Leggende Orientali – LE AVVENTURE DI KINTARO, IL RAGAZZO D’ORO

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Leggenda dal Giappone

Tradotta da Dario55

LE AVVENTURE DI KINTARO, IL RAGAZZO D’ORO

Tantissimo tempo fa viveva a Kyoto un coraggioso soldato di nome Kintoki. Un giorno s’innamorò di una bella ragazza, Yama-uba, e la sposò.
Non molto tempo dopo, a causa della malignità di alcuni dei suoi amici, cadde in disgrazia a corte e fu cacciato via. Questa disgrazia tormentò la sua mente a tal punto che non riuscì a sopravvivere a lungo e morì lasciando dietro di sé la bella e giovane moglie sola di fronte al mondo.
Temendo i nemici del marito, la donna, subito dopo la sua morte, fuggì sui Monti Ashigara e qui, nei boschi solitari dove non passava mai nessuno ad eccezione dei taglialegna, le nacque un bambino.

Kintaro bebè con la madre

Lo chiamò Kintaro, cioè il Ragazzo d’Oro. Ora la cosa più notevole di quel bambino era la sua grande forza, e più cresceva più diventava forte, tanto che quando ebbe otto anni era capace di abbattere gli alberi con la stessa velocità dei boscaioli.
Allora la madre gli donò una grande ascia, e lui se ne servì per andare nel bosco e aiutare i taglialegna, che lo chiamavano “Ragazzo Meraviglia”, mentre chiamavano sua madre “Vecchia Nutrice delle Montagne”, poiché erano ignari del suo alto lignaggio.
Un altro passatempo favorito di Kintaro era quello di frantumare pietre e rocce. Immaginatevi dunque quanto era forte!
Diversamente dagli altri ragazzi, Kintaro crebbe completamente solo tra le montagne selvagge e, dal momento che non aveva compagni, divenne amico di tutti gli animali e imparò a capirli e a parlare il loro insolito linguaggio. Un po’ alla volta riuscì a renderli mansueti: Gli animali consideravano Kintaro il loro padrone, e lui li usava come servitori e messaggeri. Ma quelli che più stimava e di cui maggiormente si fidava erano l’orsa, il cervo, la scimmia e la lepre.
L’orsa spesso portava a Kintaro i propri cuccioli perché giocasse con loro, e quando tornava per riportarli a casa, Kintaro li accompagnava di corsa fino alla caverna dove abitavano.
Amava moltissimo anche il cervo e spesso gli cingeva il collo con le braccia per dimostrargli che non aveva paura delle lunghe corna. Si divertivano davvero molto quando erano insieme.
Un giorno, come sempre, Kintaro andò sulle montagne seguito dall’orsa, dal cervo, dalla scimmia e dalla lepre. Dopo aver camminato un po’ su per le colline e giù per le valli e per sentieri impervi, sbucarono improvvisamente su un prato ampio e rigoglioso coperto di graziosi fiori selvatici.
Era un posto veramente piacevole in cui ci si poteva divertire insieme senza problemi. Il cervo si divertì a sfregare le corna contro un albero. La scimmia si strofinò il dorso, la lepre stirò le sue lunghe orecchie e l’orsa emise un grugnito di soddisfazione.
Kintaro disse: «È il posto giusto per fare un bel gioco. Che ne dite di una gara di lotta?»
L’orsa, che era la più grande e la più anziana, rispose a nome degli altri:
«Sarà molto divertente. Sono l’animale più forte e quindi preparerò il terreno per i lottatori». Ciò detto, si mise all’opera di buona lena per scavare la terra e batterla per darle forma.

