Leggende Orientali – LO SPIRITO DEL POZZO DELLE VIOLETTE
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
LO SPIRITO DEL POZZO DELLE VIOLETTE
Nella selvaggia provincia di Yamato, o molto vicino ai suoi confini, c’è una bella montagna chiamata Yoshino yama. Non è solo conosciuta per la grande quantità di ciliegi in primavera, ma è anche famosa per più di una battaglia sanguinosa. In effetti Yoshino può essere definita il teatro di storiche battaglie. Molti, quando si trovano a Yoshino, dicono: «Stiamo passeggiando sulla storia, perché Yoshino stessa è storia». Nei pressi della montagna di Yoshino ne sorge un’altra, chiamata Tsubosaka, e tra le due c’è la valle di Shimizutani, in cui si trova il Pozzo delle Violette
Quando si avvicina la primavera in questa tani (1) l’erba diventa di un perfetto verde smeraldo, mentre il muschio cresce lussureggiante su rocce e massi. Verso la fine di aprile grandi chiazze di violette selvatiche d’intenso colore viola compaiono nelle zone più basse della valle, mentre sulle pendici azalee rosa e scarlatte crescono in modo che supera ogni descrizione.
Molti anni fa una bella ragazza di diciassette anni di nome Shingé stava andando verso Shimizutani in compagnia di quattro cameriere. Erano tutte uscite per un picnic e tutte, naturalmente, stavano andando in cerca di fiori selvatici. O Shingé San era la figlia di un daimio che viveva nei dintorni. Ogni anno aveva l’abitudine di fare questo picnic e di recarsi a Shimizutani alla fine di aprile per andare in cerca del suo fiore preferito, la violetta (sumire).
Le cinque ragazze, portando cestini di bambù, raccoglievano fiori con entusiasmo, provando in questa occupazione un piacere che possono provare solo le ragazze giapponesi. Gareggiavano tra loro per avere il cestino pieno più bello. Dato che non c’erano tante violette quante se ne aspettavano, O Shingé San disse:
«Andiamo fino all’estremità settentrionale della valle, dove c’è il Pozzo delle Violette».
Naturalmente le ragazze furono d’accordo e si misero a correre, desiderosa ciascuna di arrivare là per prima, ridendo non appena ci arrivava.
O Shingé corse più veloce delle altre e arrivò prima di tutte, e vedendo un grosso fascio dei suoi fiori preferiti, del più bel viola e dal profumo dolcissimo, si gettò giù, ansiosa di raccoglierle prima che arrivassero le altre. Non appena distese la mano delicata per afferrarle… orrore!… un grande serpente di montagna alzò la testa dal suo rifugio in ombra. O Shingé San fu talmente terrorizzata che svenne sul prato.
Intanto le altre ragazze avevano continuato la gara di corsa pensando che a loro faceva piacere se la padrona arrivava prima. Quindi raccolsero ciò che più le attraeva, diedero la caccia alle farfalle e arrivarono quindici minuti dopo che O Shingé San era svenuta.
Vedendola distesa in quel modo sull’erba, furono prese da un grande timore che fosse morta e la loro agitazione aumentò quando videro un grande serpente verde attorcigliato vicino alla sua testa.
Gridarono, come fanno molte ragazze quando si trovano in simili circostanze, ma una di loro, Matsu, che non aveva perso la testa come le altre, gettò il suo cestino di fiori contro il serpente che, non apprezzando quel bombardamento, si srotolò e strisciò via nella speranza di trovare un luogo più tranquillo. Poi tutte le quattro ragazze si piegarono sulla padrona. Le frizionarono le mani, le spruzzarono acqua sul viso, ma senza risultato. La bella carnagione di O Shingé diventava sempre più pallida, mentre le sue labbra rosse assumevano il colore violaceo segno dell’avvicinarsi della morte. Le ragazze erano disperate. Le lacrime scendevano sulle loro guance. Non sapevano cosa fare, perché non erano in grado di trasportarla. Che tremenda situazione!
Proprio in quel momento udirono la voce di un uomo a poca distanza dietro di loro:
«Non siate così tristi! Posso far tornare in sé questa giovane, se me lo permettete».
