Leggende Orientali – IL SIGNORE DEL SACCHETTO DI RISO
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
IL SIGNORE DEL SACCHETTO DI RISO
Tantissimi anni or sono viveva in Giappone un valoroso guerriero conosciuto con l’appellativo di Tawara Toda ossia “Il Signore del Sacchetto di Riso”. Il suo vero nome era Fujiwara Hidesato, e la storia di come cambiò nome è molto curiosa.
Un giorno uscì in cerca di avventure, perché aveva una natura guerriera e non poteva sopportare di starsene inoperoso. Così si allacciò le due spade, afferrò il suo enorme arco, molto più grande di lui, si appese alla schiena la faretra e partì. Non era andato molto lontano che arrivò al ponte di Seta-no-Karashi che collega le due rive del bel lago Biwa. Aveva appena messo piede sul ponte che vide disteso di traverso rispetto alla sua direzione un gigantesco drago. Aveva un corpo così grande, che sembrava il tronco di un enorme pino e occupava l’intera larghezza del ponte. Uno dei suoi grossi artigli era appoggiato sul parapetto da un lato del ponte, mentre la coda era posata lungo l’altro parapetto. Il mostro sembrava addormentato e ogni volta che respirava gli uscivano fuoco e fumo dalle narici.
In un primo momento Hidesato non poté evitare di spaventarsi alla vista di quell’orribile rettile e avrebbe voluto tornare indietro. Ma era un uomo coraggioso e messa da parte la paura, si avvicinò. Un passo dopo l’altro raggiunse il drago, fu tra le sue spire e senza guardarsi indietro proseguì il suo cammino.
Non aveva fatto che pochi passi, quando udì qualcuno che lo chiamava da dietro. Voltandosi fu molto sorpreso nel vedere che il drago mostruoso era scomparso e al suo posto c’era un uomo dall’aspetto strano che s’inchinava verso terra molto cerimoniosamente. Aveva capelli rossi fluenti sulle spalle, portava una corona a forma di testa di drago e il suo abito color verde mare era fatto di conchiglie.
Hidesato si accorse subito che non si trattava di un comune mortale e si meravigliò molto per quello strano avvenimento. Dov’era andato il drago in un tempo così breve? O forse si era trasformato in quell’uomo? E in questo caso che significava tutto ciò? Mentre questi pensieri gli attraversavano la mente, si era avvicinato all’uomo sul ponte e ora si rivolgeva a lui:
«Sei tu che mi hai chiamato?»
«Sì, sono stato io», rispose l’uomo. «Devo rivolgerti una richiesta molto grave. Pensi che potrai esaudirla?»
«Se potrò, la esaudirò», rispose Hidesato, «ma prima dimmi chi sei».
«Sono il Re Drago del Lago e la mia casa si trova in queste acque proprio sotto questo ponte.
«E cosa mi devi chiedere?» disse Hidesato.
«Desidero che tu uccida il mio mortale nemico, il centopiedi, che vive sulla montagna al di là del lago», e il Re Drago indicò un alta vetta sulla riva opposta. «Ho vissuto molti anni in questo lago e ho una numerosa famiglia, con molti figli e nipoti. È ormai da tempo che viviamo nel terrore, perché il mostruoso centopiedi ha scoperto la nostra casa e una notte dopo l’altra arriva e porta via uno della mia famiglia. Non ho il potere di salvarli. Se continua così, nessuno potrà salvare i miei figli, anzi io stesso cadrò vittima del mostro. Per questo sono molto infelice e nella disgrazia ho deciso di chiedere l’aiuto di un essere umano. Per molti giorni ho aspettato sul ponte con questa intenzione dopo aver assunto la forma di un terribile drago, nella speranza che un uomo forte e coraggioso mi passasse accanto. Ma tutti quelli che percorrevano il ponte, non appena mi vedevano, erano presi dal terrore e correvano via più in fretta che potevano. Tu sei stato il primo capace di vedermi senza spaventarti, quindi so che sei un uomo molto coraggioso. Ti prego di avere compassione di me. Mi aiuterai a uccidere il mio nemico, il centopiedi?»
Hidesato provò molta pena nell’ascoltare la storia del Re Drago e prontamente promise che avrebbe fatto quello che poteva per aiutarlo. Chiese dove abitava il centopiedi in modo di poter attaccare subito la creatura. Il Re Drago rispose che abitava sul monte Mikami, ma dal momento che tutte le notti a una certa ora andava al palazzo nel lago, sarebbe stato meglio aspettarlo fino a quel momento. Hidesato fu dunque condotto al palazzo del Re Drago sotto il ponte. Strano a dirsi, mentre seguiva il suo ospite verso il fondo, le acque si aprivano per farlo passare e i vestiti non sembravano nemmeno inumidirsi mentre attraversava le onde.
