Leggende Orientali – LA BELLA RAGAZZA CIECA

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Leggenda dal Giappone

Tradotta da Dario55

LA BELLA RAGAZZA CIECA

irca trecento anni fa viveva a Maidzuru, nella provincia di Tango (che attualmente è la parte settentrionale della prefettura di Kyoto) un ragazzo di nome Kichijiro.
Kichijiro era nato nel villaggio di Tai, dove era nato anche il padre, ma alla morte di lui si era trasferito a Maidzuru con il fratello maggiore, Kichisuke. Il fratello era l’unica persona con cui aveva contatti; si era preso cura di lui per quattro anni e l’aveva allevato e istruito dagli undici ai quindici anni. Kichijiro gli era molto riconoscente e decise che, ora che aveva quindici anni, non doveva più essere un peso per lui, ma doveva incominciare a camminare da solo per il mondo.
Dopo aver cercato per qualche settimana, Kichijiro trovò lavoro presso Shiwoya Hachiyemon, un mercante di Maidzuru. Lavorava molto duramente, tanto che ben presto conquistò l’amicizia del padrone; Hachiyemon a sua volta nutriva una profonda stima per il suo apprendista, lo privilegiava in molti modi rispetto ai commessi più vecchi e infine gli affidò la chiave del forziere che conteneva documenti e molto denaro.
Ora Hachiyemon aveva una figlia dell’età di Kichijiro, molto bella e di ottime speranze, che s’innamorò perdutamente di Kichijiro, il quale all’inizio non ne sapeva nulla. La ragazza si chiamava Ima, O Ima San, ed era una di quelle ragazze dalla faccia rotonda, dolce e sorridente che puoi trovare solo in Giappone, un misto di giallo e rosso, con i capelli e le sopracciglia di un nero corvino. Qualche volta Ima faceva dei complimenti a Kichijiro, ma lui era un ragazzo che pensava poco all’amore. Aveva in progetto di andare per il mondo, e il matrimonio era una cosa che non si era ancora fatta strada nella sua mente.
Dopo circa sei mesi di lavoro alle dipendenze di Hachiyemon, Kichijiro era arrivato a godere della più alta stima da parte del padrone; ma agli altri commessi non piaceva. Erano gelosi, specialmente uno di loro, Kanshichi, che lo odiava non solo perché godeva dei favori del mercante, ma anche perché era innamorato di O Ima, che aveva respinto più volte i suoi approcci. Questo odio segreto crebbe a tal punto, che alla fine Kanshichi, che era un uomo malvagio e intrigante, giurò che si sarebbe vendicato di Kichijiro e, se necessario, anche del padrone Hachiyemon e della figlia.
Un giorno capitò un’occasione.
La fiducia del padrone in Kichijiro era così profonda, che lo aveva mandato a Kasumi, nella provincia di Tajima (ora nella parte settentrionale della prefettura di Hyogo), per trattare l’acquisto di una giunca. Mentre era via, Kanshichi s’introdusse nella camera dove si trovava il forziere e portò via due sacchetti che contenevano monete d’oro per un valore di 200 ryō. Cancellò ogni traccia della sua azione e tornò tranquillamente al lavoro. Due o tre giorni dopo Kichijiro fece ritorno dopo aver portato a termine con successo il suo incarico, riferì al padrone, poi tornò al lavoro consueto. Controllando il forziere, si accorse che mancavano i 200 ryō d’oro, e non appena lo ebbe riferito, la bottega e la gente di casa piombarono in uno stato di grande agitazione.
Dopo qualche ora di ricerca affannosa, il denaro fu trovato in un koro (bruciatore d’incenso) appartenente a Kichijiro, e nessuno fu più stupito di lui. Inutile dire che l’aveva trovato Kanshichi, dato che ce l’aveva messo proprio lui, ma non accusò Kichijiro di averlo rubato: il suo piano era molto più complesso. Il fatto che il denaro fosse stato trovato proprio lì sarebbe stato sufficiente perché Kichijiro dichiarasse qualcosa. Naturalmente Kichijiro si dichiarò del tutto innocente e disse che quando era partito per Kasumi, i soldi c’erano, li aveva visti poco prima di partire.
Hachiyemon era molto angustiato. Credeva nell’innocenza di Kichijiro, ma come avrebbe potuto dimostrarlo? Vedendo che il padrone non credeva Kichijiro colpevole, Kanshichi decise che doveva fare qualcosa che rendesse praticamente impossibile per Hachiyemon prendere altra decisione che quella di mandar via l’odiato rivale Kichijiro. Si avvicinò al padrone e disse:
«Signore, in quanto capo dei tuoi commessi, devo dirti che, malgrado forse Kichijiro sia innocente, i fatti dimostrano che non lo è, altrimenti come avrebbe fatto il denaro a finire nel suo koro? Se non sarà punito, il furto ricadrà su tutti noi tuoi commessi, che ti siamo fedeli servitori, e io stesso dovrò abbandonare il tuo servizio, e gli altri lo farebbero, così tu non saresti più in grado di continuare la tua attività. Perciò, signore, mi permetto di dirti che sarebbe consigliabile per il tuo stesso interesse mandar via Kichijiro, la cui sventura peraltro mi addolora profondamente».