Kintaro con i suoi amici animali durante la gara di lotta

«Perfetto» disse Kintaro. «Vi guarderò mentre lotterete fra voi e darò un premio al vincitore di ciascun round».
«Che divertente!» disse l’orsa «Cercheremo tutti di guadagnarci il premio!»
Il cervo, la scimmia e la lepre si misero al lavoro per aiutare l’orsa a erigere la pedana su cui avrebbero lottato. Quando fu pronta, Kintaro gridò:
«Cominciate La scimmia e la lepre apriranno le gare e il cervo sarà l’arbitro. Signor Cervo, lei farà da arbitro!»
«E sia!» rispose il cervo. «Sarò l’arbitro. Ora, signora Scimmia e signora Lepre, se siete pronte, prendete posto sulla pedana».
Allora la scimmia e la lepre, saltarono velocemente e con agilità sulla piattaforma per lottare. Il cervo, nella sua qualità di arbitro, si mise tra loro e chiese:
«Dorso-rosso! Dorso-rosso!» (questo alla scimmia, perché le scimmie in Giappone hanno il dorso rosso) «Sei pronta?»
Poi si rivolse alla lepre:
«Lunghe-orecchie! Lunghe-orecchie! Sei pronta?»
Le due piccole lottatrici si fronteggiarono, e il cervo diede il segnale sollevando in alto una foglia. Quando lasciò cadere la foglia, la scimmia e la lepre si gettarono l’una contro l’altra gridando: «Yoisho, yoisho!»
Mentre lottavano, il cervo gridava per incitarli o le metteva in guardia se la lepre o la scimmia si spingevano vicino al bordo della pedana e rischiavano di cadere al di fuori di essa.
«Dorso-rosso! Dorso-rosso! Non mollare!» gridava il cervo.
«Lunghe-orecchie! Lunghe-orecchie! Resisti! Non farti picchiare dalla scimmia!» grugniva l’orsa.
La scimmia e la lepre, incitate dai loro amici, facevano del loro meglio per colpirsi a vicenda. Alla fine la lepre ebbe la meglio sulla scimmia. Quest’ultima sembrò incespicare, e la lepre le diede una bella spinta e la fece volare fuori della pedana con un diretto.
La povera scimmia si sedette sfregandosi il dorso con una espressione molto imbronciata, tanto che prese a gridare incollerita: «Povera me! Come mi duole la schiena! La schiena mi fa male!»
Vedendo la scimmia a terra in queste condizioni, il cervo sollevò in alto la foglia e disse:
«Questo round è finito! La lepre ha vinto!»
Allora Kintaro aprì il proprio sacchetto della colazione, ne tirò fuori uno gnocchetto di riso e lo diede alla lepre dicendo:
«Ecco il tuo premio, te lo sei guadagnato con onore!»
Allora la scimmia si alzò con lo sguardo storto, perché pensava di non essere stata battuta lealmente. Disse dunque a Kintaro e agli altri che stavano lì intorno:
«Non sono stata battuta lealmente. Le mie zampe sono scivolate e sono ruzzolata. Vi prego, datemi un’altra possibilità e permettete che la lepre combatta con me per un altro round».
Kintaro acconsentì. La lepre e la scimmia ricominciarono a lottare. Ora, come tutti sanno, la scimmia è un animale astuto per natura e quindi decise che questa volta avrebbe avuto la meglio sulla lepre. Pensò che per riuscirci il modo migliore e più sicuro sarebbe stato quello di afferrarsi alle lunghe orecchie della lepre, e ben presto ci riuscì. La lepre non riuscì più a tenere alta la guardia tanto era il dolore nel sentirsi tirare le orecchie con tanta violenza. La scimmia non si lasciò scappare l’occasione, afferrò saldamente una delle zampe della lepre e la mandò a finire a gambe levate in mezzo alla pedana. Questa volta la vincitrice era la scimmia e fu lei a ricevere uno gnocchetto di riso da Kintaro, il che le fece tanto piacere che quasi dimenticò la sua schiena dolorante.
Si fece allora avanti il cervo e chiese alla lepre se si sentiva pronta per un altro round e se desiderava cimentarsi con lui. La lepre accettò, e i due si prepararono a lottare. L’orsa avrebbe fatto da arbitro.
Il cervo con le lunghe corna e la lepre con le lunghe orecchie: sarebbe stato di sicuro uno spettacolo divertente per coloro che avrebbero assistito a questo curioso scontro. A un certo punto, repentinamente il cervo si abbatté su un ginocchio, e l’orsa, sollevando la foglia, lo dichiarò sconfitto. In questo modo, con la vittoria ora dell’uno ora dell’altro, quella piccola compagnia si divertì fino a quando furono tutti stanchi.
Alla fine Kintaro si alzò e disse:
«Basta per oggi. Abbiamo trovato proprio un bel posto per lottare. Torniamoci anche domani. Adesso andiamo a casa, venite!»
Così dicendo Kintaro s’incamminò e gli animali lo seguirono.
Dopo aver percorso un breve tratto, arrivarono sulle rive di un fiume che scorreva attraverso la valle. Kintaro e i suoi quattro amici pelosi si fermarono e cercarono un modo per attraversarlo. Ponti non ce n’erano. Tutti gli animali erano preoccupati e si chiedevano come avrebbero potuto attraversare la corrente e arrivare a casa quella sera.

