leggende orientali – IL RAGAZZO CHE AVEVA UNA LUNA SULLA FRONTE E UNA STELLA SUL MENTO
racconto popolare indiano
Tradotta da Dario55
Il ragazzo che aveva una luna sulla fronte e una stella sul mento
In un paese vivevano sette figlie di genitori poveri, che avevano l’abitudine di recarsi ogni giorno a suonare sotto gli alberi ombrosi nel giardino del re insieme alla figlia del giardiniere, che ogni giorno aveva l’abitudine di dir loro:
«Quando mi sposerò, avrò un figlio. Un figlio tanto bello quanto nessuno ne ha mai visto uno uguale. Avrà una luna sulla fronte e una stella sul mento».
Allora le altre che suonavano con lei avevano l’abitudine di ridere e di prenderla in giro.
Ma un giorno il re la udì parlare con le amiche del bel figlio che avrebbe avuto una volta sposata e disse tra sé che gli sarebbe piaciuto moltissimo avere un figlio così, tanto più che, malgrado avesse già quattro regine, non aveva figli. Allora andò dal giardiniere e gli disse che desiderava sposare sua figlia. Questo fece un enorme piacere al giardiniere e alla moglie, che pensarono fosse una cosa magnifica che la loro figlia diventasse una principessa. Allora dissero di sì al re e invitarono tutti i loro amici al matrimonio. Il re invitò i suoi e diede al giardiniere tutto il denaro che desiderava. Il matrimonio fu celebrato tra grandi festeggiamenti e giubilo.
Un anno dopo si avvicinava il giorno in cui la figlia del giardiniere avrebbe dato alla luce un figlio, e le altre quattro regine si recavano costantemente a visitarla. Un giorno le dissero:
«Il re esce a caccia tutti i giorni, e il giorno in cui nascerà tuo figlio si sta avvicinando. Immagina che ti ammali mentre è fuori a caccia e lui non sappia niente della tua malattia, che faresti allora?»
Quando il re tornò a casa quella sera, la figlia del giardiniere gli disse:
«Ogni giorno esci per andare a caccia. Se un giorno fossi in difficoltà o mi ammalassi mentre sei lontano, come potrei mandarti a chiamare?»
Il re le diede un tamburo e lo mise accanto alla porta, poi le disse:
«Ogni volta che avrai bisogno di me, batti su questo tamburo. Non importa quanto lontano potrò essere, lo udirò e arriverò subito da te».
Il mattino dopo il re era uscito a caccia, le altre quattro regine andarono a far visita alla figlia del giardiniere. Lei parlò loro del tamburo.
«Oh», dissero, «suonalo, tanto per vedere se il re verrà davvero da te».
«No, non voglio», disse lei, «perché dovrei farlo tornare dalla caccia, se non ho bisogno di lui?»
«Non importa se interromperai la caccia», risposero. «Prova se realmente verrà da te quando suonerai il tamburo».
E così, solo per far loro un piacere, lo suonò, e il re fu di fronte a lei.
«Perché mi hai chiamato?» chiese. «Ho dovuto abbandonare la caccia per venire da te».
«Non mi serve nulla», rispose. «Volevo solo sapere se saresti davvero venuto da me quando suonavo il tamburo».
«Va bene», disse il re, «ma non chiamarmi di nuovo, se non hai veramente bisogno di me».
Poi ritornò a caccia.
Il mattino dopo, mentre il re era fuori a caccia come sempre, le quattro regine ritornarono a far visita alla figlia del giardiniere. Le chiesero ripetutamente con insistenza di suonare di nuovo il tamburo “per vedere se il re verrà davvero da te questa volta”. Inizialmente rifiutò, a alla fine accettò. E così suonò il tamburo, e il re venne da lei. Ma quando vide che non era né malata né in difficoltà, si adirò e le disse:
«Per la seconda volta ho abbandonato la caccia e ho perso la partita per venire da te, che non hai bisogno di me. D’ora in avanti potrai chiamarmi tutte le volte che vuoi, ma non verrò più da te», e se ne andò infuriato.
