Leggende Orientali – IL SOGNO DI AKINOSUKE
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
IL SOGNO DI AKINOSUKE
Nel distretto di Toichi della provincia di Yamato viveva un goshi di nome Miyata Akinosuke. All’epoca del Giappone feudale, i goshi erano una classe privilegiata di soldati proprietari terrieri.
Nel giardino di Akinosuke cresceva un grande e antico albero di cedro sotto il quale egli andava a riposare nei giorni afosi. Durante un pomeriggio molto caldo, Akinosuke era seduto sotto l’albero con due altri goshi suoi amici, chiacchierando e bevendo del vino, quando tutto a un tratto si sentì molto assonnato, tanto assonnato che pregò gli amici di scusarlo se avrebbe schiacciato un pisolino davanti a loro. Ciò detto, si sdraiò ai piedi dell’albero e fece questo sogno.
Gli sembrava di stare sdraiato lì nel giardino e di vedere una processione, un corteo di grandi daimyo che scendeva dalla collina lì vicino. Allora si alzò per vederla meglio. Era una processione davvero imponente, molto più di tutte quelle simili che aveva visto prima di allora, e avanzava verso la sua casa.
Notò che all’avanguardia procedeva un gran numero di giovani uomini abbigliati con abiti ricchi e sfarzosi, che trainavano un imponente carro da viaggio laccato, un gosho-guruma, con tende di seta color blu brillante.
Quando la processione arrivò a breve distanza dalla casa, si fermò, e un uomo abbigliato riccamente – evidentemente una persona di rango – si staccò da esso e si avvicinò ad Akinosuke, s’inchinò profondamente e disse:
«Venerato signore, colui che vedi davanti a te è un kerai [vassallo] del Kokuo di Tokoyo. Il mio padrone, il Re, mi ordina di salutarti nel suo augusto nome e di mettermi a tua completa disposizione. Mi ordina anche di farti conoscere il suo augusto desiderio che tu lo onori della tua presenza a palazzo. Abbi pertanto la compiacenza di salire su questo onorevole carro che ha inviato per trasportarti».
Udendo queste parole Akinosuke avrebbe voluto replicare in modo adatto alla circostanza, ma era troppo sbalordito e imbarazzato per riuscire a parlare, e in quel momento gli sembrò che la sua volontà venisse meno, tanto che riuscì a fare soltanto quello che il kerai gli chiedeva.
Entrò nel carro. Il kerai sedette accanto a lui e diede un segnale: i portatori afferrarono le corde di seta e fecero girare il grande veicolo verso sud. E così il viaggio ebbe inizio.
In brevissimo tempo, con la meraviglia di Akinosuke, il carro si fermò di fronte a un enorme romon [cancello] in stile cinese che non aveva mai visto. Il kerai scese e disse: «Vado ad annunciare il tuo onorevole arrivo», quindi scomparve.
Dopo una breve attesa, Akinosuke vide arrivare dal cancello due uomini dall’aspetto nobile, vestiti di seta purpurea, con alti copricapi che indicavano un grado elevato. Dopo averlo salutato con rispetto, i due lo aiutarono a scendere dal carro e lo guidarono oltre il grande cancello e attraverso un vasto giardino fino all’ingresso di un palazzo la cui facciata sembrava estendersi per miglia e miglia verso est e verso ovest. Akinosuke fu quindi accompagnato in uno splendido ed enorme salone. La sua guida lo fece sedere al posto d’onore e si fece rispettosamente da parte, lasciando che cameriere in costume da cerimonia gli servissero dei rinfreschi. Mentre Akinosuke faceva onore ai rinfreschi, i due accompagnatori in abiti purpurei s’inchinarono leggermente davanti a lui e gli rivolsero queste parole, parlando a turno secondo il cerimoniale di corte:
«È nostro onorevole compito informarti… del motivo per cui sei stato convocato qui… È augusto desiderio del nostro padrone, il Re, che tu diventi suo genero… ed egli desidera e ordina che tu sposi oggi stesso… l’Augusta Principessa sua figlia… Ti condurremo immediatamente alle stanze… in cui Sua Altezza attende di riceverti… ma bisognerà che prima ti adorniamo… con gli abiti da cerimonia adeguati».
