Leggende Orientali – LA TUFFATRICE DELLA BAIA DI OISO
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
LA TUFFATRICE DELLA BAIA DI OISO
Oiso, nella provincia di Sagami, che è diventato un luogo molto celebre per essere stato scelto come residenza dal marchese Ito e da molti altri grandi personaggi giapponesi, può avere un certo interesse anche per una storia di natura piuttosto romantica risalente al periodo Heian.
Durante i primi anni di quel periodo un cavaliere di nome Takadai Jiro si ammalò nella città di Kamakura, dove si trovava in servizio, e gli fu consigliato di trascorrere il mese caldo di agosto a Oiso nel riposo e nella tranquillità.
Ottenuta l’autorizzazione, Takadai Jiro subito vi si recò e si sistemò nel modo più confortevole possibile in una piccola locanda di fronte al mare. Essendo un uomo di terra che (a parte il servizio a Kamakura) aveva visto ben di rado il mare: a Takadai piaceva restare a guardarlo giorno e notte dato che, come molti giapponesi di nobile nascita, aveva un’anima poetica e romantica.
Dopo il suo arrivo a Oiso, Takadai si sentiva stanco e impolverato. Chiuse per bene la stanza e subito si spogliò e scese per fare il bagno. Takadai, che aveva circa venticinque anni, era un buon nuotatore e si tuffò in mare senza paura spingendosi fino a sette ottocento metri al largo. Ma qui la sfortuna lo sorprese. Fu colto da un violento crampo e cominciò ad affondare. Una barca da pesca spinta a remi da un uomo e su cui viaggiava una tuffatrice lo vide e accorse per salvarlo, ma lui nel frattempo aveva perso conoscenza ed era affondato per la terza volta.
La ragazza si tuffò in mare e nuotò verso il punto in cui era scomparso e, dopo essersi immersa in profondità, riuscì a riportarlo in superficie e a tenerlo fuori dell’acqua fino all’arrivo della barca. Con l’aiuto del padre riuscì a issare a bordo Takadai, ma non prima che questi si rendesse conto che il morbido braccio che si stringeva attorno al suo collo era quello di una donna.
Quando riprese completamente coscienza, prima di raggiungere la riva, Takadai vide che la sua salvatrice era una bella ama (tuffatrice) di non più di diciassette anni. Non aveva mai visto prima una simile bellezza, nemmeno nei circoli dell’alta nobiltà che era abituato a frequentare. Takadai si era innamorato della sua coraggiosa salvatrice ancora prima che la barca prendesse terra sulla spiaggia sassosa. Volendo ricambiare in qualche modo il favore che aveva ricevuto, Takadai diede una mano a trascinare la barca su per la spiaggia ripida, poi trasportò i pesci e le reti fino alla piccola capanna dei due, dove ringraziò la ragazza per il gesto nobile e coraggioso del suo salvataggio e si complimentò con il padre per avere una figlia come quella. Ciò fatto, tornò alla locanda che si trovava a poche centinaia di metri di distanza.
Da quel momento l’anima di Takadai non conobbe più pace. Un folle amore lo sconvolgeva. Non riusciva più a dormire di notte perché non vedeva altro che il viso della bella tuffatrice il cui nome (l’aveva saputo) era Kinu. Per quanto ci provasse con tutte le sue forze, non riusciva a togliersela dalla mente neppure per un istante. Di giorno impazziva perché non poteva vedere O Kinu, dato che era in mare con il padre per tuffarsi in cerca di molluschi e di solito quando faceva ritorno si era già fatta sera, e quindi c’era troppo poca luce perché riuscisse a vederla.
Una volta Takadai cercò anche di parlare a O Kinu, ma lei non aveva niente da dirgli e continuò nel suo lavoro aiutando il padre a portare le reti e i pesci fino alla capanna. Questo fece restare molto male Takadai, che tornò a casa arrabbiato e più innamorato che mai.
Alla fine il suo amore era diventato così grande che non riuscì a resistere più a lungo. Sentiva che sarebbe stato un sollievo dichiararsi a lei, qualunque cosa succedesse. E così prese da parte il suo servitore più fidato e lo mandò alla capanna del pescatore con una lettera. O Kinu San non scrisse una risposta, ma disse al servitore di ringraziare il padrone da parte sua per la lettera e la proposta di matrimonio.