Il terzo giorno la figlia del giardiniere si ammalò, suonò e suonò il tamburo, ma il re non arrivò. Udiva il tamburo, ma pensava: “Non ha veramente bisogno di me, sta solo cercando di vedere se andrò da lei”.
Nel frattempo le altre quattro regine andarono da lei e dissero:
«Qui abbiamo l’usanza di bendare gli occhi alla madre con un fazzoletto prima che il bambino nasca in modo che non possa vederlo prima. Quindi lascia che ti bendiamo gli occhi».
«Molto bene, bendatemi gli occhi», rispose lei.
Le quattro donne le legarono un fazzoletto intorno agli occhi.
Poco dopo la figlia del giardiniere diede alla luce un bel bimbo con una luna sulla fronte e una stella sul mento, e prima che la povera madre potesse vederlo, le quattro malvagie regine lo diedero alla balia e le dissero:
«Non permettere che questo bambino emetta il minimo suono che la madre possa sentire, e stanotte dovrai ucciderlo o portarlo via, in modo che sua madre non possa mai vederlo. Se obbedirai a nostri ordini, ti daremo un mucchio di rupie».
Fecero tutto questo per dispetto. La balia prese il bambino e lo mise in una cassettina, dopodiché le quattro regine tornarono dalla figlia del giardiniere.
Per prima cosa misero una pietra nella culla del bambino, poi tolsero il fazzoletto dagli occhi della figlia del giardiniere e le dissero:
«Guarda, ecco tuo figlio!»
La povera ragazza pianse amaramente e pensò: “Cosa dirà il re, quando non troverà un bambino?” Ma non poteva fare nulla.
Quando il re tornò a casa, s’infuriò udendo che la moglie più giovane, la figlia del giardiniere, aveva partorito una pietra invece del bel figlioletto che gli aveva promesso. La degradò a serva del suo palazzo e non le rivolse mai più la parola.
Nel cuore della notte la balia prese la cassettina in cui si trovava il bel principino e si recò in una vasta radura nella giungla. Qui scavò una buca, strinse le corde della cassettina e la mise nella buca, malgrado il bambino fosse ancora vivo. Il cane del re, che si chiamava Shankar, l’aveva seguita per vedere cosa avrebbe fatto della cassettina. Non appena la balia ebbe fatto ritorno dalle quattro regine (che le donarono una grande quantità di rupie), il cane andò fino alla buca in cui lei aveva messo la cassettina e la aprì. Quando vide il bel bambino, fu molto felice e disse: «Se è volontà di Khuda che questo bambino viva, non gli farò del male; non lo mangerò, ma lo inghiottirò e lo nasconderò nel mio stomaco.» E così fece.
Sei mesi dopo, il cane tornò di notte nella giungla e pensò: “Sono curioso di vedere se il bambino è vivo o morto”. Allora fece uscire il bambino dallo stomaco e si rallegrò nel vederlo tanto bello. Il bambino adesso aveva sei mesi. Dopo averlo accarezzato e coccolato, Shankar lo inghiottì di nuovo per altri sei mesi. Trascorso questo tempo, ritornò di notte nella radura nella giungla. Fece nuovamente uscire il bambino dallo stomaco (adesso il bambino aveva un anno) e lo accarezzò e vezzeggiò per un bel po’ e si rallegrò moltissimo della sua grande bellezza.
Ma quella volta il custode del cane lo aveva seguito e sorvegliato e visto tutto ciò che Shankar faceva e il bel bambino corse dalle quattro regine e disse loro:
«Dentro il cane del re c’è un bambino! il più bel bambino del mondo! Ha una luna sulla fronte e una stella sul mento. Non si è mai visto un bambino così!»
Udendo ciò le quattro mogli furono molto spaventate e, non appena il re tornò a casa dalla caccia, gli dissero:
«Mentre eri fuori, il tuo cane è venuto nelle nostre camere, ha strappato i nostri vestiti e ha distrutto tutte le nostre cose. Abbiamo paura che ci voglia uccidere».