Hachiyemon riconobbe che il ragionamento era valido e approvò. Mandò a chiamare Kichijiro e gli disse:
«Kichijiro, anche se ne sono profondamente addolorato, sono obbligato a mandarti via. Non credo che tu sia colpevole, ma sono sicuro che se non ti mando via, tutti i miei commessi mi abbandoneranno, e io andrò in rovina. Per dimostrarti che credo nella tua innocenza, ti rivelerò che mia figlia Ima è innamorata di te e che se lo vorrai, dopo che avrai dimostrato la tua innocenza, per me sarebbe un grandissimo piacere se tu diventassi mio genero. Ora va e cerca di trovare un modo per dimostrare la tua innocenza. Che i miei migliori auguri ti accompagnino».
Kichijiro era molto triste. Proprio adesso che doveva andarsene, scopriva di aver perso più della semplice amicizia della dolce O Ima. Con le lacrime agli occhi promise al padre che sarebbe ritornato, avrebbe dimostrato la sua innocenza e avrebbe sposato O Ima, e finalmente lui e O Ima parlarono d’amore per la prima volta. Si promisero l’uno con l’altra che non avrebbero avuto pace fino a quando quel subdolo ladro non fosse stato smascherato e che allora si sarebbero finalmente riuniti in modo che nessuno avrebbe mai più potuto dividerli.
Poi Kichijiro si recò dal fratello Kichisuke al villaggio di Tai per chiedergli consiglio su cosa sarebbe stato meglio fare per ricuperare la propria buona reputazione. Dopo qualche settimana, grazie all’interessamento del fratello, trovò un lavoro a Kyoto presso il suo unico zio. Qui lavorò fedelmente e senza risparmiarsi per quattro lunghi anni, procurando ottima fama all’attività commerciale e guadagnandosi la stima e l’ammirazione dello zio, che lo nominò erede delle sue considerevoli proprietà terriere e lo volle come socio nella propria attività. E così Kichijiro, all’età di vent’anni, si trovò ad essere un uomo abbastanza ricco.
Nel frattempo la disgrazia si era abbattuta sulla graziosa O Ima. Dopo che Kichijiro aveva lasciato Maidzuru, Kanshichi aveva cominciato a importunarla con le sue attenzioni. Lei non voleva saperne di lui, non gli voleva nemmeno parlare, mentre lui molto irritato dal questo comportamento cercava di coglierla di sorpresa. Una volta ricorse addirittura alla violenza e tentò di prenderla con la forza. Di questo lei si lamentò con il padre, il quale licenziò immediatamente Kanshichi.
Questo rese il malvagio Kanshichi più furente che mai. Come dice il proverbio giapponese: “Kawaisa amatte nikusa ga hyakubai”, che significa “Il troppo amore è odio”, così l’amore di Kanshichi si trasformò in odio e cominciò a pensare al modo per vendicarsi di Hachiyemon e O Ima. Il sistema più semplice, pensò, sarebbe stato di incendiare la loro casa, gli uffici e i magazzini delle merci: per loro sarebbe stata la rovina. E così una notte Kanshichi si preparò a mettere in atto i suoi propositi e ci riuscì perfettamente, tranne che fu colto sul fatto e subì una pesante condanna per il suo crimine. Fu l’unica soddisfazione per il povero Hachiyemon, che ormai era completamente rovinato; licenziò i commessi e si ritirò dagli affari, perché era troppo vecchio per ricominciare.
Senza possedere altro al mondo che la propria esistenza, Hachiyemon e la sua bella figlia vivevano in una piccola capanna in riva al fiume, dove l’unico piacere per Hachiyemon era andare a pesca di carpe. Per tre anni questa fu la sua vita, poi si ammalò e morì. La povera O Ima fu abbandonata a se stessa, amabile come sempre, ma tanto triste. I pochi amici che aveva ceravano di convincerla a sposare qualcuno – chiunque, dicevano, piuttosto che vivere in solitudine – ma lei non ascoltava i consigli. «È meglio vivere povera e sola», diceva, «piuttosto che sposare uno che non ami. Io non posso amare nessuno se non Kichijiro, anche se non lo rivedrò mai più».
In quell’occasione O Ima disse la verità senza saperlo, perché, com’è vero che non esiste pentola senza il suo coperchio, le disgrazie di O Ima non erano finite. Una malattia la colpì agli occhi e in meno di due mesi dopo la morte del padre la povera ragazza era cieca, senza nessuno che si occupasse delle sue necessità, tranne una vecchia balia che provava un grande affetto per lei a causa di tutte le sue sofferenze. Ima aveva denaro appena sufficiente per comprare un po’ di riso.
Fu proprio in quel periodo che Kichijiro raggiunse il massimo del successo: lo zio lo aveva preso come socio nell’attività e aveva fatto un testamento in cui lo nominava erede universale. Kichijiro decise allora di andare a Maidzuru per riferirlo al suo vecchio padrone e chiedergli la mano della figlia O Ima. Quando ebbe appreso tutta la triste storia e della cecità di Ima, Kichijiro si recò alla capanna della ragazza.