Si girarono e videro un giovane straordinariamente bello in piedi sull’erba a meno di tre metri da loro. Aveva l’aspetto di un angelo del cielo.
Senza aggiungere altro il giovane si avvicinò alla figura distesa di O Shingé e, prendendole la mano nella sua, le tastò il polso. Nessuna delle cameriere osò interferire con questa mancanza di etichetta. Non aveva chiesto il permesso, ma i suoi modi erano così garbati e accattivanti, che non potevano dire nulla.
Lo straniero esaminò con cura O Shingé, rimanendo in silenzio. Quando ebbe finito, tolse dalla tasca un piccolo astuccio di medicine e, versando un po’ di polvere bianca in un pezzo di carta, disse:
«Sono un dottore del villaggio vicino e sono appena stato a visitare un paziente all’estremità della valle. Per fortuna sono ritornato per questa strada e sono in grado di aiutarvi e di salvare la vita della vostra padrona. Datele questa medicina, mentre io cerco e uccido quel serpente».
O Matsu San spinse a forza la medicina insieme con un po’ d’acqua nella bocca della padrona, e dopo pochi minuti questa cominciò a riprendersi.
Poco dopo tornò il dottore, trasportando il serpente morto su un bastone.
«È questo il serpente che avete visto arrotolato vicino alla vostra padrona?» chiese.
«Sì, sì!» esclamarono. «È quella cosa orribile!»
«Allora», disse il dottore, «È una fortuna che sia arrivato, perché è molto velenoso, e temo che la vostra padrona sarebbe presto morta, se non fossi arrivato e non le avessi dato la medicina. Ah! Vedo che sta già facendo bene a questa bella giovane».
Udendo la voce del giovane, O Shingé San si alzò a sedere.
«Per favore, signore, posso chiederti con chi sono in debito per avermi riportato così alla vita?», domandò.
Il dottore non rispose, ma si limitò a sorridere con compiacimento e risolutezza e a inchinarsi profondamente e con rispetto secondo la moda giapponese, poi se ne andò in silenzio e con la stessa modestia con cui era arrivato, scomparendo nella nebbia sonnacchiosa che sempre appare nei pomeriggi di primavera nella valle di Shimizu.
Le quattro ragazze aiutarono la padrona a tornare a casa, ma non le serviva molto aiuto, perché la medicina le aveva fatto molto bene e lei si sentiva abbastanza ristabilita. Il padre e la madre di O Shingé furono molto riconoscenti per la guarigione della figlia, ma il nome del bel giovane restava un mistero per tutti, tranne che per la cameriera Matsu.
Per quattro giorni O Shingé si sentì abbastanza bene, ma il quinto giorno, per un motivo o per l’altro, si mise a letto dicendo di essere ammalata. Non riusciva a dormire e non voleva parlare, ma solo pensare, pensare e ancora pensare. Né il padre né la madre furono in grado di capire di che malattia si trattava. Non c’era febbre.
Furono chiamati dottori uno dopo l’altro, ma nessuno di loro riuscì a dire di cosa si trattava. Tutti vedevano che ogni giorno diventava sempre più debole. Asano Zembei, padre di Shingé, era disperato, e così lo era sua moglie. Avevano provato di tutto e non erano riusciti a procurare il minimo giovamento alla povera O Shingé.
Un giorno O Matsu San chiese un colloquio con Asano Zembei che era insieme il capofamiglia, un daimyo e un grande nobile. Zembei non aveva l’abitudine di ascoltare le opinioni delle cameriere, ma sapendo che O Matsu era fedele alla sua padrona e la amava quanto se stessa, acconsentì ad ascoltarla, e O Matsu fu accompagnata alla sua presenza.
«Padrone mio», disse la cameriera, «se mi permetti di trovare un dottore per la mia giovane padrona, ti prometto che ne troverò uno che la curerà».
«In che luogo sulla terra troverai un simile dottore? Non sono forse venuti qui i migliori dottori da tutta la provincia e alcuni addirittura dalla capitale? Dove altro pensi di cercarne uno?»
