello che ho visto».
Avvicinandole il becco all’orecchio, raccontò a Hu-lin della sua recente scoperta e alla fine le chiese che ne pensasse.
La bambina, udendo quella storia fantastica, dimenticò i suoi guai.
«Sei proprio sicura che non si trattasse di un amico di quel pover’uomo che passava la notte da lui?» chiese seria.
«Ma sì, perfettamente sicura: lui non ha amici», rispose l’oca. «Inoltre ero in casa poco prima che chiudesse tutto per la notte e non ho visto neppure l’ombra di altre persone».
«Allora deve trattarsi di un mago travestito!» disse giudiziosamente Hu-lin.
«Un mago! E cosa sarebbe?» chiese Ch’ang sempre più eccitata.
«Ma come, cara la mia oca, non sai cos’è un mago?»
E Hu-lin rise di gusto. In quel momento aveva dimenticato i suoi guai e si stava divertendo sempre più per quando aveva udito.
«Ascoltami bene», disse a voce bassa parlando molto lentamente, «un mago è…» e a questo punto la sua voce diventò un sussurro.
Durante la spiegazione l’oca faceva ampi cenni con la testa e, quando fu terminata, restò per un po’ senza parole per la meraviglia.
«Ebbene», disse infine, «se il mio padrone è questo genere di uomo, credo che tu possa sgattaiolare via in silenzio e venire con me, perché se un mago è quello che dici, potrà salvare te dai tuoi guai e rendermi felice per il resto dei miei giorni».

– Avvicinandole il becco all’orecchio, raccontò a Hu-lin della sua recente scoperta –

«Non so se ne ho il coraggio», rispose lei guardando timorosa verso la casa galleggiante, dal cui sportello aperto proveniva un sonoro russare.
«Ma sì, ma sì, capisco!» la incoraggiò dolcemente Ch’ang. «Con tutte le botte che ti ha dato è chiaro che ha paura che tu scappi a gambe levate».
E così si affrettarono fino alla capanna del povero. Il cuore di Hu-lin batteva veloce mentre lei cercava di decidere cosa avrebbe detto quando si fosse trovata di fronte al mago. Il cancello era ancora parzialmente aperto e i due amici si fecero coraggio ed entrarono.
«Seguimi», disse . «Dev’essere sul retro a lavorare nell’orto».
Ma quando raggiunsero l’orto, non c’era nessuno in vista.
«Questo è molto strano», sussurrò l’oca. «Non riesco a capire: non l’ho mai visto stancarsi di lavorare così in fretta. Sono sicura che non è andato a riposare».
Guidata dalla sua amica, Hu-lin entrò in casa in punta di piedi. La porta della povera camera da letto era spalancata, e le due videro che non c’era nessuno, né lì, né nelle altre stanze della capanna.
«Vieni! Andiamo a vedere in che razza di letto dorme», disse Hu-lin, piena di curiosità. «Non sono mai entrata nella camera di un mago. Dev’essere molto diversa dalle camere dell’altra gente».
«Ma no! Solo un semplice letto di mattoni come tutto il resto», replicò Ch’ang mentre oltrepassavano la soglia.
«Non accende il fuoco quando fa freddo?» chiese Hu-lin, chinandosi a esaminare il piccolo focolare nei mattoni.
«O sì, accende il fuoco tutte le sere, perfino in primavera quando l’altra gente smette di accenderlo; il suo letto di mattoni è sempre al caldo».
«Bè, questo è abbastanza strano per un povero, non ti pare?» disse la ragazzina. «Costa di più mantenere un fuoco acceso che nutrire una persona».
«È vero», convenne Ch’ang, agitando le penne. «Non ci avevo mai pensato. È strano, davvero strano. Hu-lin, sei una bambina molto intelligente. Dove hai imparato tante cose?»
In quell’istante l’oca impallidì udendo il rumore del cancello che sbatteva e del catenaccio che si chiudeva.
«Poveri noi! E adesso cosa facciamo?» domandò Hu-lin. «Cosa gli diremo, se ci sorprenderà qui?»
«Chi lo sa», rispose tremando l’oca, «ma una cosa è certa, mia cara piccola amica: siamo prigioniere, perché non possiamo andarcene di qui senza essere viste».