Dopo aver pronunciato queste parole, i due accompagnatori si alzarono e si diressero a una nicchia in cui si trovava una grande cassa di oro e lacca. La aprirono e ne estrassero abiti, cinture e ornamenti di materiali raffinati e di lussuosa fattura, e un kamuri, ossia un copricapo regale. Con questi abbigliarono Akinosuke in modo conveniente a uno sposo, poi lo condussero alla sala delle udienze, dove vide il Kokuo di Tokoyo seduto su un trono di legno intarsiato. Indossava un alto copricapo nero e abiti di seta gialla. Davanti al trono, una moltitudine di dignitari seduti in ordine di grado, immobili e stupendi come simulacri in un tempio. Akinosuke, avanzando tra le loro file, salutò il Re con il triplice inchino fino a terra, come era d’usanza. Il Re gli diede il benvenuto con parole gentili, poi disse:
«Sei già stato informato del motivo per cui sei stato convocato alla Nostra presenza. Abbiamo deciso che tu diventerai il marito della Nostra unica figlia, e la cerimonia di nozze sarà immediatamente celebrata».
Non appena il Re ebbe finito di parlare, si sentì un suono di musica festosa, e un lungo corteo di belle dame di corte uscì da dietro una cortina per condurre Akinosuke alla stanza in cui la sposa lo attendeva.
La sala era immensa, ma riusciva a malapena a contenere la moltitudine di ospiti riuniti per essere testimoni della cerimonia nuziale. Tutti si inchinarono davanti ad Akinosuke quando prese posto di fronte alla figlia del Re sul cuscino inginocchiatoio preparato per lui.
La sposa comparve come una figlia celeste, e i suoi vestiti avevano lo splendore di un cielo d’estate.
Il matrimonio fu celebrato fra la più grande gioia.
La coppia fu poi condotta agli appartamenti preparati per loro in un’altra ala del palazzo; qui ricevettero i rallegramenti di molte persone nobili insieme a innumerevoli doni nuziali.
Alcuni giorni dopo Akinosuke fu convocato nuovamente nella sala del trono. Qui ricevette un’accoglienza ancora più cortese della volta precedente, e il Re gli disse:
«Nel sudovest del Nostro regno c’è un’isola di nome Raishu. Ti abbiamo nominato Governatore di quell’isola. Troverai una popolazione leale e sottomessa, ma le loro leggi non sono ancora state armonizzate con le leggi di Tokoyo, e le loro usanze non sono ancora state adeguate alle nostre. Ti affidiamo il compito di migliorare il più possibile la loro condizione sociale ed è Nostro desiderio che tu li governi con bontà e saggezza. Tutti i preparativi necessari per il tuo viaggio a Raishu sono già stati fatti».
E così Akinosuke e la sua sposa partirono dal palazzo di Tokoyo accompagnati fino alla spiaggia da un folto seguito di nobili e dignitari e si imbarcarono su una nave messa a disposizione dal Re. Con il favore dei venti veleggiarono tranquilli fino a Raishu e trovarono la pacifica popolazione dell’isola riunita sulla spiaggia per dar loro il benvenuto.
Akinosuke s’immerse nei suoi nuovi doveri e si accorse che non erano né duri né impegnativi. Durante i primi tre anni di governatorato si occupò principalmente di definire le leggi e di metterle in atto; aveva saggi consiglieri che lo aiutavano e non trovò mai sgradevole il lavoro. Quando tutto fu completato, non aveva più compiti attivi da eseguire, a parte occuparsi dei riti e delle cerimonie prescritti dalla tradizione antica. Il paese era così fertile e salubre e la gente era così pacifica e laboriosa che nessuna legge fu mai violata. Akinosuke dimorò a Raishu per più di ventitré anni, durante i quali la sua vita non fu mai attraversata dal minimo dispiacere.
Ma nel ventiquattresimo anno di governatorato una grande disgrazia si abbatté su di lui: sua moglie, che gli aveva dato sette figli, cinque maschi e due femmine, si ammalò e morì. Fu seppellita con grande pompa in cima a una bella collina nel distretto di Hanryoko e sulla sua tomba fu collocato un monumento d’immenso splendore. Ma il dolore di Akinosuke per la sua morte era così grande che non aveva più voglia di vivere.