«Digli anche», disse poi, «che non nascerebbe niente di buono dall’unione tra una persona di così alti natali e una di classe bassa come me. Una coppia così male assortita non potrebbe mai vivere felice insieme». E in risposta alle proteste del servitore aggiunse soltanto: «Ti ho detto cosa riferire al tuo padrone: portagli il messaggio».
Takadai Jiro, udendo quello che aveva detto O Kinu, non si arrabbiò. Restò semplicemente sbalordito. Non poteva credere che la figlia di un pescatore rifiutasse una proposta di matrimonio da uno come lui, un samurai della classe più alta. Anzi, invece di essere arrabbiato, Takadai era piuttosto contento, perché pensava di aver preso un po’ troppo alla sprovvista l’amabile O Kinu e che il suo primo rifiuto fosse solo un po’ di timidezza da parte sua della quale non c’era da stupirsi. “Aspetterò qualche giorno”, pensò Takadai. “Ora che Kinu sa del mio amore, penserà a me e avrà voglia di vedermi. Mi terrò alla larga, così forse lei diventerà impaziente di vedermi quanto io lo sono di vedere lei”.
Takadai rimase nella sua stanza per i tre giorni seguenti, credendo in cuor suo che O Kinu si stesse tormentando per lui. La sera del quarto giorno scrisse un’altra lettera a O Kinu, ancor più piena d’amore della prima, la mandò con il suo vecchio servitore e aspettò pazientemente la risposta.
Quando O Kinu ricevette la lettera, rise e disse:
«Veramente, mio buon vecchio, mi sembri davvero buffo a portarmi delle lettere. Questa è la seconda volta in quattro giorni, e fino a quattro giorni fa non ho mai ricevuto una lettera in vita mia. Che starà mai succedendo, mi domando».
Così dicendo, la aprì e la lesse, poi, rivolgendosi al servitore, proseguì:
«Non riesco a capire. Se hai riferito esattamente al tuo padrone il mio messaggio, dovrebbe sapere che non posso sposarlo. La sua posizione sociale è troppo alta. Il tuo padrone ha la testa a posto?»
«Sì, a parte il suo amore per te, il mio giovane padrone ha la testa a posto, ma da quando ti ha vista, non parla e non pensa che a te, tanto che ormai sono stufo di tutto questo e ogni giorno prego ardentemente Kwannon che venga presto la stagione fredda, in modo che possa tornare ai suoi doveri a Kamakura. Per tre interi giorni ho dovuto restarmene seduto nella locanda ad ascoltare le poesie del mio padrone sulla tua bellezza e il suo amore. E ogni giorno ho sperato che saremmo andati in barca a pescare il dolce pesce aburame, che in questo periodo è grasso e buono, come stanno facendo tutte le altre persone di buon senso. Sì, il mio padrone ha la testa a posto, ma tu gliela hai fatta perdere, a quanto sembra. Sposalo, ti prego, così saremo tutti contenti e andremo a pescare tutti i giorni invece di sprecare così queste inattese vacanze».
«Sei un vecchio egoista», rispose O Kinu. «Dovrei sposarmi per soddisfare l’amore del tuo padrone e il tuo desiderio di pescare? Ti ho detto di dire al tuo padrone che non lo voglio sposare perché le nostre classi sociali diverse non ci permetterebbero di essere felici. Vai, e ripetigli questa risposta».
Il servitore supplicò ancora una volta, ma O Kinu fu irremovibile, e alla fine fu costretto a riferire al padrone lo sgradevole messaggio.