«Sì, e io mi sono già presa una bella battuta oggi! Talmente dura che non credo che riuscirei a sopravvivere a un’altra», sospirò la bambina, mentre cominciavano a spuntarle le lacrime.
«Su, coraggio, piccola, non aver paura! Nascondiamoci in quell’angolo buio sotto le ceste», suggerì l’oca, non appena si udirono i passi del padrone che si avvicinavano.
Subito le due amiche tremanti si rannicchiarono sul pavimento, cercando di nascondersi. Per loro sollievo, tuttavia, il povero non entrò nella camera da letto, e poco dopo lo udirono lavorare duramente nell’orto. Per tutto il giorno rimasero nel loro nascondiglio, timorose di farsi vedere fuori dalla porta.
«Non riesco a immaginare cosa direbbe, se scoprisse che la sua oca da guardia ha portato un’estranea in casa», disse Ch’ang.
«Forse penserebbe che stiamo cercando di rubare il danaro che ha nascosto», rispose Hu-lin sorridendo, perché da quando aveva cominciato ad abituarsi al suo angolino, si sentiva meno spaventata. E in ogni caso credeva che avrebbe avuto molta più paura del povero. “Inoltre”, pensava, “non può certamente essere più cattivo di Cuore Nero”.
E così la giornata trascorse e scese l’oscurità. Durante tutto quel tempo la ragazzina e l’oca si addormentarono in un angolo della povera stanza e non seppero più nulla di quanto stava accadendo.
Quando le prime luci del nuovo giorno colpirono il povero letto filtrando attraverso la tenda di carta alla finestra, Hu-lin si destò con un sussulto e sulle prime non riuscì a capire dove si trovasse. Ch’ang stava fissando a occhi spalancati e sembrava domandarsi: “Che significa tutto ciò? È più di quanto il mio cervello da oca possa pensare”.
Infatti sul letto, invece del povero, stava disteso un giovane i cui capelli erano neri come le ali di un corvo. Un lieve sorriso gli illuminava il bel volto, come se stesse facendo un sogno meraviglioso. Un grido di meraviglia sfuggì dalle labbra di Hu-lin prima che potesse trattenerlo. Gli occhi dell’uomo addormentato si aprirono immediatamente e si fissarono su di lei. La ragazzina era così terrorizzata da non riuscire a muoversi, e l’oca fu scossa da un tremito violento quando vide come era cambiato il suo padrone.
Il giovane era ancora più meravigliato dei suoi ospiti e per un po’ non riuscì a parlare.
«Cosa devo pensare?» chiese infine guardando Ch’ang. «Che ci fai tu nella mia camera da letto e chi è questa bambina dall’aria tanto spaventata?»
«Perdonami, gentile signore, ma che ne hai fatto del mio padrone?» chiese l’oca rispondendo a una domanda con un’altra domanda.
«Non sono forse io il tuo padrone, sciocca creatura?» disse ridendo l’uomo. «Stamattina se più stupida che mai».
«Il mio padrone era vecchio e brutto, tu invece sei ancora giovane e bello», rispose Ch’ang in tono di adulazione.
«Come!» esclamò l’altro, «dici che sono ancora giovane?»
«Sì, perché? Domanda a Hu-lin, se non mi credi».
L’uomo si rivolse alla ragazzina.
«È proprio così, signore», disse lei in risposta al suo sguardo. «Non ho mai visto un uomo più bello».
«Finalmente, finalmente!» esclamò lui ridendo di gioia «Sono libero, libero da tutti i miei guai, ma non riesco proprio a capire come sia successo!»
Per qualche minuto meditò profondamente, schioccando le lunghe dita, come se stesse tentando di risolvere un problema difficile. Infine un sorriso gli illuminò il viso.
«Ch’ang», chiese, «come hai chiamato la tua ospite quando l’hai nominata qualche minuto fa?»
«Sono Hu-lin», disse con semplicità la bambina, «Hu-lin, la piccola schiava».
L’uomo batté le mani.
«Esatto! Proprio così!» esclamò. «Adesso vedo tutto chiaro come il sole». Poi, accorgendosi dello stupore sul suo viso: «È a te che devo la mia libertà da un incantesimo malvagio e, se ti fa piacere, ti racconterò la storia delle mie disgrazie».
«Sì per favore», rispose lei eccitata. «Ho detto a Ch’ang che dovevi essere un mago e sono contenta di vedere che avevo ragione».
