Leggende Orientali – LA MEDUSA E LA SCIMMIA
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
LA MEDUSA E LA SCIMMIA
Spesso vi sarete chiesti perché le meduse non hanno conchiglia come tante altre creature che il mare getta sulla spiaggia ogni giorno. Ebbene dovete sapere che in un lontano passato le meduse avevano anch’esse una conchiglia, dura come il guscio di una tartaruga, e camminavano su quattro zampe, ma persero sia l’una che le altre per colpa della loro dabbenaggine, come vedrete in questa storia.
A quei tempi il Regno del Mare era governato da un Re favoloso. Questo Re si chiamava Rin Jin, ossia il Re Drago del Mare. Il suo potere era immenso, poiché governava su tutte le creature del mare, grandi e piccole, e possedeva i Gioielli dell’Alta e della Bassa Marea. Il Gioiello della Bassa Marea, quando era gettato nell’oceano, faceva sì che l’acqua si ritirasse dalla terra, mentre quello dell’Alta Marea faceva diventare le onde alte come montagne e le faceva ricadere sulle spiagge.
Il palazzo di Rin Jin era in fondo al mare ed era così bello che nessuno aveva mai visto niente di simile, neppure nei sogni. Le pareti erano di corallo, i tetti di giada e crisoprasio e i pavimenti della più raffinata madreperla. Ma il Re Drago, malgrado il suo regno che si estendeva ovunque, il bel palazzo con tutte le meraviglie che conteneva e la sua potenza che nessuno metteva in discussione in ogni parte del mare, non era del tutto felice, perché regnava da solo. Alla fine pensò che se si fosse sposato, non solo sarebbe stato più felice, ma anche più potente. Decise perciò di prendere moglie. Chiamò tutti i pesci del suo seguito e ne scelse alcuni come ambasciatori perché andassero attraverso il mare e cercassero una giovane Principessa Drago che diventasse sua moglie.
Essi infine fecero ritorno a palazzo recando con loro una graziosa e giovane Principessa Drago. Aveva le scaglie di un verde lucente come le ali dei coleotteri, gli occhi che lanciavano bagliori di fiamma, ed era abbigliata con abiti fastosi, adornati da un ricamo fatto con tutti i gioielli del mare.
Il Re s’innamorò nel momento in cui la vide, e la cerimonia nuziale fu celebrata con grande splendore. Tutte le creature del mare, dalla grande balena al piccolo gambero, vennero a frotte per congratularsi con la sposa e lo sposo, e per augurare loro lunga vita e prosperità. Nel mondo sommerso nessuno aveva mai visto prima festeggiamenti tanto fastosi. Il corteo di portatori che recava gli averi della sposa sembrava attraversare il mare dall’una all’altra estremità. Ogni pesce portava una lanterna fluorescente ed era abbigliato con gli abiti da cerimonia, blu, rosa e argento luccicanti; e quella notte le onde, nel loro andirivieni, sembravano trascinare con sé ammassi di fuochi bianchi e verdi, perché in onore di quell’evento brillavano con il doppio della loro fosforescenza.
Per un po’ il Re Drago e la sua sposa vissero felici e contenti. Si amavano teneramente, e lo sposo un giorno dopo l’altro si beava nel mostrare alla sposa tutte le meraviglie e i tesori del suo palazzo di corallo, mentre lei non si stancava mai ci passeggiare con lui attraverso le sale e i giardini. La vita sembrava a entrambi un lungo giorno d’estate.
Due mesi trascorsero in queste felici occupazioni, quand’ecco che la Regina Drago cadde malata e fu costretta a letto. Il Re si preoccupò moltissimo nel vedere la sua adorata sposa tanto malata e subito fece venire il pesce dottore e le fece somministrare delle medicine. Diede ordini speciali ai servitori perché la accudissero con la massima cura e si occupassero di lei con diligenza. Malgrado però le assidue cure delle infermiere e le medicine prescritte dal dottore, la giovane Regina non mostrava segni di miglioramento, anzi si aggravava ogni giorno di più.
Allora il Re Drago ebbe un colloquio con il dottore e lo accusò di non curare la Regina. Il dottore si preoccupò per l’evidente malcontento di Rin Jin e negò di essere un incompetente dicendo che, pur conoscendo la giusta medicina da somministrare all’ammalata, era impossibile trovarla nel mare.
«Intendi dire che non puoi avere la medicina qui?», chiese il Re Drago.
«È proprio così», disse il dottore.
«Dimmi cosa ti serve per la Regina!»
«Ho bisogno del fegato di una scimmia viva», rispose il dottore.
«Il fegato di una scimmia viva! Certo sarà molto difficile procurarselo», disse il Re.