«Non abbiate paura», disse il re. «Mangiate la vostra cena e siate felici. Domani farò uccidere il cane».
Quindi ordinò ai servitori di uccidere il cane all’alba, ma il cane lo udì e disse tra sé: “Cosa devo fare? Il re ha intenzione di uccidermi. A me non importa nulla, ma che ne sarà del bambino, se sarò ucciso? Morirà. Voglio cercare di salvarlo”.
Così, appena fu notte, il cane corse dalla mucca del re, che si chiamava Suri, e le disse:
«Suri, devo darti una cosa, perché il re ha ordinato di uccidermi domani. Avrai la massima cura di quello che ti darò?»
«Fammi vedere di cosa si tratta», disse Suri, «Me ne prenderò cura, se potrò».
Allora andarono insieme nella radura, e qui il cane fece uscire il bambino. Suri ne fu deliziata.
«Non ho mai visto un bambino così bello in questo paese», disse. «Guarda, ha una luna sulla fronte e una stella sul mento. Avrò la massima cura di lui».
Così dicendo, inghiottì il principino. Il cane si profuse in molti inchini e disse: «Domani morirò», e la mucca fece ritorno alla stalla.
Il mattino dopo all’alba il cane fu portato nella giungla e ucciso.
Ora il bambino viveva nello stomaco di Suri, e quando fu trascorso un anno, e lui compì due anni, la mucca si recò nella radura e disse tra sé: “Non so se il bambino è vivo o morto, ma non gli ho mai fatto del male. Voglio vedere”. Fece uscire il bambino, lui uscì e si mise a giocare, Suri ne fu entusiasta, lo coccolò, lo accarezzo e gli parlò. Poi lo inghiottì di nuovo e fece ritorno alla stalla.
Trascorso un altro anno, tornò alla radura e fece uscire il bambino. Giocò e corse per un ora divertendosi moltissimo, gli parlò e lo accarezzò. La sua grande bellezza la rendeva molto felice. Poi lo inghiottì di nuovo e fece ritorno alla stalla. Adesso il bambino aveva tre anni.
Ma questa volta il vaccaro aveva seguito Suri e aveva visto lo stupendo bambino e tutto quello che Suri aveva fatto con lui. Allora corse dalle tre regine e disse:
«La mucca del re ha un bel bambino dentro di lei. Ha una luna sulla fronte e una stella sul mento. Non si è mai visto prima un bambino così!»
Udendo ciò le regine furono terrorizzate. Si strapparono i vestiti e i capelli e piansero.
Quando la sera il re tornò a case, chiese loro perché erano tanto agitate.
«Oh», dissero, «la tua mucca è venuta e ha tentato di ucciderci, ma siamo riuscite a scappare. Ci ha strappato i capelli e i vestiti».
«Non preoccupatevi», disse il re. «Mangiate la vostra cena e siate felici. La mucca sarà uccisa domattina».
Suri udì il re impartire questo ordine ai servitori e disse tra sé: “Che posso fare per salvare il bambino?” Quando fu mezzanotte, si recò dal cavallo del re di nome Katar, che era molto cattivo e quasi indomabile. Nessuno era mai stato capace di cavalcarlo, anzi nessuno poteva avvicinarlo con sicurezza, tanto era selvaggio. Suri disse a questo cavallo:
«Katar, vorrai prenderti cura di una cosa che ti darò, poiché il re ha ordinato di uccidermi domani?»
«Certo», disse Katar, «fammi vedere di che si tratta».
Allora Suri fece uscire il bambino e il cavallo ne fu entusiasta.
«Sì», disse, «Avrò la più grande cura di lui. Fino ad ora nessuno è stato capace di cavalcarmi, ma questo bambino mi cavalcherà».
Poi inghiottì il bambino, e dopo che ebbe fatto ciò, la mucca si profuse in molti inchini e disse:
«È per la sorte di questo bambino che mi toccherà morire».
Il mattino dopo fu condotta nella giungla e qui fu uccisa.