Hidesato non aveva mai visto niente di più bello di quel palazzo costruito in marmo bianco sotto le acque del lago. Aveva sentito spesso parlare del palazzo del Re del Mare in fondo all’oceano, in cui i servitori e la gente del seguito erano pesci d’acqua salata, ma qui sul fondo del lago Biwa sorgeva un palazzo splendido. Graziosi ciprini, carpe rosse e trote argentate aspettavano il Re Drago e il suo ospite.
Hidesato fu sbalordito dalla festa fatta per lui. I piatti erano fiori e foglie di loto vetrificati, e i bastoncini erano del più prezioso ebano. Non appena si sedette, i pannelli scorrevoli si aprirono e dieci graziosissimi ciprini danzatori uscirono, e dietro di loro vennero dieci carpe rosse musicanti con il koto [l’arpa giapponese orizzontale] e il samisen [il liuto giapponese a manico lungo]. E così passarono le ore fino a mezzanotte, mentre la musica e la danza avevano allontanato ogni pensiero del centopiedi. Il Re Drago stava per brindare al guerriero con una tazza di vino fresco, quand’ecco che il palazzo fu scosso all’improvviso da un rumore di passi pesanti, come se un potente esercito avesse cominciato a marciare non molto lontano.
Hidesato e il suo ospite balzarono in piedi e corsero alla terrazza, e il guerriero vide sul monte dirimpetto al palazzo due grandi sfere fiammeggianti che si facevano sempre più vicine. Il Re Drago stava al fianco del guerriero e tremava di paura.
«Il centopiedi! Il centopiedi! Quelle due sfere di fuoco sono i suoi occhi. Sta venendo a prendere la sua vittima. È il momento di ucciderlo».
Hidesato guardò dove si dirigeva il suo nemico e nella luce della sera stellata, dietro le due sfere di fuoco, vide il lungo corpo di un enorme centopiedi che serpeggiava intorno alla montagna, mentre la luce dei suoi piedi brillava come tante lanterne lontane che si muovevano lentamente in direzione della spiaggia.
Hidesato non dimostrò il minimo segno di paura e cercò di calmare il Re Drago.
«Non temere. Ucciderò di sicuro il centopiedi. Portami soltanto il mio arco e le frecce».
Il Re Drago esaudì la richiesta, e il guerriero si accorse che nella faretra c’erano solo tre frecce. Prese l’arco e, incoccata una freccia, prese accuratamente la mira e scoccò.
La freccia colpì il centopiedi giusto al centro della testa, ma invece di penetrare, scivolò via senza fare danni e cadde a terra.
Per nulla intimorito, Hidesato prese un’altra freccia, la incoccò e la fece partire.
Di nuovo la freccia raggionse il bersaglio e colpì il centopiedi dritto al centro della testa… solo per scivolare via e cadere a terra. Il centopiedi era invulnerabile alle armi! Quando il Re Drago vide che le frecce di quel coraggioso guerriero non avevano potere, perse ogni coraggio e ricominciò a tremare di paura.
Al guerriero rimaneva una sola freccia nella faretra, e se anche questa avesse fallito, non avrebbe potuto uccidere il centopiedi. Guardò attraverso le acque. Il gigantesco rettile aveva avvolto il suo orribile corpo per sette volte attorno alla montagna e stava per arrivare al lago. Le sfere di fuoco degli occhi brillavano, e la luce dei suoi cento piedi cominciava a gettare riflessi nelle acque tranquille.
Allora il guerriero si ricordò improvvisamente di aver sentito dire che la saliva umana era mortale per i centopiedi. Ma quello non era un centopiedi normale. Era così mostruoso che anche solo pensare a una simile creatura provocava un fremito di orrore. Hidesato decise di tentare questa ultima possibilità. Estrasse dunque la freccia rimanente, ne mise in bocca l’estremità, la incoccò, prese accuratamente la mira e la scoccò.
Anche questa volta la freccia colpì il centopiedi proprio al centro della testa, ma invece di scivolare via innocua come prima, penetrò nel cervello della creatura. Con un fremito convulso il corpo strisciante smise di muoversi, e la luce ardente dei suoi grandi occhi e dei suoi cento piedi si oscurò fino a diventare un riverbero opaco come il tramonto in una giornata tempestosa, infine si spense. Una grande oscurità si diffuse nel cielo, i tuoni rumoreggiavano e i lampi brillavano, mentre il vento ruggiva infuriato, e sembrava che stesse arrivando la fine del mondo. Il Re Drago, i suoi figli e tutto il seguito si rannicchiarono in vari angoli del palazzo, temendo di morire, perché l’edificio era scosso dalle fondamenta. Alla fine quella notte spaventosa ebbe fine. Sorse il giorno, bello e luminoso. Il centopiedi era sparito dalla montagna.
