leggende orientali – LA TOMBA DELL’ALBERO DI CANFORA

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Leggenda dal Giappone

Tradotta da Dario55

LA TOMBA DELL’ALBERO DI CANFORA

A un’ottantina chilometri da Shirakawa, nella provincia di Iwaki, c’è un villaggio di nome Yabuki-mura. Lì vicino c’è un bosco di qualche centinaio di metri quadrati. Tra gli alberi che vi crescevano c’era un enorme albero di canfora, alto quasi 50 metri, di età sconosciuta e considerato da paesani e forestieri come uno dei più grandi alberi del Giappone. Dentro il bosco, noto col nome di Nekoma-myojin, fu edificato un piccolo tempio, e un vecchio devoto, Hamada Tsushima, viveva al suo interno, prendendosi cura dell’albero, del tempio e dell’intero bosco.
Un giorno l’albero fu tagliato, ma invece di seccare o morire, continuò a crescere e a fiorire, malgrado giacesse a terra. Quando l’albero sacro fu abbattuto, Il povero Hamada Tsushima si uccise. Forse è proprio perché il suo spirito entrò nell’albero sacro che l’albero non morirà. E questa è la storia.
Il 17 gennaio del terzultimo anno del periodo Meireki – cioè nel 1658 – un grande incendio distrusse il tempio Homyo-ji, nel distretto Maruyama Hongo di Yedo, attualmente Tokyo. Il fuoco si estese con tanta rapidità che non solo le fiamme distrussero quel distretto, ma fu distrutto quasi un ottavo di tutta Yedo. Molte case e palazzi dei Daimio furono divorati dalle fiamme. Il signore Date Tsunamune di Sendai, uno dei tre più grandi Daimio, si ritrovò con tutti i sette palazzi e case distrutti dal fuoco, mentre gli altri due Daimio ne persero solo uno o due ciascuno.
Il signore Date Tsunamune decise allora di costruire il più splendido palazzo che si potesse progettare. Avrebbe dovuto sorgere a Shinzenza, in Shiba. Ordinò che non si perdesse tempo e incaricò uno dei suoi alti ufficiali, Harada Kai, di occuparsi di tutto.
Harada, obbedendo all’ordine, mandò a chiamare il più grande impresario edile del momento, un certo Kinokuniya Bunzaemon, e gli disse:
«Come ben sai, il fuoco ha distrutto tutte le abitazioni del signore Date Tsunamune in questa città. Sono stato incaricato di fare in modo che sia immediatamente costruito il più splendido dei palazzi, secondo a nessun altro, tranne a quello dello Shogun. Ti ho mandato a chiamare perché sei il più importante impresario edile di Yedo. Cosa pensi di poter fare? Dammi solo qualche suggerimento e la tua opinione».
«Di sicuro, mio signore, posso darti un gran numero di suggerimenti, ma costruire un simile palazzo richiederà una somma di denaro enorme, specialmente adesso che, dopo quell’incendio, i grandi alberi scarseggiano in questa regione».
«Non preoccuparti delle spese», disse Harada. «Pagherò quello che vorrai quando vorrai, e mi resterà ancora del denaro, se vorrai averlo per te».
«In questo caso», disse entusiasta l’imprenditore, «comincerò subito. Che ne diresti di un palazzo come quello di Kinkakuji a Kyoto, costruito dallo Shogun Ashikaga? Quella che potrei costruirti sarebbe una dimora più splendida di quella dell’attuale Shogun e supererebbe di molto quelle di qualunque Daimio. Tutto il palchetto dovrà essere fatto con i legni più rari, gli angoli dovranno essere di nanten e i soffitti di tavole di albero di canfora senza giunzioni: dovremo riuscire a trovare un albero di grandezza sufficiente. Posso trovare tutto nei dintorni, tranne quest’ultimo albero: mi è difficile trovarlo nei magazzini presso cui mi fornisco. Ce ne sono molto pochi, la maggior parte sono sacri, ed è pericoloso infastidire la gente per ottenerli. Ne conosco uno nel bosco di Nekoma-myojin, nella provincia di Iwaki. Se potessi avere quell’albero, sarei certo in grado di costruire un soffitto senza giunzioni, il che metterebbe completamente in secondo piano tutti gli altri palazzi e dimore».
«Molto bene», disse Harada, «affido tutto nelle tue mani. Sai già che non c’è bisogno di badare a spese, quello che conta è che tu fornisca velocemente quanto ti è richiesto dal tuo signore Date Tsunamune».