Ora il bel bambino viveva dentro lo stomaco del cavallo e ci rimase per un intero anno. Trascorso quel tempo, il cavallo pensò: “Voglio vedere se il bambino è vivo o morto”.
Allora lo fece uscire e ne fu estasiato, lo coccolò e lo accarezzò, e il principino giocò per tutta la stalla più di quanto il cavallo avesse mai permesso a chiunque altro. Katar era felicissimo di ammirare il bambino, che adesso aveva quattro anni. Dopo che ebbe giocato per un po’, il cavallo lo inghiottì di nuovo. Trascorso un altro anno, quando il bambino aveva ormai cinque anni, Katar lo fece uscire di nuovo, lo accarezzò, lo coccolò e lo fece giocare per tutta la stalla come aveva fatto l’anno prima. Poi lo inghiottì di nuovo.
Ma questa volta lo stalliere aveva visto tutto quello che era accaduto e, quando fu mattina e il re uscì per andare a caccia, andò dalle quattro regine cattive e riferì loro quello che aveva visto e dello splendido bambino che viveva dentro Katar, il cavallo del re. Udendo il racconto dello stalliere le quattro regine piansero, si strapparono i capelli e i vestiti e rifiutarono di mangiare. Quando il re alla sera fu di ritorno e chiese loro perché erano così infelici, risposero:
«Il tuo cavallo, Katar, è venuto e ci ha strappato i vestiti, ha buttato all’aria tutte le nostre cose e noi siamo scappate per paura che ci uccidesse».
«Non preoccupatevi», disse il re. «Mangiate la vostra cena e siate felici. Farò uccidere Katar domani».
Poi pensò che due uomini senza aiuto non avrebbero potuto uccidere un cavallo così selvaggio, quindi ordinò ai suoi servi di mandare a chiamare la sua guarnigione di sepoy per ucciderlo.
Così il mattino dopo il re fece schierare i sepoy tutto intorno alla stalla e prese posto con loro, poi disse che avrebbe ucciso personalmente chiunque avesse permesso che il cavallo fuggisse.
Nel frattempo il cavallo aveva udito tutti questi ordini. Così fece uscire il bambino e gli disse:
«Entra in quella stanzetta che porta fuori dalla stalla e troverai un sella e delle briglie che dovrai mettermi addosso. Nella stanzetta troverai anche dei bei vestiti degni di un principe: dovrai indossarli e dovrai anche prendere la spada e il fucile che troverai lì. Poi dovrai saltarmi in groppa».
Ora Katar era un cavallo magico e proveniva dal regno della magia, per cui poteva fare tutto ciò che desiderava, ma né il re, né alcuno della sua gente lo sapeva. Quando tutto fu pronto, Katar irruppe fuori dalla stalla con il principe in groppa, passò come un lampo accanto al re prima che il re avesse il tempo di sparargli, galoppò in direzione della grande radura e l’attraversò. Il re vide che il cavallo aveva un bambino in groppa, ma non poté distinguerlo bene. I sepoy tentarono invano di abbattere il cavallo: galoppava troppo veloce, e alla fine furono tutti seminati sulla brughiera. Allora il re dovette rinunciare e tornò a casa; anche i sepoy tornarono alle loro case. Il re non poté uccidere nessuno dei sepoy per aver lasciato fuggire il cavallo, perché lui stesso lo aveva fatto.
E Katar galoppò e galoppò e galoppò, e quando scese la sera, si fermarono sotto un albero, lui e il figlio del re. Il cavallo mangiò dell’erba, e il ragazzo frutti selvatici che trovò nella giungla. Il mattino dopo ripartirono e andarono sempre più lontano, finché arrivarono a una giungla in un altro paese, su cui non regnava il padre del principino, ma un altro re. Allora Katar disse al ragazzo:
«Adesso scendimi dalla groppa». Il principe saltò giù. «Toglimi la sella e liberami dalle briglie, togli quei bei vestiti e fai un fagotto con la spada e il fucile».