Kintaro costruisce il ponte

Ma Kintaro disse:
«Aspettate un momento. In pochi minuti costruirò per voi un bel ponte».
L’orsa, il cervo, la scimmia e la lepre si misero a osservarlo per vedere che cosa avrebbe fatto.
Kintaro andò da uno all’altro degli alberi che crescevano lungo la sponda del fiume. Infine si fermò davanti a un enorme albero che cresceva al bordo dell’acqua. Afferrò saldamente il tronco e tirò verso l’alto con tutte le sue forze, una volta, due volte, tre volte! Tanta era la forza di Kintaro, che al terzo strappo le radici uscirono dalla terra e «meri, meri» [crash, crash], l’albero cadde formando un ottimo ponte attraverso il fiume .
«Allora» disse Kintaro «che ne pensate del mio ponte? È abbastanza sicuro, quindi seguitemi», e si avviò per primo. I quattro animali lo seguirono. Nessuno di loro aveva visto una persona più forte prima di allora, e tutti esclamarono:
«Com’è forte! Com’è forte!»
Mentre sul fiume accadeva tutto ciò, un taglialegna che si trovava per caso su uno scoglio e stava guardando la corrente, vide quello che succedeva sotto di lui. Osservò molto sorpreso Kintaro e gli animali che lo accompagnavano e si sfregò gli occhi per essere sicuro che non fosse un sogno il fatto di vedere quel ragazzo che sradicava un albero e lo gettava attraverso il fiume per formare un ponte.
Il taglialegna rimase stupefatto da ciò che vedeva e disse a se stesso:
«Quello non è un ragazzo qualunque. Di chi può essere figlio? Lo scoprirò prima che tramonti il sole».
Si affrettò verso quella strana combriccola e attraversò il ponte nella loro direzione. Kintaro non sapeva niente di tutto ciò e mai avrebbe indovinato cosa stava per succedere. Quando raggiunsero l’altra sponda del fiume, gli animali si congedarono e si diressero verso le rispettive tane, mentre Kintaro prese la strada di casa, dove sua madre lo stava aspettando.
Non appena entrò nella casa, che spuntava come una scatola di fiammiferi nel bel mezzo del bosco di pini, andò a salutare la madre dicendo:
«Okkasan [madre], sono tornato!»
«O, Kimbo!» disse la madre con un sorriso smagliante, felice di vedere il figlio ritornato sano e salvo a casa dopo una lunga giornata. «Quanto è stato lungo questo giorno. Avevo paura che ti fosse capitato qualcosa. Dove sei stato per tutto questo tempo?»
«Ho portato i miei quattro amici, l’orsa, il cervo, la scimmia e la lepre, sulle colline e li ho invitati a fare una gara di lotta per vedere qual era il più forte. Ci siamo divertiti e domani torneremo nello stesso posto per fare un’altra gara».