L’impresario s’inchinò profondamente, dicendo che si sarebbe subito dato da fare e avrebbe fatto del suo meglio, poi se ne andò, molto soddisfatto di aver concluso un contratto come quello, che gli avrebbe certamente riempito le tasche. Indagò in tutte le direzioni e si persuase che l’unico albero di canfora che avrebbe fatto al caso suo era quello di cui abbiamo parlato, soprattutto per la sua grande larghezza. Kinokuniya sapeva inoltre che la parte del distretto in cui cresceva quell’albero apparteneva o era sotto il governo di Fujieda Geki, che attualmente si trovava nel distretto Honjo a Yedo in qualità di servitore dello Shogun, trattato bene (riceveva 1200 koku1 all’anno), ma molto disponibile quando si trattava di denaro, di cui aveva sempre bisogno.
Kinokuniya ben presto venne a sapere tutto di quell’uomo e lo fece chiamare.
«Il tuo nome è Kinokuniya Bunzaemon, mi pare. Posso sapere perché hai voluto vedermi?» domandò Fujieda.
«Mio signore», disse l’impresario, inchinandosi profondamente, «come appunto sapete, mi chiamo Kinokuniya Bunzaemon e sono un impresario che costruisce edifici in legno; forse vostra signoria ha sentito parlare di me, perché ho costruito e fornito il legno per molte dimore e palazzi. Sono venuto qui desideroso di aiuto per ottenere il permesso di tagliare alberi nel piccolo bosco chiamato Nekoma-myojin, accanto al villaggio di nome Yabukimura, nel distretto di Sendai».
L’impresario non disse a Fujieda Geki, il servitore dello Shogun, che stava costruendo una dimora per il Daimio Date Tsunamune, e che l’albero che intendeva abbattere si trovava all’interno dei domini del Daimio. Infatti sapeva molto bene che il signore Date non gli avrebbe mai dato il permesso di abbattere un albero sacro. Era un’ottima idea quella di procurarsi gli alberi del Daimio con l’aiuto del servitore dello Shogun e in seguito attribuirgli tutte le responsabilità. E quindi continuò:
«Vi posso garantire, mio signore, che il recente incendio ha svuotato completamente il mercato del legno. Se mi aiuterete a ottenere quello che desidero, vi costruirò gratuitamente una nuova casa e per dimostrarvi la mia gratitudine, vi chiedo di accettare questo modesto dono di 200 yen, che è soltanto un piccolo inizio».
«Non devi preoccuparti per questi piccoli dettagli», disse il servitore tutto contento, intascando il denaro, «ma fai pure quello che desideri. Farò chiamare quattro amministratori e capi villaggio locali del distretto in cui vuoi tagliare gli alberi e ti farò sapere quando arriveranno a Yedo. Con loro potrai sistemare tutta la faccenda».
Il colloquio era terminato. L’impresario sentiva di essere molto vicino a ottenere gli alberi richiesti, e il servitore che voleva denaro era soddisfatto che con uno sforzo così insignificante aveva potuto guadagnare 200 yen, con in più la promessa di ottenerne altri, insieme a una nuova casa.
Una decina di giorni dopo, quattro uomini, i capi dei villaggi, giunsero a Yedo e si presentarono a Fujieda, che fece chiamare l’impresario, dicendo ai quattro, che si chiamavano Mosuke, Magozaemon, Yohei e Jinyemon, di essere lieto di vederli e di quanto erano leali nel servire lo Shogun, poiché egli, lo Shogun, aveva avuto il palazzo distrutto dal recente incendio e desiderava che ne fosse subito costruito un altro, e l’unica grande difficoltà era costituita dal legname.
«Mi è stato detto dal nostro grande imprenditore, alla cui presenza ora v’introdurrò, che l’unico legno adatto per ricostruire il palazzo si trova nel vostro distretto. Personalmente non so nulla di questi particolari e lascerò che voi, onorevoli signori, sistemiate queste faccende con Kinokuniya, l’impresario, non appena arriverà. Vi ho mandati a chiamare a nome suo. Nel frattempo consideratevi i benvenuti e vogliate gradire il rinfresco che ho preparato per voi nella stanza accanto. Accomodatevi e favorite!».
Fujieda condusse i quattro paesani nella stanza accanto e consumò i rinfreschi insieme a loro; mentre stavano mangiando, giunse Kinokuniya, l’impresario, e fu immediatamente accompagnato alla loro presenza. Il pasto era quasi finito.
Fujieda presentò l’impresario, che a sua volta disse:
«Onorevoli signori, non possiamo discutere queste faccende qui nella casa di Fujieda, il servitore dello Shogun. Ora che ci conosciamo a vicenda, permettetemi di invitarvi a cena, durante la quale potrò spiegarvi con esattezza quello che desidero per quanto riguarda gli alberi del vostro distretto».