Il ragazzo obbedì. Poi il cavallo gli diede dei vestiti poveri e semplici e gli disse di indossarli. Non appena li ebbe indossati, il cavallo disse:
«Nascondi il fagotto nell’erba, io lo sorveglierò. Rimarrò sempre in questa radura, così se avrai bisogno di me, mi troverai. Ora devi andare e fare il servitore presso qualcuno di questo paese».
Questo rattristò molto il ragazzo.
«Non so nulla di nulla», disse. «Che farò tutto solo in questo paese?»
«Non aver paura», rispose Katar. «Troverai un lavoro, e io sarò sempre qui per aiutarti quando lo vorrai. Vai dunque, ma prima di andare gira il mio orecchio destro».
Il ragazzo lo fece, e subito il cavallo divenne un asino.
«E adesso gira il tuo orecchi destro», disse Katar.
E quando il ragazzo lo ebbe girato, non fu più un bel principe, ma un povero ometto insignificante, e la luna e la stella erano scomparse.
Poi si spinse nel paese, finché arrivò da un mercante di grano che gli chiese chi fosse.
«Sono un pover’uomo», rispose il ragazzo, «e sto cercando un lavoro da servitore».
«Bene», disse il mercante di grano, «sarai il mio servitore».
Ora il mercante di grano viveva vicino al palazzo del re, e una notte a mezzanotte il ragazzo aveva molto caldo, così andò a godersi la frescura del giardino del re e cominciò a cantare una dolce canzone. La settima e più giovane figlia del re lo udì e si chiese chi era che sapeva cantare in un modo così meraviglioso. Allora si vestì, si acconciò i capelli e scese dove colui che sembrava un povero ometto insignificante stava sdraiato e cantava.
«Chi sei tu?» chiese. «Da dove vieni?»
Ma lui non rispose.
“Chi è quest’uomo che non risponde quando parlo con lui?” pensò la principessina, e se ne andò. La seconda volta le cose andarono allo stesso modo, e anche la terza notte. Ma la terza notte, quando vide che non avrebbe avuto risposta, gli disse:
«Che strano uomo sei, che non mi rispondi quando ti parlo».
Ma lui continuò a tacere, così lei se ne andò.
Il giorno dopo, quando ebbe terminato il suo lavoro, il giovane principe si recò nella giungla per vedere il suo cavallo, che gli chiese:
«Stai abbastanza bene e sei felice?»
«Sì», rispose il ragazzo. «Sono a servizio di un mercante di grano. Le ultime tre notti sono andato nel giardino del re e ho cantato una canzone, e ogni notte la principessa più giovane è venuta da me a chiedermi chi sono e da dove vengo, e io non ho risposto. Che devo fare ora?»
Il cavallo rispose:
«La prossima volta che ti chiederà chi sei, dille che sei un uomo poverissimo e che sei venuto dal tuo paese per diventare il suo servitore».
Allora il ragazzo tornò alla casa del mercante di grano, e quella notte, quando tutti erano andati a dormire, entrò nel giardino del re e cantò di nuovo la sua canzone. La giovane principessa lo udì, si alzo, si vestì e andò da lui.
«Chi sei? Da dove vieni?» chiese.
«Sono un uomo poverissimo», rispose lui. «Sono venuto dal mio paese per cercare un lavoro qui come servitore e adesso sono uno dei servitori del mercante di grano».
Poi se ne andò. Per altre tre notti il ragazzo cantò nel giardino del re. e ogni notte la principessa arrivò e gli pose le stesse domande, e il ragazzo le diede le stesse risposte.
Lei allora andò dal padre e gli disse:
«Padre, desidero sposarmi, ma devo scegliere da sola il mio sposo».
Il padre diede il suo consenso e scrisse ai re e ai rajah del paese invitandoli con queste parole : “La mia figlia più giovane desidera sposarsi, ma chiede di scegliere da sola il marito. Poiché non so chi desidera sposare, vi invito a venire tutti nel tal giorno, così che possa vedervi e fare la sua scelta”.