Allora Hidesato invitò il Re Drago a uscire con lui sulla terrazza, poiché il centopiedi era morto e non aveva più nulla da temere.
Poi anche tutti gli abitanti del palazzo uscirono felici, e Hidesato indicò il lago. Il corpo del centopiedi morto galleggiava sull’acqua, che era diventata rossa di sangue.
La gratitudine del Re Drago non conobbe limiti. Tutta la famiglia venne a inchinarsi davanti al guerriero, e chiamarono il loro salvatore il più coraggioso guerriero di tutto il Giappone.
Fu preparata un’altra festa, ancora più fastosa. Davanti a lui, su vassoi di corallo e piatti di cristallo, fu posto ogni genere di pesce, preparato in tutti i modi immaginabili, crudo, stufato, bollito e arrosto, e il vino era il migliore che Hidesato avesse mai assaggiato in vita sua. Per aumentare la bellezza di tutto l’insieme, il sole brillava luminoso, il lago scintillava come un diamante liquido, e il palazzo era mille volte più bello di giorno che di notte.
L’ospite cercò di convincere il guerriero a fermarsi per qualche giorno, ma Hidesato insistette per tornare a casa, dicendo che ormai aveva portato a termine quello che era venuto a fare e doveva riprendere la via del ritorno. Il Re Drago e la sua famiglia erano tutti molto dispiaciuti del fatto che presto li avrebbe lasciati, ma dal momento che desiderava ripartire, lo pregarono di accettare alcuni piccoli doni (così dissero) in segno di gratitudine per averli liberati per sempre da quel terribile nemico che era il centopiedi.
Quando il guerriero fu nel portico a prendere congedo, un corteo di pesci si trasformò improvvisamente in una scorta di uomini, tutti vestiti con abiti da cerimonia e con in testa la corona del drago, a indicare che erano servitori del Re Drago. I doni che portavano erano: una grande campana di bronzo, poi un sacchetto di riso, quindi un rotolo di seta, infine una pentola.
Hidesato non voleva accettare tutti quei doni, ma il Re Drago insistette tanto che non poté rifiutare.
Poi il Re Drago in persona accompagnò il guerriero fino al ponte e lo congedò con molti inchini e auguri di felicità, lasciando che la processione dei servi lo accompagnasse fino a casa recando i doni.
La famiglia e i servitori di Hidesato si erano molto preoccupati quando si erano accorti che la notte precedente non era ritornato a casa, ma alla fine avevano pensato che fosse stato sorpresodal buio e avesse trovato riparo da qualche parte. Quando i servitori che vegliavano in attesa del suo ritorno lo videro, avvertirono tutti che stava arrivando, e la famiglia al completo uscì per andargli incontro, chiedendosi che significasse il corteo che lo seguiva recando doni e stendardi.
Non appena i cortigiani del Re Drago ebbero posato a terra i doni, scomparvero, e Hidesato raccontò tutto quello che gli era accaduto.
Si scoprì che i doni ricevuti dal Re Drago riconoscente erano dotati di poteri magici. Solo la campana era un oggetto normale, e Hidesato, anziché usarla, la donò al vicino tempio, dove fu appesa per suonare le ore del giorno per la gente dei dintorni.
Ma quel semplice sacchetto di riso servì a fornire i pasti al guerriero e a tutta la sua famiglia un giorno dopo l’altro, senza mai svuotarsi: il cibo che conteneva era inesauribile.
Il rotolo di seta, a sua volta, non si accorciava mai, anche se periodicamente ne venivano tagliate lunghe pezze per confezionare a Hidesato nuovi abiti per recarsi a corte il giorno di capodanno.
Anche la pentola era prodigiosa. Non importa cosa venisse messo dentro di essa: cuoceva in modo delizioso qualsiasi cibo senza bisogno di fuoco. Una casseruola davvero economica.
La fama della fortuna di Hidesato si sparse lontano per ogni dove, e dal momento che non aveva bisogno di spendere denaro per comprare riso o seta o per accendere il fuoco, diventò molto ricco e da quel giorno in poi fu conosciuto con l’appellativo di “Signore del Sacchetto di Riso”.
FINE
Immagini provenienti dai siti: http://durendal.org