O Matsu rispose:
«Padrone mio, la mia padrona non sta soffrendo di una malattia che si può curare con le medicine, nemmeno se le vengono somministrate a litri. E nemmeno ci sono dottori così esperti. Ma ce n’è uno che certamente potrebbe curarla. La malattia della mia padrona viene dal cuore. Il dottore che conosco può curarla. È per amore di lui che il suo cuore soffre e ha sofferto dal giorno in cui lui le ha salvato la vita dal morso del serpente».
Poi O Matsu raccontò i particolari dell’avventura durante il picnic che non aveva mai raccontato prima, perché O Shingé aveva chiesto alle cameriere di parlarne il meno possibile, nel timore che non avrebbero più avuto il permesso di andare alla valle del Pozzo delle Violette.
«Come si chiama questo dottore?» chiese Asano Zembei, «e dove si trova?»
«Signore», rispose O Matsu, «è il dottor Yoshisawa, un bellissimo giovane dai modi molto cortesi, ma è di bassi natali, essendo solo un eta (2). Ti prego, signore, pensa al cuore in fiamme della mia giovane padrona, pieno di amore per l’uomo che le ha salvato la vita, e non meravigliartene, poiché lui è molto bello e ha i modi di un prode samurai. L’unica cura per tua figlia, signore, è permetterle di sposare colui che ama».
La madre di O Shingé diventò molto triste quando udì questo. Conosceva bene (forse per esperienza) le malattie provocate dall’amore. Pianse e disse a Zembei:
«Anch’io soffro molto, mio signore, per il tremendo problema che è piombato su di noi, ma non posso vedere mia figlia morire così. Diciamole che faremo delle indagini sull’uomo che ama e che vedremo se possiamo farlo diventare nostro genero. In ogni caso è consuetudine fare indagini approfondite che si protraggono diversi giorni, e nel frattempo nostra figlia potrà riprendersi un po’ e ricuperare abbastanza energie per ascoltare la notizia che non possiamo accettare quello che ama come nostro genero».
Zembei fu d’accordo, e O Matsu promise di non far parola alla padrona del colloquio.
A O Shingé San fu detto dalla madre che il padre, benché non avesse acconsentito al fidanzamento, aveva promesso di svolgere indagini su Yoshisawa.
A quella notizia O Shingé cominciò a mangiare e riprese molte forze, e quando fu forte abbastanza, una decina di giorni dopo, fu convocata alla presenza del padre, accompagnata dalla madre.
«Mia dolce figlia», disse Zembei, «ho svolto indagini accurate sul dottor Yoshisawa, il tuo innamorato. Per quanto profondamente mi addolori dirtelo, è impossibile che io, tuo padre, capo dell’intera nostra famiglia, possa acconsentire al tuo matrimonio con un uomo di estrazione così bassa come Yoshisawa che, malgrado la sua bontà, è nato nella classe degli eta. Non voglio più sentir parlare di questo. Un simile contratto sarebbe impossibile per la famiglia Asano».
Nessuno osò replicare neppure una parola. In Giappone la decisione del capofamiglia è definitiva.
La povera O Shingé s’inchinò al padre e ritornò nella sua stanza dove pianse amaramente, mentre O Matsu, la fedele cameriera, faceva del suo meglio per consolarla.
Il mattino dopo, tra lo stupore della gente di casa, non si riuscì a trovare O Shingé San da nessuna parte. Si fecero ricerche ovunque, a cui si unì anche il dottor Yoshisawa.
Il terzo giorno dopo la scomparsa uno di quelli impegnati nelle ricerche guardò giù nel Pozzo delle Violette e vide galleggiare il corpo della povera O Shingé.
Due giorni dopo fu sepolta, e quello stesso giorno anche Yoshisawa si gettò nel pozzo.
La gente dice che ancor oggi, nelle notti umide e tempestose, si vede lo spirito di O Shingé San volare sul pozzo, mentre alcuni affermano che si ode un giovane piangere nella valle di Shimizu.
FINE
NOTE
1 – Piccola valle
2 – Gli eta erano la casta più bassa in Giappone, conciapelli e uccisori di animali.
Testo originale e illustrazioni in: http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj05.htm