Povero Takadai! Questa volta era veramente afflitto, poiché la ragazza aveva rifiutato perfino di incontrarlo. Cosa poteva fare? Scrisse una lettera ancora più supplichevole e parlò anche con il padre di O Kinu, ma il padre disse:
«Signore, mia figlia è tutto ciò che mi resta da amare al mondo: non posso influenzarla in una cosa importante come l’amore. Inoltre tutte le nostre tuffatrici hanno un carattere forte quanto il loro fisico, dato che il costante pericolo rafforza i loro nervi: non sono come le fragili ragazze di campagna, che si possono influenzare e a cui si può anche ordinare di sposare un uomo che odiano. Il carattere delle nostre ragazze molto spesso è più forte di quello di noi uomini. Io stesso ho sempre fatto quello che la madre di Kinu mi diceva di fare e non sarei in grado di influenzare Kinu in una cosa come il suo matrimonio. Posso esprimerle la mia opinione, e lo farò. Ma, mio signore, in questo caso non posso che essere d’accordo con mia figlia sul fatto che, per quanto sia grande l’onore che le fate, non sarebbe saggio sposare un uomo di una condizione sociale così elevata rispetto alla sua».
Il cuore di Takadai era spezzato. Non c’era più niente che potesse fare o dire. Inchinandosi leggermente, si congedò dal pescatore e si ritirò subito nella sua stanza alla locanda, da dove non uscì più, con grande disappunto del servitore.
Giorno dopo giorno diventava sempre più magro, e all’avvicinarsi del giorno in cui avrebbe dovuto rientrare dalla sua licenza, era ancora più ammalato di quando era arrivato a Oiso. Cosa poteva fare? Il saggio consiglio del proverbio che recita: “Ci sono tanti pesci nel mare” non faceva certo per lui. Sentiva che la vita per lui non era più degna di essere vissuta e decise di farla finita nel mare dove forse sarebbe rimasto il suo spirito e ogni tanto avrebbe potuto vedere la bella tuffatrice che gli aveva stregato il cuore.
Quella sera Takadai scrisse un ultimo biglietto a Kinu e, non appena la gente di Oiso fu addormentata, lo fece scivolare sotto la porta. Poi andò alla spiaggia e, dopo aver legato una corda al suo collo e a una grossa pietra, salì su una barca e remò fino a un centinaio di metri dalla riva, quindi prese la pietra fra le braccia e saltò in mare.
Il mattino dopo O Kinu fu molto scossa nel leggere sul biglietto che Jiro Takadai si era suicidato per amore di lei.
Corse giù alla spiaggia, ma vide solo una barca da pesca vuota a qualche centinaio di metri dalla riva e si diresse a nuoto verso di essa.
Nella barca trovò la borsa del tabacco di Takadai e il suo juro (scatola dei medicinali). O Kinu pensò che Takadai doveva essersi gettato in mare più o meno in quel punto: allora cominciò a tuffarsi e non passò molto che trovò il corpo e lo riportò in superficie con qualche difficoltà a causa del peso della pietra che stringeva strettamente tra le braccia.
O Kinu riportò il corpo a riva, dove trovò il vecchio servitore di Takadai che si torceva le mani per l’angoscia.
Il corpo fu riportato a Kamakura, dove fu seppellito. O Kinu fu tanto colpita che giurò di non sposare mai nessuno. È vero che non aveva amato Takadai, ma lui l’aveva amata ed era morto per lei. Se si fosse sposata, il suo spirito non avrebbe riposato in pace.
Non molto tempo dopo che O Kinu aveva preso questa nobile decisione accadde un fatto singolare.
I gabbiani, che erano molto rari nella baia di Oiso, cominciarono a volare su di essa e ad abbassarsi sul punto esatto in cui Takadai si era affogato. Quando il tempo era cattivo, stavano sospesi in volo, ma non abbandonavano mai il luogo.
I pescatori ritenevano tutto ciò straordinario, ma Kinu sapeva bene che lo spirito di Takadai doveva essere migrato nei gabbiani e per questo pregava regolarmente al tempio e con i suoi pochi risparmi fece costruire una piccola tomba dedicata alla memoria di Takadai Jiro.
A quel tempo Kinu aveva vent’anni e la sua bellezza era celebre e riceveva molte proposte di matrimonio, ma le rifiutò tutte e mantenne la sua promessa di non sposarsi. Per tutta la sua vita i gabbiani continuarono sempre a stazionare sul punto in cui Takadai era affogato.
O Kinu morì annegata durante una violenta tempesta circa nove anni dopo Takadai, e da quel giorno i gabbiani scomparvero dimostrando così che il suo spirito non temeva più che O Kinu si sposasse.
FINE
Testo originale e illustrazione in: http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/index.htm