«Se solo potessimo averlo, Sua Maestà presto guarirebbe», disse il dottore.
«Benissimo, questo decide la questione: dobbiamo procurarcelo in un modo o nell’altro. Ma qual è il posto più adatto per trovare una scimmia?» chiese il Re.
Allora il dottore disse al Re Drago che a una certa distanza verso sud d’era un’isola chiamata Isola delle Scimmie, dove viveva un gran numero di scimmie.
«Potresti catturare anche solo una di quelle scimmie?» chiese il dottore.
«Come può chiunque del mio popolo catturare una scimmia?» disse il Re Drago molto perplesso. «Le scimmie vivono sulla terraferma, mentre noi viviamo nell’acqua, e fuori del nostro elemento siamo del tutto impotenti! Non vedo come potremo riuscirci».
«Questa è stata anche la mia difficoltà», disse il dottore. «Ma fra i tuoi innumerevoli sudditi puoi certamente riuscire a trovarne uno che possa andare a riva per questo motivo».
«Qualcosa bisogna fare», disse il re e, chiamato il capo del suo seguito, gli chiese consiglio in merito.
Questi restò qualche momento pensoso, poi, come se un pensiero improvviso lo avesse colpito, disse contento:
«So cosa dobbiamo fare! C’è la kurage [medusa]. È vero che ha un aspetto orribile, ma si vanta di essere capace di camminare sulla terraferma con le sue quattro zampe come una tartaruga».
Il capo del seguito concluse:
«Mandiamola sull’Isola delle Scimmie per catturarne una».
La medusa fu quindi convocata alla presenza del Re, e le fu comunicato quello che Sua Maestà voleva da lei.
Appena venne a sapere della missione inattesa che le era affidata, la medusa si mostrò molto preoccupata e disse che non era mai stata in quell’isola e che, non avendo la minima esperienza nella cattura delle scimmie, temeva che non sarebbe stata capace di catturarne una.
«Certo», disse il capo del seguito, «se dipendesse dalla tua forza o dalla tua abilità, non ne cattureresti mai una. L’unico modo è giocare d’astuzia!»
«Come posso giocare d’astuzia con una scimmia? Non so come si fa», disse perplessa la medusa.
«Devi fare così», disse il capo del seguito. «Quando arrivi all’Isola delle Scimmie e ne incontri una, devi cercare di essere molto amichevole con lei. Dille che sei al servizio del Re Drago e invitala a venire a corte per visitare il palazzo reale. Cerca di descrivere nel modo più evocativo che puoi la grandezza del palazzo e le meraviglie del mare, in modo da suscitare la sua curiosità e da farle venire voglia di vedere tutto quanto!»
«Ma come faccio a portarla qui? Non lo sai che le scimmie non sanno nuotare?» disse la medusa sempre riluttante.
«La trasporterai sul dorso. A che ti serve la conchiglia se non sei in grado di farlo?» disse il capo seguito.
«Sarà molto pesante?» chiese ancora la kurage.
«A questo non devi pensare» rispose l’altro, «stai eseguendo un ordine del Re Drago».
«Farò del mio meglio», disse la medusa e nuotò fuori del palazzo partendo verso l’Isola delle Scimmie. Nuotando velocemente, in poche ore arrivò a destinazione e con l’aiuto di un’onda favorevole prese terra. Guardandosi intorno vide non molto lontano un grande pino con i rami penduli. Su uno dei rami c’era proprio quello che stava cercando: una scimmia viva.
“Che fortuna!” pensò la medusa. “Adesso devo blandire quella creatura e cercare di adescarla per portarla con me a palazzo, e avrò fatto la mia parte!”
E così la medusa si avvicinò lentamente al pino. Quando lo ebbe raggiunto, disse a voce alta:
«Come va, signora Scimmia? Bella giornata, vero?»
«Davvero splendida», rispose la scimmia dall’albero. «Non ti ho mai visto da queste parti prima d’ora. Da dove vieni e come ti chiami?»
«Mi chiamo kurage, cioè medusa. Sono un suddito del Re Drago. Ho sentito parlare così tanto della tua bella isola, che ho deciso di vederla».
«Sono felicissima di conoscerti», disse la scimmia.
«A proposito», disse la medusa, «hai mai visto il palazzo del Re Drago del Mare, dove vivo io?»
«Ne ho sentito parlare tante volte, ma non l’ho mai visto!» rispose la scimmia.
«Allora devi assolutamente venirci. È molto triste che tu passi la vita senza averlo visto. La bellezza di quel palazzo va al di là di qualunque descrizione, è il posto più bello del mondo», disse la medusa.
«È più bello di tutto quello che c’è qui?» chiese sbalordita la scimmia.