«Bene, è andata così», cominciò. «Mio padre è un uomo ricco che vive in un paese lontano. Quando ero ragazzo mi concedeva qualunque cosa desiderassi. Ero talmente viziato e abituato ad averle tutte vinte fin dalla più tenera età, che alla fine cominciai a pensare che al mondo non ci fosse nulla che non potessi avere semplicemente chiedendolo e nulla che non potessi fare se lo volevo.
«Il mio precettore mi rimproverava spesso per queste convinzioni. Mi diceva che c’è un proverbio: “Gli uomini muoiono per procurarsi guadagni, gli uccelli muoiono per procurarsi il cibo”. Pensava che uomini così sono decisamente pazzi. Diceva che il danaro era un grande passo in avanti nella ricerca della felicità, ma concludeva sempre dicendo che gli dei sono molto più potenti dell’uomo. Mi esortava a stare sempre attento per non far infuriare gli spiriti maligni. A volte gli ridevo in faccia dicendogli che ero ricco e quindi potevo comprarmi i favori di dei e spiriti. Quel brav’uomo scuoteva la testa e diceva: “Attento, ragazzo mio, o ti pentirai amaramente di questi discorsi temerari”.
«Un giorno, dopo aver fatto una lunga lettura su questo argomento, stavamo passeggiando nel giardino della residenza di mio padre. Ero ancora più audace del solito e gli dissi che non me ne importava niente delle regole che gli altri rispettavano. “Tu dici”, cominciai “che questo pozzo nel giardino di mio padre è governato da uno spirito e che se lo facessi arrabbiare saltando sul suo pozzo, s’infurierebbe e mi punirebbe”. “Sì”, disse lui, “è esattamente quello che ho detto, e te lo ripeto. Attento, ragazzo, attento a vantarti troppo e a infrangere la legge”. “Cosa posso temere da uno spirito che vive nelle terre di mio padre?” risposi con un sogghigno. “Non credo che ci sia uno spirito in questo pozzo. E se c’è, è solo un altro degli schiavi di mio padre”.
«Così dicendo e prima che il mio precettore potesse fermarmi, oltrepassai con un salto l’imboccatura del pozzo. Avevo appena toccato terra che sentii il mio corpo contrarsi in modo strano. In un batter d’occhio le forze mi abbandonarono, le ossa si accorciarono, la mia pelle divenne gialla e rugosa. Mi guardai il codino e mi accorsi che i capelli erano diventati improvvisamente bianchi e fragili. In qualche modo mi ero trasformato in un vecchio dalla testa ai piedi.
«Il mio precettore mi fissava sbalordito e, quando gli chiesi che significasse tutto ciò, la mia voce era stridente come quella di un bambino. “Ahimè, mio amato allievo”, rispose, “ora crederai a quello che ti ho detto. Lo spirito del pozzo si è infuriato per la tua cattiva condotta e ti ha punito. Ti ho detto centinaia di volte che è un male saltare oltre un pozzo, e ora ti rendi conto che è vero”, “Ma non c’è niente che io possa fare?”, gridai, “non c’è modo di tornare alla mia giovinezza perduta?” Mi guardò con tristezza e scosse la testa.
«Quando mio padre venne a sapere del mio triste stato, ne fu terribilmente turbato. Fece ogni cosa in suo potere per trovare il modo di farmi tornare giovane. Bruciò incenso in decine di templi e offrì preghiere a molti dei. Ero il suo unico figlio e non poteva vivere felice senza di me. Infine, quando era stato tentato praticamente tutto, il mio ottimo precettore pensò di chiedere consiglio a un indovino che era diventato celebre in città. Dopo essersi informato su tutte le circostanze che avevano causato la mia poco invidiabile condizione, il sapiente disse che lo spirito del pozzo per punizione mi aveva tramutato in un vecchio miserabile. Disse che avrei potuto ricuperare il mio stato naturale solo mentre dormivo e solo se nello stesso tempo qualcuno entrato nella mia camera avesse gettato lo sguardo sul mio viso».
«Ti ho visto ieri mattina», esclamò l’oca. «Eri giovane e bello, poi davanti ai miei occhi ti sei nuovamente trasformato in un vecchio!»
