leggende orientali – L’ISOLA DESERTA
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
L’ISOLA DESERTA
Molti anni or sono il signore di Kishu, capo di una delle tre famiglie del Tokugawa, ordinò alla sua gente di tenere una battuta di caccia sull’isola di Tomagashima (isola di Toma). In quei giorni battute di caccia come queste erano organizzate spesso, più allo scopo di migliorare l’addestramento e l’organizzazione che per fare sport. Era un’attività che raccoglieva insieme gli uomini e insegnava loro il modo di comportarsi sia in mare che in terra. Faceva sì che riconoscessero i loro comandanti e superiori e permetteva di capire quali uomini erano degni di diventarlo. Partite di caccia di questo genere erano considerate alla stregua di manovre militari.
In quella specifica caccia o manovra di cui abbiamo detto il signore di Kishu aveva intenzione di fare una specie di sbarco via mare sull’isola di Toma e di uccidere tutto ciò che riuscivano a colpire.
Navi e giunche furono armate come per la guerra, e così pure gli uomini, tranne quelli che non indossavano armatura.
La giornata era bella. Una sessantina di imbarcazioni prese il mare e sbarcò sull’isola di Toma circa ottocento uomini, che s’impegnarono per tutta la mattina nella caccia di cinghiali e cervi.
Ma verso il pomeriggio una tempesta di eccezionale violenza si abbatté sull’isola e interruppe l’attività sportiva. Agli uomini fu ordinato di tornare alla spiaggia e di risalire sulle imbarcazioni prima che fossero fracassate sulla riva.
Una volta imbarcati si spinsero in mare aperto con l’intenzione di raggiungere la terraferma. Sulla spiaggia gli alberi venivano sradicati, colonne di sabbia volavano alte nell’aria, mentre la tempesta si faceva sempre più terribile; ma se sulla spiaggia succedeva tutto questo, in mare le cose andavano molto peggio. Le navi e le giunche del signore di Kishu erano lanciate qua e là come se fossero foglie che galleggiavano.
Tra gli uomini ce n’era uno noto a tutti per il suo coraggio, Makino Heinei, che era stato soprannominato “Ino shishi” (Cinghiale Selvaggio) a motivo della sua temeraria audacia. Vedendo che né le navi né le giunche riuscivano ad avanzare nella tempesta, spinse la scialuppa fuori dalla giunca, vi saltò dentro da solo, prese i remi, rise di tutti e gridò:
«Guardate! Mi pare che abbiate troppa paura per andare avanti. Guardate cosa faccio io e seguitemi. Io non temo le onde e nessuno di voi dovrebbe temere, se volete servire fedelmente il nostro signore di Kishu».
Così dicendo Makino Heinei si lanciò nel mare in burrasca e con uno sforzo straordinario riuscì a portarsi trecento metri davanti al resto della flotta. Poi la tempesta aumentò con tale violenza, che non fu più in grado di fare altro. Nel timore di essere risucchiato fuori dalla barca fu costretto a tenersi stretto all’albero e per il resto ad affidare il suo destino alla buona sorte. In quei momenti perfino il cuore di Cinghiale Selvaggio tremò. Più volte il vento sollevò completamente la barca dall’acqua; le onde torreggiavano su di lui, tanto che chiuse gli occhi e aspettò il suo destino. Infine un turbine più forte degli altri fece sollevare la barca dall’acqua, e dalle altre navi (che stavano all’ancora) lo videro sparire all’orizzonte. Heinei si teneva stretto alla barca. Quando l’albero fu spazzato via, si tenne alle assi. Pregò con fervore e convinzione. Circa otto ore dopo l’inizio della tempesta, Heinei si trovò con quel che restava della barca in acque relativamente più calme. Era ridotta a un relitto, ma galleggiava ancora, e questo era tutto ciò che gli importava in quel momento. Inoltre Heinei si sentiva rianimato, perché tra due nuvole nere poteva vedere un’apertura e alcune stelle, anche se per il momento l’oscurità era completa e la pioggia sferzante continuava a cadere. Improvvisamente, mentre Heinei si stava chiedendo quanto lontano fosse stato trascinato dalla spiaggia e dai suoi amici… crack! sentì la barca urtare su uno scoglio. L’urto fu così violento (dato che la barca era ancora trascinata rapidamente dalla tempesta) che il nostro eroe perse l’equilibrio e fu sbalzato a tre metri di distanza. Essendo caduto sul morbido, Heinei pensò di essere in mare, ma le sue mani si accorsero che si trattava di morbida sabbia bagnata. Felice per questa scoperta, guardò verso le nuvole e il cielo e giunse alla conclusione che entro un’ora sarebbe stato giorno. Intanto ringraziava gli dei per averlo salvato e pregava per i suoi amici e per il suo signore e padrone.
Quando venne mattino, Heinei si alzò irrigidito, sfinito e affamato. Prima che sorgesse il sole, capì di trovarsi su un’isola. Non c’erano altre terre in vista, ed era molto incerto mentre cercava di capire dove si trovasse, dato che da tutte le isole Kishu era facile vedere la terraferma.