Un gran numero di re e rajah con i loro figli accettarono l’invito e arrivarono. Quando furono arrivati tutti, il padre della principessina disse loro:
«Domattina dovrete sedere tutti insieme nel mio giardino» (il giardino del re era molto grande), «poiché allora la mia figlia più giovane arriverà, vi guarderà tutti e sceglierà il marito. Non so chi sceglierà».
La giovane principessa ordinò che un grande elefante fosse pronto per lei il mattino dopo, e quando fu mattina e tutto fu pronto, si vestì con i più begli abiti e indossò il suoi più bei gioielli, poi salì sull’elefante, che era dipinto di blu. In mano portava una collana d’oro.
Poi si recò nel giardino dove erano seduti i re, i rajah e i loro figli. Il ragazzo, il servitore del mercante di grano, era anche lui nel giardino: non era uno dei pretendenti, si limitava a osservare insieme agli altri servitori.
La principessa cavalcò tutto intorno al giardino e osservò tutti i re, i rajah e i principi, poi mise la collana d’oro intorno al collo del ragazzo, il servitore del mercante di grano. Vedendo ciò, tutti risero, e il re era molto meravigliato.
Ma poi il re e i rajah dissero:
«Che pazzia è mai questa?», spinsero via il pover’uomo e gli tolsero la collana dal collo dicendogli: «Allontanati, sudicio pezzente. I tuoi vestiti sono troppo sporchi e stracciati perché tu possa stare vicino a noi!»
Il ragazzo si allontanò da loro e si fermò molto lontano per vedere cosa sarebbe accaduto.
Allora la giovane figlia del re fece nuovamente il giro di tutto il giardino tenendo tra le mani la collana d’oro, poi la mise nuovamente intorno al collo del ragazzo. Tutti risero di lei e dissero:
«Come può la figlia del re pensare di sposare quel povero ometto insignificante!», e il re e i rajah che erano venuti come pretendenti volevano tutti cacciarlo dal giardino.
Ma la principessa disse:
«Badate a voi! Non potete mandarlo via. Lasciatelo stare».
Poi lo fece salire sull’elefante e lo portò a palazzo.
I re e i rajah con i loro figli furono molto meravigliati e dissero:
«Che significa questo? Alla principessa non importa di sposare uno di noi e sceglie quel poveraccio!»
Allora il padre si alzò in piedi e disse a tutti loro:
«Ho promesso a mia figlia che avrebbe sposato chiunque le fosse piaciuto, e poiché ha scelto quel povero ometto insignificante, lo sposerà».
E così la principessa e il ragazzo furono sposanti con grande pompa e splendore. Il padre e la madre furono abbastanza contenti della scelta, e i re, i rajah e i loro figli fecero ritorno a casa.
Ora le sei sorelle della principessa erano tutte sposate con ricchi principi e ridevano di lei per avere scelto un marito così povero, brutto e insignificante, come credevano che fosse, e dicevano tra loro in tono canzonatorio:
«Guarda! La nostra sorella ha sposato quel poveraccio senz’arte né parte!»
I loro sei mariti avevano l’abitudine di uscire a caccia ogni giorno e ogni sera portavano alle mogli una gran quantità di selvaggina, che veniva cucinata per la loro cena e quella del re. Ma il marito della principessa più giovane se ne stava sempre a palazzo e non usciva mai a caccia. Questo la rendeva molto triste e diceva tra sé: “I mariti delle mie sorelle vanno a caccia ogni giorno, mentre mio marito non va mai a caccia”.
Infine gli disse:
«Perché non vai mai a caccia come fanno ogni giorno i mariti delle mie sorelle che portano a casa tutte le sere ogni genere di selvaggina? Perché te ne stai sempre a casa invece di fare come loro?»
Un giorno lui le disse:
«Vado a prendere una boccata d’aria».
«Molto bene», disse lei, «vai a prendere uno dei cavalli».
«No», disse lui, «non voglio cavalcare, voglio passeggiare».
