Leggende Orientali – IL ROSPO CHE DIVENTO’ IMPERATORE
Leggenda dalla Cina
Tradotta da Dario55
IL ROSPO CHE DIVENTO’ IMPERATORE
Tanto tempo fa viveva una coppia molto povera. Un figlio era in arrivo, quando l’uomo fu costretto a lasciare la sua casa per trovare qualcosa altrove con cui sopravvivere. Prima di partire, abbracciò stretta la moglie, le diede le ultime poche monete che gli erano rimaste e le disse:
«Quando il bambino sarà nato, sia maschio o femmina, dovrai fare tutto quello che potrai per allevarlo. Tu e io siamo tanto poveri che ormai per noi non c’è più speranza. Ma nostro figlio potrà aiutarci a trovare i mezzi di sostentamento».
Tre mesi dopo la partenza del marito, la donna partorì. Il bambino non era né un maschio né una femmina, ma un rospo!
La povera madre aveva il cuore spezzato e piangeva amaramente.
«Un animale!», si lamentava. «Un animale, non un bambino! Le nostre speranze di avere qualcuno che si prendesse cura della nostra vecchiaia se ne sono andate! Come potrò ancora guardare in faccia la gente?»
La prima cosa che le venne in mente fu di scappare lontano con il rospo, ma non ebbe il coraggio di farlo. Avrebbe voluto allevarlo, ma aveva paura di quello che avrebbe detto il marito.
Mentre meditava sulla faccenda, si ricordò le parole che il marito le aveva detto prima di partire e decise di non uccidere il figlio, ma di tenerlo sempre nascosto sotto il letto. In questa maniera nessuno avrebbe saputo che aveva messo al mondo un bambino-rospo. Ma nell’arco di due mesi il bambino-rospo era talmente cresciuto che non poteva più essere tenuto nascosto sotto il letto. E un giorno parlò all’improvviso con voce umana.
«Madre», disse, «mio padre stasera sta tornando. Vado ad aspettarlo lungo la strada».
Ed effettivamente il marito tornò a casa proprio quella sera.
«Hai visto tuo figlio?», gli chiese preoccupata la moglie.
«Dove? Dov’è mio figlio?»
«Ti stava aspettando lungo la strada. Non l’hai visto?»
«No! non ho visto anima viva», rispose stupito. «Tutto quello che ho visto è stato un orribile rospo che mi ha fatto venire i brividi».
«Quel rospo era tuo figlio», disse infelice la donna.
Quando l’uomo udì che la moglie aveva dato alla luce un rospo, ne fu molto rattristato, poi chiese:
«Perché gli hai detto di venirmi incontro?»
«Non penserai che gliel’abbia detto io? È venuto senza che gli dicessi niente. Improvvisamente ha detto che stasera stavi tornando ed è uscito per venirti incontro».
“Questo è davvero straordinario”, pensò l’uomo illuminandosi. “Nessuno sapeva che stavo arrivando. Lui come faceva a saperlo?”
«Fallo rientrare in casa, presto», disse ad alta voce. «Là fuori potrebbe prendere freddo».
Non appena la madre aprì la porta per obbedire, il rospo entrò e saltellò verso il padre, che gli chiese:
«Eri tu quello che ho incontrato sulla strada?»
«Sì», rispose il rospo. «Ero venuto ad aspettarti, padre».
«Come hai fatto a sapere che stavo tornando a casa stasera?»
«Io conosco tutte le cose che stanno sotto la volta del cielo».
Il padre e la madre restarono sbalorditi da queste parole e lo furono sempre di più man mano che il rospo proseguiva.
«Il nostro paese si trova in grande pericolo», dichiarò solennemente. «Non siamo in grado di resistere agli invasori. Padre, desidero che tu mi conduca dall’imperatore, perché devo salvare il nostro paese».
«E come pensi di farlo?», chiese il padre. «Prima di tutto non hai un cavallo. In secondo luogo non hai armi e, terzo, non sei mai stato su un campo di battaglia. Quindi come pensi di combattere?»
Il rospo era molto serio.
«Portami là», insistette. «Sconfiggerò il nemico, non temere».
Il padre non riuscì a dissuadere il rospo, per cui lo accompagnò in città a chiedere un’udienza con l’imperatore. Dopo un viaggio di due giorni, arrivarono alla capitale e videro affisso l’editto imperiale.
«La capitale dell’impero è in pericolo. Il mio paese è stato invaso. Darò in sposa mia figlia all’uomo che riuscirà ad allontanare il nemico».
Il rospo strappò l’editto e con un singulto lo ingoiò. Il soldato a guardia dell’editto fu molto spaventato. Non riusciva a immaginarsi un rospo che accettasse un incarico di tanta responsabilità. Tuttavia, dal momento che il rospo aveva ingoiato l’editto, doveva portarlo nel palazzo.
L’imperatore chiese al rospo se avesse i mezzi e la capacità per sconfiggere il nemico. Il rospo rispose:
«Sì, mio signore».
Allora l’imperatore gli chiese di quanti uomini e cavalli avesse bisogno.
«Non un solo uomo né un solo cavallo», rispose il rospo. «Tutto ciò che mi occorre è un mucchio di braci calde e incandescenti».