Allora la medusa capì di essere stata fortunata e cominciò a descrivere con tutta l’abilità di cui era capace la bellezza e la grandezza del palazzo del Re del Mare e le meraviglie dei giardini con i loro strani alberi di corallo rosso, bianco e rosa, e i frutti ancora più strani, simili a grandi gemme, che pendevano dai rami. La scimmia si mostrava sempre più interessata e mentre ascoltava scese un po’ alla volta dall’albero per non perdere una parola di quel racconto meraviglioso.
“Adesso devo catturarla!” pensò la medusa, poi disse ad alta voce:
«Signora Scimmia, ora devo proprio andare. Ma dal momento che non hai mai visto il palazzo del Re del Mare, non vorresti approfittare di questa splendida occasione e venire con me? Potrò farti da guida e mostrarti tutti i più bei panorami del mare, cose assolutamente meravigliose per te, che sei una misera abitante della terraferma».
«Mi piacerebbe», disse la scimmia, «ma come faccio a muovermi attraverso l’acqua? Io non so nuotare, tu certamente sì».
«Nessun problema. Ti trasporterò sul mio dorso».
«Questo ti darà molto disturbo», disse la scimmia.
«Sarà una cosa da niente. Sono più forte di quel che sembra, quindi non esitare», disse la medusa e caricata la scimmia sul dorso, si diresse verso il mare.
«Stai assolutamente ferma, signora Scimmia», disse la medusa. «Non devi cadere in mare. Ho la responsabilità di farti arrivare sana e salva al palazzo del Re».
«Ti prego, non andare troppo veloce, altrimenti sono sicura di cadere», disse la scimmia.
E così la medusa viaggiava sfiorando la spuma delle onde con la scimmia seduta sul dorso. Quando furono circa a metà strada, la medusa, che sapeva ben poco di anatomia, cominciò a chiedersi se la scimmia avesse portato con sé il fegato oppure no.
«Signora Scimmia, dimmi, hai portato con te una cosa che si chiama “fegato”?»
La scimmia si meravigliò molto di questa domanda e chiese alla medusa perché le interessava un fegato.
«È la cosa più importante», disse l’ingenua medusa, «per questo appena me ne sono ricordata, ti ho chiesto se hai portato il tuo con te».
«Perché il mio fegato è tanto importante per te?» chiese la scimmia.
«Oh, lo scoprirai più tardi», rispose la medusa.
La scimmia diventava sempre più curiosa e sospettosa, e incalzava la medusa perché le dicesse il motivo per cui qualcuno cercava il suo fegato. Alla fine fece appello ai buoni sentimenti della medusa dicendole che quello che aveva sentito la turbava molto.
Allora la medusa, vedendo quanto era preoccupata la scimmia, s’impietosì e le raccontò ogni cosa. Della Regina Drago che si era ammalata, del dottore che aveva detto che solo il fegato di una scimmia viva avrebbe potuto farla guarire e del Re Drago che l’aveva mandata a cercarne una.
«Ora ho eseguito quanto mi era stato comandato, e non appena arriveremo al palazzo, il dottore, mi dispiace per te, vorrà il tuo fegato», concluse la medusa.
Quando venne a sapere tutto questo, la povera scimmia fu terrorizzata e nello stesso tempo si arrabbiò moltissimo per il tiro che le era stato giocato. Tremava di paura al pensiero di quello che era in serbo per lei.
Ma la scimmia era un animale intelligente e capì che la cosa più saggia da fare era di non mostrare segni della paura che provava. Così si sforzò di calmarsi e di pensare a un modo per fuggire.
“Il dottore ha intenzione di aprirmi e di tirarmi fuori il fegato! Ma io non voglio morire!” pensava la scimmia. Alla fine le venne un’idea luminosa e disse con vivacità alla medusa:
«Che peccato, signora Medusa, che non tu non mi abbia detto queste cose prima che lasciassimo l’isola!»
«Se ti avessi detto perché volevo portarti con me, sicuramente avresti rifiutato di venire», rispose la medusa.
«Ti sbagli», disse la scimmia. «Noi scimmie regaliamo volentieri uno o due fegati, specialmente se servono per la Regina Drago del Mare. Se solo avessi immaginato a cosa ti serviva, te lo avrei regalato senza aspettare che me lo chiedessi. Io ho un bel po’ di fegati, ma mi dispiace moltissimo che tu non me lo abbia detto in tempo: ho lasciato tutti i miei fegati appesi a quel pino».
«Hai lasciato là tutti i tuoi fegati?» chiese la medusa.