Allora si recò nella radura dove aveva lasciato Katar, che per tutto quel tempo aveva mantenuto l’aspetto di un asino e gli raccontò ogni cosa.
«Ascolta», disse; «ho sposato la principessa più giovane, e quando siamo stati sposati tutti ridevano di lei perché mi aveva scelto e dicevano: “Che razza di ometto povero e insignificante ha scelto per marito la nostra principessa!” Inoltre mia moglie è molto triste perché i mariti delle sue sei sorelle vanno a caccia tutti i giorni e portano a casa una gran quantità di selvaggina, e per questo le loro mogli sono molto orgogliose di loro. Io invece me ne sto a casa tutto il giorno e non vado mai a caccia. Oggi mi piacerebbe moltissimo andare a caccia».
«Bene», disse Katar, «allora gira il mio orecchio sinistro», e non appena il ragazzo lo ebbe girato, Katar fu di nuovo un cavallo e non più un asino.
«Ora», disse Katar, «gira il tuo orecchio sinistro e vedrai che principe giovane e bello diventerai».
Allora il ragazzo girò il suo orecchio sinistro e non fu più un povero e brutto ometto insignificante, ma uno splendido giovane principe con una luna sulla fronte e una stella sulla guancia. Poi indossò i suoi splendidi abiti, sellò Katar e gli mise le briglie, gli montò in groppa con la spada e il fucile e cavalcò a caccia.
Cavalcò molto lontano e uccise una gran quantità di uccelli e di cervi. Quel giorno i suoi sei cognati non riuscirono a trovare selvaggina, perché l’aveva uccisa tutta il bel giovane principe.
Per quasi tutto il giorno i sei principi girarono in lungo e in largo per trovare della selvaggina, finché alla fine ebbero fame e sete e non riuscirono a trovare dell’acqua e per di più non avevano cibo con sé. Nel frattempo il bel giovane principe si era seduto sotto un albero per mangiare e riposarsi, e i sei cognati lo trovarono. Accanto a lui c’era dell’ottima acqua e anche della carne arrostita.
Quando lo videro i sei principi dissero tra loro:
«Guardate quel bel principe. Ha una luna sulla fronte e una stella sul mento. Non abbiamo mai visto prima un principe in questa giungla, sicuramente viene da un altro paese».
Allora si avvicinarono a lui, si profusero in saluti e gli chiesero di dar loro un po’ di cibo e acqua.
«Chi siete?» disse il giovane principe.
«Siamo i mariti delle sei figlie maggiori del re di questo paese», risposero, «e abbiamo cacciato tutto il giorno, e siamo molto affamati e assetati».
Non avevano assolutamente riconosciuto il cognato.
«Bene», disse il giovane principe, «vi darò qualcosa da mangiare e da bere se farete quello che vi chiederò».
«Faremo tutto quello che ci dirai di fare», risposero, «perché se non avremo un po’ d’acqua da bere, moriremo».
«Molto bene», disse il giovane principe. «Allora dovete lasciarmi mettere una moneta incandescente sulla schiena di ciascuno di voi, poi vi darò cibo e acqua. Siete d’accordo con questo?»
I sei principi acconsentirono, perché pensarono: “Nessuno vedrà mai il marchio della moneta, perché sarà coperto dai vestiti, e se non avremo un po’ d’acqua da bere, moriremo”.
Allora il giovane principe prese sei monete, le fece diventare incandescenti e ne mise una sulla schiena di ciascuno dei sei principi, poi diede loro buon cibo e acqua. Mangiarono e bevvero, e quando ebbero finito, s’inchinarono e tornarono a casa.
Il giovane principe rimase sotto l’albero finché fu sera, poi risalì a cavallo e cavalcò verso il palazzo del re. Tutta la gente lo guardò quando lo vide arrivare cavalcando e disse:
«Che splendido giovane principe è quello! Ha una luna sulla fronte e una stella sul mento».
Ma nessuno lo riconobbe. Quando arrivò nei pressi del palazzo del re, tutti i servitori si chiesero chi fosse, e poiché nessuno lo riconosceva, le guardie non volevano farlo passare. Si chiedevano tutti chi poteva mai essere, e tutti pensavano che era il più bel principe che avevano mai visto.