I quattro paesani furono entusiasti di tanta ospitalità. Due pasti in una sera erano un’incredibile lusso per loro e gli abitanti di Yedo! Cosa mai non avrebbero potuto raccontare alle loro mogli quando fossero tornati ai villaggi!
Kinokuniya guidò i quattro paesani fino a una taverna di nome Kampanaro, a Ryogoku, dove li trattò con la più grande ospitalità. Dopo il pasto disse:
«Onorevoli signori, mi auguro che mi permettiate di tagliare degli alberi dal bosco del vostro villaggio, perché altrimenti mi è impossibile tentare di costruire ancora su vasta scala».
«Certamente li potrai tagliare», disse Mosuke, il più anziano dei quattro. «Dal momento che tagliare gli alberi nel bosco di Nekoma-myojin è necessario per il nostro signore, devono essere tagliati. Infatti è un ordine del nostro signore che gli alberi siano tagliati, ma devo ricordarti che in quel bosco ce n’è uno che non deve essere tagliato per nessun motivo: si tratta di un gigantesco e sacro albero di canfora venerato nel nostro distretto e in cui onore è stato edificato un tempio. Non potremo mai permettere che quell’albero sia tagliato».
«Molto bene», disse l’impresario. «Scrivetemi solo qualche riga che mi dia il permesso di tagliare qualsiasi albero, ad eccezione del grande albero di canfora, e l’affare è fatto».
In questo frattempo Kinokuniya si era fatta un’idea chiara dei quattro paesani e aveva capito che con ogni probabilità non sapevano scrivere.
«Ma certo», disse Mosuke. «Jinyemon, scrivi tu il permesso».
«No, preferirei che lo scrivesse Mago», disse Jinyemon.
«Veramente io preferisco che sia Yohei a scriverlo», disse Mago.
«Ma io non so assolutamente scrivere». disse Yohei, volgendosi nuovamente verso Jinyemon.
«Va bene», disse Kinokuniya. «Non preoccupatevi, non preoccupatevi. Sareste semplicemente così gentili da firmare il documento, se ve lo scrivo io?»
Perché no? Naturalmente tutti furono d’accordo. Era la soluzione migliore. Avrebbero semplicemente apposto il loro sigillo al documento. Così fecero e, dopo una serata in allegria, si congedarono pienamente soddisfatti con se stessi.
Kinokuniya, da parte sua, tornò a casa molto contento degli affari conclusi quella sera. Non aveva forse in tasca il permesso di tagliare gli alberi, e non l’aveva forse scritto lui stesso, in modo da poter ottenere il suo scopo? Gongolava pensando a come aveva trattato l’affare e a come tutto era andato liscio.
Il mattino dopo Kinokuniya mandò il suo rappresentante, Chogoro, accompagnato da dieci o dodici uomini. Impiegarono tre giorni a raggiungere il villaggio di nome Yabuki-mura, nei pressi del bosco di Nekoma-myojin; arrivarono il mattino del quarto giorno e incominciarono a erigere un’impalcatura intorno all’albero di canfora, in modo da poter usare meglio le asce. Non appena cominciarono a tagliare i rami più bassi, Hamada Tsushima, il custode del tempio, corse fuori.
«Ehi! Ehi! Che state facendo? Abbattete il sacro albero di canfora? Maledizione su di voi! Fermatevi, vi dico! Mi sentite? Fermatevi subito!»
Chogoro rispose:
«Non devi fermare il lavoro dei miei uomini. Stanno facendo quello che è stato loro ordinato di fare, e hanno il pieno diritto di farlo. Sto tagliando l’albero per ordine del mio padrone Kinokuniya, l’impresario, che ha avuto il permesso di tagliarlo dai quattro capi mandati a Yedo da questo distretto».
«Tutto questo lo so», disse il guardiano del tempio, «ma voi avete il permesso di abbattere qualsiasi albero ad eccezione del sacro albero di canfora».
«Qui ti sbagli, e questo documento te lo dimostrerà», disse Chogoro. «Leggi tu stesso».
E il guardiano, con sommo disappunto, lesse:
“A Kinokuniya Bunzaemon, Impresario, Yedo.
Nel taglio degli alberi per la costruzione della nuova dimora per il nostro signore, tutti gli alberi di canfora devono essere risparmiati, ad eccezione del grande albero, che si dice essere sacro, nel bosco di Nekoma-myojin. A testimonianza di ciò, apponiamo i nostri nomi.”
Il guardiano, fuori di sé per il dolore e la meraviglia, fece chiamare i quattro uomini nominati nel documento. Quando arrivarono, affermarono di aver dato il permesso di tagliare qualsiasi albero, ad eccezione del grande albero di canfora, ma Chogoro disse che non poteva credere alle loro affermazioni, e che comunque sarebbe andato avanti in forza del documento scritto. Quindi ordinò agli uomini di proseguire il lavoro sul grande albero di canfora.