«E dimmi, chi è stato il più forte di tutti?» chiese la madre facendo finta di non saperlo.
«Oh, madre» disse Kintaro «non sai che il più forte sono io? Non c’era bisogno che facessi la lotta con gli altri».
«Ma a parte te, chi è il più forte?»
«L’orsa viene subito dopo di me come forza» rispose Kintaro.
«E dopo l’orsa?» chiese ancora la madre.
«Dopo l’orsa non è facile dire chi è il più forte, dato che il cervo, la scimmia e la lepre sembrano avere la stessa forza» disse Kintaro.
Improvvisamente Kintaro e la madre sussultarono al suono di una voce che proveniva dall’esterno.
«Ascoltami, ragazzo! La prossima volta che andrai, prendi con te anche questo vecchio. Mi piacerebbe unirmi al vostro sport!»
Era il vecchio taglialegna che aveva seguito Kintaro dal fiume. Si sfilò gli zoccoli ed entro in casa. Yama-uba e suo figlio furono sorpresi. Guardarono l’intruso e si accorsero di non averlo mai visto prima.
«Chi sei?» esclamarono.
Allora il taglialegna rise e disse:
«Per ora non importa chi sono, piuttosto vediamo chi ha il braccio più forte, io o questo ragazzo».
Allora Kintaro, che aveva trascorso tutta la vita nella foresta, rispose al vecchio senza tante cerimonie e disse:
«Faremo la prova, se lo desideri, ma non te la devi prendere se sarai battuto».
Quindi Kintaro e il taglialegna sollevarono il braccio destro e si afferrarono le mani a vicenda. Per un bel po’ Kintaro e il vecchio lottarono fra loro in questo modo, ciascuno cercando di piegare il braccio dell’altro, ma il vecchio era molto forte, e quella strana coppia continuava a combattere in condizioni di parità. Alla fine il vecchio desistette dicendo che era inutile continuare.
«Sei veramente un ragazzo forte. Pochi uomini possono vantarsi di avere un braccio forte come il mio!» disse il taglialegna. «Ti ho visto per la prima volta sulla riva del fiume, quando hai sradicato quell’enorme albero e ne hai fatto un ponte per attraversarlo. Poiché stentavo a credere a ciò che avevo visto, ti ho seguito fino a casa. La forza del tuo braccio che ho appena sperimentato è la prova di quanto ho visto questo pomeriggio. Quando sarai adulto sarai certamente l’uomo più forte del Giappone. È un vero peccato che te ne stia nascosto fra questi monti selvaggi».
Poi si rivolse alla madre di Kintaro
«E tu, madre, non hai pensato di portare tuo figlio nella capitale e insegnargli a portare una spada come si addice a un samurai?»