«Oh», disse, «questo è un nuovo tipo di albero. Non ne ho mai visti così a Kishu. E i suoi fiori, anche questi sono qualcosa di nuovo, ed ecco qui una farfalla dai colori più vivaci di tutte quelle che conosco».
Immerso in questi discorsi e pensieri, Heinei cominciò a cercare qualcosa da mangiare ed essendo un giapponese, non gli fu difficile soddisfare l’appetito con i molluschi che la tempesta aveva sparso in abbondanza dappertutto.
L’isola su cui Heinei era stato gettato non era molto grande: circa tre chilometri di diametro e una ventina di circonferenza. Al centro c’era una piccola collina che Heinei decise di scalare per vedere se poteva scoprire dalla cima dove si trovava Kishu. Così si avviò. Il sottobosco di arbusti era così esteso che Heinei fece una deviazione verso un’altra insenatura. Gli alberi erano molto differenti da tutti quelli che aveva visto prima, e c’erano molte specie di palme. Alla fine ebbe la soddisfazione di trovare un sentiero ben tracciato che portava verso la cima della collina. Lo imboccò, ma non appena arrivò a un luogo umido lungo la strada, si sentì tutt’altro che tranquillo vedendo delle orme che solo un gigante poteva aver lasciato: erano lunghe almeno trenta centimetri. Un guerriero di Kishu non deve aver paura di nulla ed Heinei, armatosi di un robusto bastone, proseguì il cammino. In prossimità della cima trovò l’imbocco di una grotta abbastanza larga e, per nulla intimorito, entrò pronto ad affrontare qualsiasi cosa Quale non fu la sua sorpresa quando un uomo gigantesco alto non meno di due metri e mezzo gli comparve di fronte pochi metri dopo che era entrato! Era una creatura orribile e dall’aspetto selvaggio, quasi nero, con chiome lunghe e incolte, occhi furiosi e lampeggianti e una bocca che si allargava da un orecchio all’altro mostrando due file di denti scintillanti. Era completamente nudo, ad eccezione di una pelle di gatto selvatico legata ai fianchi.
Non appena vide Heinei si immobilizzò e disse in giapponese:
«Chi sei? Come sei arrivato qui? E che ci sei venuto a fare?»
Makino Heinei rispose alle domande nel modo più esauriente che ritenne opportuno, dicendo il suo nome e aggiungendo:
«Sono un membro del seguito del signore di Kishu e sono stato portato via dalla tempesta dopo che abbiamo fatto una battuta di caccia e le manovre militari sull’isola di Toma».
«E dove sono questi luoghi di cui parli? Sappi che questa isola è sconosciuta al mondo intero e lo è stata per migliaia di anni. Io sono l’unico abitante e intendo rimanerlo. Non importa da dove provengo. Sono qui. Mi chiamo Tomaru, e mio padre era Yamaguchi Shoun, che morì insieme al suo padrone Toyotomi Hidetsugu sul monte Koyasan nel 1563. Entrambi morirono di propria mano, e io sono venuto qui, non importa come, e qui intendo continuare a rimanere indisturbato. Ho udito parlare del tuo signore di Kishu e della famiglia Tokugawa prima di lasciare il Giappone e per questo intendo aiutarti dandoti la mia vecchia barca con cui sono arrivato qui. Vieni alla spiaggia. Ti spingerò nella giusta direzione, e se continuerai a veleggiare verso nordovest, arriverai a Kishu. Ma è un viaggio lungo, molto molto lungo».
Detto questo, si avviò giù in direzione della spiaggia.
«Guarda», disse Tomaru, «la barca è quasi del tutto marcita, perché sono passati molti anni da quando è stata gettata qui, ma con l’aiuto della buona sorte riuscirai a raggiungere Kishu. Aspetta, hai bisogno di un po’ di provviste. Io posso darti solo pesce secco e frutta, ma puoi servirti a tua discrezione. E devo darti un dono per il tuo padrone, il signore di Kishu. È una varietà di alga marina. Potrai averne anche per te. Si tratta della mia grande scoperta su quest’isola. Non importa quanto sia grave la ferita che una spada può procurarti: questa alga fermerà il sangue e la curerà nello stesso tempo. Ora salta sulla barca e vattene. Voglio stare solo. Potrai parlare di questa tua avventura, ma non pronunciare mai il mio nome. Addio!»
A Heinei non restava che fare quello che gli era stato ordinato. E così fece. Remando notte e giorno e con l’aiuto di correnti favorevoli, arrivò alle coste di Kishu il terzo giorno dopo aver lasciato l’isola. La gente fu molto sorpresa nel vederlo vivo, e il signore di Kishu fu felice, specialmente per l’alga che risanava le ferite di spada. La fece coltivare in mare presso una costa a cui cambiò nome chiamandola Nagusa-gori (Distretto della Celebre Alga Marina).
In seguito Makino Heinei fece nuovamente vela verso l’isola col permesso del suo signore per procurarsi una maggiore quantità di alghe. Ritrovò l’isola, ma il gigante era scomparso.
FINE
Testo originale e illustrazione in:
http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj22.htm
Ultimo aggiornamento: Ottobre 2013