«Per continuare nel mio racconto», disse il giovane, «alla fine l’indovino dichiarò che avevo una sola possibilità di tornare come prima, ed era una possibilità piccolissima. Se un giorno, mentre mi trovavo nella mia vera forma, cioè come mi vedete ora, fosse arrivata un’oca pazza portando con sé una tigre della foresta liberata dalla schiavitù, l’incantesimo sarebbe stato spezzato, e lo spirito maligno non avrebbe avuto più potere su di me. Quando la risposta dell’indovino fu riferita a mio padre, la speranza lo abbandonò, perché nessuno fu in grado di capire un enigma così privo di senso.
«Quella sera stessa abbandonai la mia città natale, deciso a non funestare oltre la mia gente continuando a vivere con loro. Arrivai qui, acquistai questa casa con quel po’ di danaro che mio padre mi aveva dato e da allora cominciai a vivere come un povero. Niente poteva soddisfare la mia brama di danaro. Tutto doveva essere trasformato in denaro contante. Per cinque anni ho messo da parte soldi e, nello stesso tempo, ho affamato me stesso, corpo e anima.
«Poco dopo il mio arrivo qui, ricordando l’enigma dell’indovino, decisi di prendere un’oca anziché un cane per fare la guardia alla casa. In questo modo cominciai a fare in modo che si avverasse la profezia dell’indovino».
«Ma io non sono un’oca pazza», sibilò indignata l’oca. «Se non fosse stato per me, saresti ancora un povero vecchio rugoso».
«Giusto, cara Ch’ang, giusto», disse il giovane in tono accondiscendente, «non eri pazza, ma ti ho chiamata Ch’ang, che significa pazzo, e così ho fatto di te un’oca pazza».
«Capito!», dissero Hu-lin e Ch’ang a una voce. «Geniale!»
«Quindi, come vedi, una parte del modo per rompere l’incantesimo è stata sempre qui nel mio cortile; ma per quanto ci pensassi e ripensassi, non riuscivo a immaginare come Ch’ang potesse portare una tigre della foresta nella mia stanza mentre stavo dormendo. La cosa sembrava assurda e ben presto rinunciai a pensarci. Oggi la cosa si è avverata per puro caso».
«Io sarei una tigre della foresta?» rise Hu-lin.
«Si, mia cara bambina, lo sei, una piccola graziosa tigre della foresta, perché Hu significa tigre, e lin in cinese sta per piantagione di alberi. E inoltre mi hai detto che eri una schiava, quindi Ch’ang ti ha liberato dalla schiavitù».
«Oh, sono tanto contenta!» esclamò Hu-lin, dimenticandosi della sua misera condizione. «Tanto contenta che tu non debba più essere un povero brutto vecchio».
In quel preciso istante si udì un bussare violento provenire dal cancello sul davanti.
«Chi si permette di bussare così?» domandò meravigliato il giovane.
«Povera me! Dev’essere Cuore Nero, il mio padrone!», disse Hu-lin mettendosi a piangere.
«Non aver paura», disse il giovane, stringendo teneramente la testa della bambina. «Tu mi hai salvato, e stai certa che anch’io farò qualcosa per te. Se questo “signor” Cuore Nero non accetterà la mia offerta, avrà anche un occhio nero in ricordo della sua visita».
Non ci volle molto al giovane per comprare la libertà di Hu-lin, soprattutto quando offrì al suo padrone molto più di quello che si sarebbe aspettato di guadagnare vendendola quando avesse avuto quattordici o quindici anni.
Quando Hu-lin seppe della compravendita, impazzì di gioia. S’inchinò profondamente di fronte al suo nuovo padrone, poi stando in ginocchio toccò nove volte il suolo con la fronte. Rialzandosi esclamò:
«Oh, come sono felice, perché adesso sarò tua per sempre e la buona vecchia Ch’ang sarà la mia compagna di giochi».
«Certo», la rassicurò lui, «e quando sarai un po’ più grande, ti farò diventare mia moglie. Per ora andrai nella casa di mio padre e diventerai la mia piccola fidanzata».
«E non dovrò più andare per la strada a mendicare qualche briciola?» gli domandò con gli occhi pieni di stupore.
«No! Mai più!» rispose lui sorridendo. «E non dovrai mai più aver paura che qualcuno ti picchi».
FINE


NOTE
Testo originale in:
http://zeluna.net/chinese-fairytales-themadgooseandthetigerforest.html

Ultimo aggiornamento: Agosto 2017

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