Quando fu trascorso il periodo legale di lutto, venne da Raishu uno shisha, ossia un messaggero reale, proveniente dal palazzo di Tokoyo. Lo shisha consegnò ad Akinosuke un messaggio di condoglianze, poi gli disse:
«Queste sono le parole che il nostro augusto signore, il Re di Tokoyo, mi ordina di riferirti: “Ti rimanderemo fra la tua gente nel tuo paese. Quanto ai sette bambini, sono nipoti del Re e saranno accuditi nel modo più adatto. Perciò non permettere alla tua anima di preoccuparsi per loro”».
Quando ricevette questo comando, Akinosuke si preparò obbediente alla partenza. Non appena tutti i suoi affari furono sistemati e la cerimonia di addio ai consiglieri e agli ufficiali di fiducia fu terminata, lo scortarono con molto onore al porto. Qui s’imbarcò sulla nave mandata per lui, e la nave spiegò le vele nel mare turchino sotto il cielo blu, finché anche la forma dell’isola di Raishu divenne turchina, poi grigia fino a svanire per sempre… e Akinosuke si svegliò di colpo sotto il cedro del suo giardino!
Per un attimo fu stordito e intontito, ma poi si accorse che i due amici erano ancora seduti accanto a lui, bevendo e chiacchierando allegramente. Li fissò con aria confusa e disse ad alta voce:
«Che strano!»
«Akinosuke deve aver fatto un sogno!», esclamò ridendo uno dei due goshi. «Cosa hai visto di tanto strano, Akinosuke?»
Allora Akinosuke raccontò il sogno – quel sogno durato ventitré anni nel regno di Tokoyo, nell’isola di Raishu – e gli amici furono meravigliati, perché in realtà aveva dormito solo per pochi minuti.
Uno di loro disse:
«Hai visto davvero delle cose strane. Anche noi abbiamo visto qualcosa di strano mentre dormivi. Una piccola farfalla gialla ha svolazzato sulla tua faccia per qualche attimo, e noi la guardavamo. Poi si è posata sul prato accanto a te, vicino all’albero e appena si è posata, una formica molto grande è uscita da un buco, l’ha afferrata e l’ha trascinata giù nel buco. Un attimo prima che tu ti svegliassi abbiamo visto la farfalla uscire dal buco e svolazzare sulla tua faccia come prima. Poi è sparita all’improvviso e non sappiamo dove sia andata».
«Forse era l’anima di Akinosuke», disse l’altro amico, «e abbiamo pensato di vederla volare nella sua bocca… Ma anche se la farfalla era l’anima di Akinosuke, questo non spiega il sogno».
«La formica può spiegarlo», replicò il primo. «Le formiche possono essere dei goblin… Probabilmente c’è un grosso nido di formiche sotto questo cedro».
«Controlliamo!», esclamò Akinosuke molto colpito dal suggerimento e andò a prendere una vanga.
Il terreno sotto il cedro e tutto intorno era stato scavato in modo sorprendente da una enorme colonia di formiche. All’interno delle loro gallerie le formiche avevano costruito e le loro minuscole costruzioni di paglia, argilla e fili d’erba somigliavano stranamente a una città in miniatura. Al centro di una struttura molto più larga delle altre c’era un fantastico sciamare di piccole formiche attorno al corpo di una enorme formica dalle ali giallastre e con una lunga testa nera.
«Perbacco!», esclamò Akinosuke. «C’è il re che ho sognato! e c’è il palazzo di Tokoyo! Che cosa straordinaria! Raishu dovrebbe essere da qualche parte a sudovest… a sinistra di quella grossa radice… Sì, eccola! Che cosa strana! Adesso sono sicuro che troverò il monte di Hanryoko e la tomba della principessa…».
Cercò e cercò tra le rovine del nido e alla fine scoprì una minuscola collinetta sulla cui cima era fissato un sassolino levigato dall’acqua che somigliava a un monumento buddista. Sotto di esso, incorporato nell’argilla, trovò il cadavere di una formica femmina.
FINE