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Hamada Tsushima, il guardiano, fece harakiri, uccidendosi seduta stante, ma non prima di aver detto a Chogoro che il suo spirito avrebbe preso dimora nell’albero di canfora per averne cura e sfogare la sua vendetta sul malvagio Kinokuniya.
Alla fine gli sforzi di quegli uomini riuscirono ad abbattere il nobile albero, ma poi non furono in grado di spostarlo. Per quanto tirassero con tutte le forze, quello non si muoveva. Ogni volta che ci provavano, i rami diventavano vivi, e visi e occhi subivano i loro colpi. Coraggiosamente insistevano nei loro sforzi, ma tutto era inutile. Le cose andavano di male in peggio. Alcuni degli uomini furono afferrati tra i rami e schiacciati fin quasi a ucciderli, quattro ebbero gli arti spezzati nello stesso modo. In quel momento arrivò un cavaliere e gridò:
«Mi chiamo Matsumaye Tetsunosuke. Faccio parte del seguito del signore di Sendai. L’assemblea dei consiglieri a Sendai ha proibito di toccare questo albero di canfora. Disgraziatamente lo avete tagliato. Ma ora deve rimanere dov’è. Il nostro signore di Sendai, Date Tsunamune, sarà furibondo. Kinokuniya l’impresario ha concepito un piano malvagio e sarà punito come merita, e quanto al servitore dello Shogun, Fujieda Geki, anch’egli deve essere denunciato. Quanto a voi, tornate a Yedo. Non possiamo punirvi per aver obbedito agli ordini. Ma prima datemi quel permesso contraffatto che quei quattro incoscienti hanno firmato e che, credetemi, segnerà la loro fine».
Chogoro e i suoi uomini fecero ritorno a Yedo. Pochi giorni dopo l’impresario si ammalò, e nella sua stanza fu mandato un barbiere. Poco dopo Kinokuniya fu trovato morto, e il barbiere era scomparso, benché fosse impossibile che se ne fosse andato senza essere visto! Si pensò che lo spirito di Hamada Tsushima, il guardiano del tempio, avesse preso la forma del barbiere per uccidere l’impresario. Chogoro divenne così inquieto nell’animo, che tornò presso l’albero di canfora e spese tutti i propri risparmi per erigere un nuovo tempio e procurargli un guardiano. Questo tempio è chiamato Kusunoki Dzuka (La tomba dell’albero di canfora). Pare che l’albero si trovi ancora in quel luogo.

FINE


NOTE:
1) Il koku è la quantità di riso definita storicamente come sufficiente a nutrire una persona per un anno: 180,39 litri di riso.

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Testo originale e illustrazione in:
http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj59.htm

Online da: Maggio 2013

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