L’imperatore diede subito ordine che fosse portato un mucchio di braci calde e incandescenti, e così fu fatto. Il calore era intenso. Il rospo sedette davanti al fuoco divorando le fiamme un boccone alla volta per tre giorni e tre notti. Mangiò fino a quando il suo ventre fu così grande e rotondo da somigliare a una vescica piena di grasso. Ormai la città era in grave pericolo, perché il nemico era già arrivato alle mura. L’imperatore era terribilmente in pena, ma il rospo si comportava come se non stesse accadendo niente di insolito e continuava tranquillamente a inghiottire fuoco e fiamme. Solo dopo che fu trascorso il terzo giorno, si recò in cima alle mura della città e osservò la situazione. Qui, tutto intorno alla città, c’erano migliaia di soldati a piedi e a cavallo fin dove l’occhio riusciva ad arrivare.
«Allora, rospo, come pensi di allontanare il nemico?», chiese l’imperatore.
«Ordina alle tue truppe di smettere di tirare frecce», rispose il rospo, «e fai aprire il cancello della città».
L’imperatore impallidì per la paura udendo queste parole.
«Come! Con il nemico a un passo da noi, tu mi dici di far aprire il cancello! Come osi prenderti gioco di me?»
«Vostra altezza imperiale mi ha ordinato di allontanare il nemico», replicò il rospo. «E per farlo, bisogna che diate ascolto alle mie parole».
L’imperatore non poté fare altro. Ordinò ai soldati di smettere di tirare frecce e di abbassare gli archi e fece aprire il cancello.
Non appena il cancello fu aperto, gli invasori si riversarono attraverso di esso. Il rospo, che si trovava al di sopra di loro nella torre del cancello mentre lo stavano attraversando, con la massima calma sputò fuoco giù verso di loro, incenerendo innumerevoli uomini e cavalli. I nemici si diedero a una fuga disordinata.
L’imperatore era fuori di sé dalla gioia vedendo che il nemico era sconfitto. Nominò il rospo generale e ordinò che la vittoria fosse celebrata per molti giorni. Ma non disse nulla della principessa, poiché non aveva la minima intenzione di dare sua figlia in sposa a un rospo.
“Non posso certo fare una cosa simile!”, ripeteva tra sé. Fece sapere che era stata la principessa a rifiutare. Doveva farle sposare qualcuno, ma chi? Non sapeva che fare. Chiunque altro piuttosto che un rospo! Infine ordinò che il matrimonio sarebbe stato deciso con il lancio della Palla Ricamata.
Il lancio della Palla Ricamata! La notizia si diffuse immediatamente per tutto il paese e in capo a pochi giorni la città era in agitazione. Erano venuti uomini da vicino e da lontano per tentare la sorte, e tutti i generi di persone si affollavano nella capitale. Venne il giorno. Anche il rospo era presente, ma non si fece largo tra la calca, rimase al bordo della piazza affollata.
Era stato eretto un padiglione molto alto con ricchi e allegri addobbi. L’imperatore accompagnò la principessa e il suo seguito di dame ai loro seggi sulla parte più alta del palco.
Il momento giunse. La principessa lanciò in aria la palla ricamata che scese dolcemente verso il basso. La folla nella piazza ondeggiò ed emise un boato come un mare in burrasca. Tutte le mani insieme si stesero cercando di afferrare la palla. Il rospo inspirò profondamente e, come un vortice, risucchio la palla direttamente verso di lui.
Ormai era sicuro: la principessa avrebbe sposato il rospo! Ma l’imperatore ancora non voleva che ciò avvenisse.
«Una Palla Ricamata lanciata da una principessa», dichiarò, «può essere afferrata solo da una mano umana. Nessun animale può farlo».
Disse alla principessa di lanciare una seconda palla.
Questa volta fu un giovane forte e bello ad afferrarla.
«Ecco l’uomo!», esclamò felice l’imperatore. «Questi è colui che diventerà il mio imperiale genero».
Fu organizzata una sontuosa festa per celebrare l’avvenimento.
Ma riuscite a indovinare chi era il giovane forte e bello? Naturalmente! Era il rospo che ora aveva l’aspetto di un uomo e non si ritrasformò in rospo prima di avere sposato la principessa. Di giorno era un rospo, ma di notte si toglieva di dosso la pelle verde e si trasformava in un giovane bello e prestante.
La principessa non riuscì a tenere il segreto e un giorno lo rivelò all’imperatore suo padre. Questi ne fu sorpreso, ma contento e disse al genero: «Di notte ti liberi del tuo rivestimento esterno e diventi un giovane di bell’aspetto. Perché durante il giorno indossi questa orribile pelle da rospo?»
«Mio signore», rispose il rospo, «questo rivestimento esterno è preziosissimo. Se lo indosso d’inverno, sto caldo e comodo, e d’estate mi rinfresca e mi ripara dal caldo. È impenetrabile dal vento e dalla pioggia. Nemmeno la fiamma più ardente lo può incendiare. E per tutto il tempo in cui lo indosso, fossero pure migliaia di anni, non morirò».
«Fammelo provare!», ordinò l’imperatore.
«Ai vostri ordini, mio signore», rispose il rospo e si affrettò a togliersi la pelle.
L’imperatore sorrise contento. Si tolse gli abiti ricamati e indossò la pelle del rospo… ma non riuscì più a toglierla!
Il rospo indossò gli abiti imperiali e diventò imperatore. Il suocero invece rimase un rospo per sempre.
FINE