«Certo», disse la furba scimmia, «durante il giorno di solito lascio i fegati appesi ai rami di un albero, perché è molto più comodo quando devo arrampicarmi da un albero all’altro. Oggi, mentre ascoltavo il tuo interessante racconto, me li sono completamente dimenticati e li ho lasciati là quando sono venuta con te. Se me lo avessi detto in tempo, me ne sarei ricordata e li avrei portati con me!»
Quando sentì questo, la medusa fu molto contrariata, perché credeva a ogni parola della scimmia. La scimmia non serviva a niente senza un fegato, per cui la medusa si fermò e lo disse alla scimmia.
«A questo si rimedia in fretta», disse la scimmia. «Sono molto dispiaciuta per le tue preoccupazioni, ma basta che mi riporti indietro fino al luogo dove mi hai incontrata, e in un attimo potrò ricuperare i miei fegati».
Alla medusa non andava assolutamente a genio di rifare tutta la strada fino all’isola, ma la scimmia le garantì che se fosse stata così gentile da riportarla indietro, avrebbe avuto il suo fegato migliore, e che in un’altra occasione non si sarebbe più dimenticata di portare i fegati con sé. Allora la medusa si convinse e si diresse di nuovo verso l’Isola delle Scimmie.
Neanche un attimo dopo che la medusa ebbe raggiunto la spiaggia, la scimmia astuta balzò a terra e, arrampicandosi sul pino dove la medusa l’aveva vista la prima volta, fece un bel po’ di capriole tra i rami, felice di essere di nuovo a casa sana e salva. Poi, guardando verso la medusa, disse:
«Grazie mille per tutto il disturbo che ti sei presa! Porta tutti i miei ossequi al Re Drago quando torni!»
La medusa si stupì di queste parole e del tono di scherno con cui erano pronunciate. Chiese quindi alla scimmia se non avesse intenzione di ripartire con lei non appena avesse preso il fegato.
La scimmia rispose ridendo che non poteva permettersi di perdere il suo fegato: era troppo prezioso.
«Ma ricordati la tua promessa!» supplicò la medusa che ormai era del tutto scoraggiata.
«Era una falsa promessa, e ad ogni modo adesso è rotta!» rispose la scimmia.
E cominciò a prendere in giro la medusa dicendole che l’aveva sempre ingannata, e che non aveva intenzione di perdere la vita, cosa che sarebbe certamente accaduta se fosse arrivata al palazzo del Re del Mare dove il dottore la stava aspettando, anziché convincere con falsi pretesti la medusa a tornare indietro.
«E naturalmente non voglio darti il mio fegato. Vieni qui e prenditelo, se ne sei capace!» aggiunse con scherno la scimmia dall’alto dell’albero.
Per la medusa non rimaneva altro da fare che pentirsi della sua ingenuità e fare ritorno dal Re Drago del Mare per confessargli il proprio fallimento. E così, triste e lenta, riprese il mare. L’ultima cosa che udì mentre scivolava via lasciando l’isola alle sue spalle, fu la risata di scherno della scimmia verso di lei.
Nel frattempo il Re Drago, il dottore, il capo del seguito e tutti i servitori stavano aspettando con impazienza il ritorno della medusa. Quando la videro avvicinarsi al palazzo, esultarono e la ringraziarono per tutto il disturbo che si era presa andando fino all’Isola delle Scimmie, poi le chiesero dov’era la scimmia.
Per la medusa era arrivata l’ora della resa dei conti. Tremava come una foglia mentre raccontava tutta la storia. Riferì di come aveva portato la scimmia attraverso il mare fino a metà strada e le aveva scioccamente svelato il segreto della sua missione, e di come la scimmia l’aveva ingannata facendole credere di aver dimenticato di portare il fegato con sé.
Il furore del Re Drago fu indescrivibile e diede subito ordine che la medusa fosse severamente punita. La punizione era orribile. Dovevano esserle strappate tutte le ossa e doveva essere percossa con dei bastoni.
La povera medusa, umiliata e spaventata oltre ogni dire, implorava perdono. Ma bisognava obbedire al comando del Re Drago. I servitori del palazzo si fecero avanti impugnando dei bastoni e circondarono la medusa. Dopo averle strappato tutte le ossa, la percossero fino a ridurla in poltiglia, quindi la gettarono in mare fuori del palazzo. Non le era rimasto altro che soffrire e pentirsi della sua lingua troppo lunga, e abituarsi a crescere nella sua nuova condizione senza ossa.
Questa storia dimostra che un tempo le meduse avevano una conchiglia e quattro zampe un po’ come la tartaruga, ma da quando fu eseguita la sentenza del Re Drago sull’antenata delle meduse, le sue discendenti sono state molli e senza ossa, come si possono vedere oggi nelle acque vicino alle spiagge del Giappone.
FINE
Immagini provenienti dai siti: http://durendal.org