il generale Sadamitsu propone la carriera di samurai per Kintaro

«Sei molto gentile a interessarti così tanto a mio figlio» rispose la madre «ma come vedi è un ragazzo selvaggio e senza educazione, e ho paura che sarebbe molto difficile fare quello che dici. Poiché fin da piccolo era dotato di una forza così grande, l’ho tenuto nascosto in questa parte sconosciuta del paese, altrimenti avrebbe fatto del male a tutti quelli che lo circondavano. Ho spesso desiderato che un giorno avrei potuto vedere mio figlio nelle vesti di un cavaliere dalle due spade, ma dato che non ho amici influenti che possano introdurmi nella capitale, ho paura che la mia speranza non si avvererà mai».
«Non devi preoccuparti per questo. Per dirti la verità, non sono un taglialegna! Sono uno dei grandi generali del Giappone. Il mio nome è Sadamitsu. e sono un vassallo del potente Lord Minamoto-no-Raiko. Il mio signore mi ha ordinato di girare il paese e di cercare ragazzi che promettano di diventare molto forti, in modo che possano essere addestrati come soldati per il suo esercito. Ho pensato che avrei assolto meglio al mio incarico se mi fossi travestito da taglialegna. Per mia fortuna ho incontrato tuo figlio. Ora, se veramente desideri che diventi un samurai, lo porterò con me e lo presenterò a Lord Raiko come candidato per entrare al suo servizio. Che ne dici?»
Man mano che il bravo generale spiegava il suo progetto, il cuore della madre si riempiva della più grande contentezza. Era una meravigliosa occasione di vedere esaudito l’unico desiderio della sua vita: vedere Kintaro samurai prima di morire.
Piegando le mani verso terra rispose:
«Ti affiderò mio figlio, se sei davvero convinto di quello che dici».
In tutto questo tempo Kintaro se n’era stato seduto accanto alla madre ascoltando quello che dicevano. Quando la madre ebbe finito di parlare, esclamò:
«O gioia, o gioia! Partirò con il generale e un giorno sarò un samurai!»
E così il destino di Kintaro fu segnato, e il generale decise di partire subito per la capitale portando Kintaro con sé. È difficile esprimere la tristezza di Yama-uba mentre il suo ragazzo stava partendo, perché era tutto ciò che le restava al mondo. Ma nascose il suo cordoglio dietro una faccia dura, come si diceva quella volta in Giappone. Sapeva che era un bene per il suo ragazzo lasciarla in quel momento e non doveva scoraggiarlo proprio mentre stava per partire. Kintaro promise che non l’avrebbe mai dimenticata e disse che non appena fosse diventato un cavaliere dalle due spade, le avrebbe fatto costruire una casa e si sarebbe preso cura di lei durante la sua vecchiaia.
Tutti gli animali che aveva addomesticato per servirlo, l’orsa, il cervo, la scimmia e la lepre, non appena scoprirono che se ne stava andando, gli chiesero se potevano accompagnarlo come al solito. Saputo che andava via per sempre, lo seguirono fino ai piedi delle montagne per dirgli addio.
«Kimbo» gli disse la madre «bada a te e sii un bravo ragazzo»
«Signor Kintaro» dissero i fedeli animali «ti auguriamo buona salute nel tuo viaggio».
Poi salirono tutti su un albero per vederlo un’ultima volta e lo guardarono dall’alto finché la sua ombra diventò sempre più piccola e sparì definitivamente alla vista.
Il generale Sadamitsu intraprese il cammino contento di aver trovato senza aspettarselo un prodigio come Kintaro.
Giunti a destinazione il generale portò subito Kintaro dal suo signore, Minamoto-no-Raiko, e gli raccontò del ragazzo e di come lo aveva trovato. Lord Raiko si rallegrò molto del racconto, ordinò che Kintaro fosse condotto alla sua presenza e lo annoverò immediatamente tra i propri vassalli.
L’esercito di Lord Raiko era celebre per il gruppo chiamato “I Quattro Valorosi”. I guerrieri che ne facevano parte erano stati scelti da Raiko in persona fra i più coraggiosi e forti dei suoi soldati, e quel gruppo piccolo e ben scelto si era distinto in tutto il Giappone per l’intrepido coraggio dei suoi uomini.
Quando Kintaro diventò adulto, il suo padrone lo nominò capo dei Quattro Valorosi. Era di gran lunga il più forte di tutti loro. Poco dopo la nomina fu portata in città la notizia che un mostro antropofago aveva preso dimora non molto lontano e che la gente era sconvolta dal terrore. Lord Raiko ordinò a Kintaro di correre in loro aiuto. Kintaro partì immediatamente, rallegrandosi della prospettiva di mettere alla prova la sua spada.
Cogliendo di sorpresa il mostro nella sua tana, non gli ci volle molto per tagliargli l’enorme testa, che riportò trionfante al proprio padrone.
E così Kintaro divenne il più grande eroe del suo paese, e grandi furono il potere, l’onore e la ricchezza che glie ne derivarono. Mantenne dunque la sua promessa e fece costruire una casa confortevole per la sua vecchia madre, che visse felice con lui nella capitale fino alla fine dei suoi giorni.
Che ne dite? Non è questa la storia di un grande eroe?

FINE

Immaginio tratte dai siti: http://www.mediarete-edu.it e http://web.clas.ufl.edu e http://durendal.org

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