Kichijiro ritrova la povera O Ima cieca

La povera O Ima uscì e si gettò tra le sue braccia, piangendo amaramente e gridando: «Kichijiro, amore mio! Questa per me è la sofferenza peggiore. La perdita della vista non è niente, in confronto al fatto che ora che sei tornato, non posso vederti e posso solo immaginare il tuo volto amato! Ma la cosa più triste è che ora non potrai più sposarmi».
Kichijiro la abbracciò e la carezzò dicendo: «Adorata Ima, non essere così avventata nei tuoi pensieri. Non ho mai smesso di pensare a te, anzi, ho continuato ad amarti sempre più appassionatamente. Adesso ho una casa e delle proprietà a Kyoto, ma se tu preferisci così, vivremo insieme in questa capanna. Sono pronto a fare tutto ciò che desideri. Voglio rimettere in piedi la vecchia attività di tuo padre per il bene della tua famiglia, ma prima di tutto ci sposeremo e non ci separeremo mai più. Lo faremo domani stesso. Poi ce ne andremo insieme a Kyoto da mio zio a chiedere il suo parere. È sempre buono e gentile e gli piacerai, sono sicuro che gli piacerai».
Il giorno dopo si misero in viaggio per Kyoto, e Kichijiro incontrò il fratello e lo zio, nessuno dei quali ebbe nulla da ridire al matrimonio di Kichijiro, anche se la sposa era cieca. Anzi, lo zio era così soddisfatto della fedeltà del nipote, che gli donò subito la metà del suo capitale.
Kichijiro costruì una nuova casa e nuovi uffici a Maidzuru nello stesso luogo dove si trovavano quelli del suo primo padrone Hachiyemon. Rimise completamente in piedi l’attività chiamandola “Shiwoya Hachiyemon Seconda”.
Nel giardino della loro casa di Maidzuru c’era una montagnola artificiale sulla cui cima Kichijiro fece costruire un piccolo mausoleo in memoria del suocero Hachiyemon.
Ai piedi della montagnola fece collocare una lapide in ricordo di Kanshichi. In questo modo intendeva ricambiare con la gentilezza la malvagità di Kanshichi, ma nello stesso tempo dimostrare a tutti che i malfattori non potranno mai illudersi di salire in alto. La speranza è che gli spiriti dei due uomini morti si siano riconciliati.
A Maidzuru si dice che i due monumenti alla memoria esistono ancora.

FINE

Testo originale e illustrazione in: http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj41.htm

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