Alla fine gli chiesero chi era.
«Sono il marito della vostra principessa più giovane», rispose lui.
«No, no, non lo sei affatto», dissero, «poiché la principessa ha sposato un ometto brutto e insignificante.»
«Ma sono proprio lui», ribatté il principe, ma nessuno gli voleva credere.
«Di’ la verità», dissero i servitori, «chi sei?»
«Forse voi non riuscite a riconoscermi», disse il principe, «ma fate venire qui la principessa. Desidero parlarle».
I servitori la chiamarono e lei arrivò.
«Quest’uomo non è mio marito», disse subito. «Mio marito non è neppure lontanamente bello come quest’uomo. Questo deve essere un principe di un altro paese». Poi gli disse: «Da dove vieni? Perché dici di essere mio marito?»
«Perché sono tuo marito. Ti sto dicendo la verità», rispose il giovane principe.
«No, non sei mio marito, non mi stai dicendo la verità», disse la principessina. «Mio marito non è un uomo bello come te. Io ho sposato un ometto povero e insignificante».
«È vero», disse lui, «tuttavia malgrado ciò io sono tuo marito. Ero il servitore del mercante di grano e una notte sono entrato nel giardino di tuo padre e ho cantato, tu mi hai udito e sei venuta, e mi hai chiesto chi ero e da dove venivo, e io non ti ho risposto. E la stessa cosa è accaduta la notte successiva e quella ancora successiva, e la quarta notte ti ho detto che ero un uomo poverissimo e che ero venuto dal mio paese per cercare di entrare al tuo servizio e che ero il servitore del mercante di grano. Allora hai detto a tuo padre che desideravi sposarti, ma volevi scegliere da sola tuo marito, e quando tutti i re e i rajah sono stati seduti nel giardino di tuo padre, tu sei salita in groppa a un elefante hai girato per il giardino e li hai guardati tutti, poi hai scelto me. Guarda, questa è la tua collana e questo è l’anello e il fazzoletto che mi hai dato il giorno delle nozze».
Allora gli credette e fu molto felice che il suo sposo fosse un principe così giovane e bello.
«Che strano uomo sei!» gli disse. «Finora sei stato un povero ometto brutto e insignificante. Ora sei bello e hai l’aspetto di un principe. Non mi sono mai accorta prima di quanto sei bello, e ora sono sicura che sei mio marito».
Poi rese onore a Khuda e lo ringraziò per averle concesso un marito così.
«Ho un bel marito», disse. Non c’è nessuno come lui in questo paese. Ha una luna sulla fronte e una stella sul mento».
Quindi lo portò nel palazzo e lo fece vedere al padre, alla madre e a tutti. Tutti dissero di non aver mai visto nessuno come lui e furono tutti molto felici. E il giovane principe visse come prima nel palazzo del re insieme alla moglie, e Katar visse nelle scuderie reali.
Un giorno, mentre il re e i suoi sei generi erano nella sala del trono, che era piena di gente, il giovane principe gli disse:
«Ci sono sei ladri qui nella tua sala del trono».
«Sei ladri!» disse il re. «Dove sono? Indicameli».
«Sono loro», disse il giovane principe indicando i sei cognati.
Il re e tutti quelli che erano nella sala furono molto sorpresi e non credevano al giovane principe.
«Togli loro i vestiti», disse, «e vedrai con i tuoi occhi che ciascuno di loro ha il marchio del ladro sulla schiena».
Allora i vestiti furono tolti ai sei principi, e il re e ognuno nella sala videro il marchio della moneta incandescente. I sei principi sprofondarono per la vergogna, ma il giovane principe fu molto soddisfatto. Non aveva dimenticato in che modo i suoi cognati avevano riso di lui e l’avevano schernito quando sembrava un povero ometto insignificante.
Ora Katar, quando era ancora nella giungla, prima che il principe si sposasse, aveva raccontato al ragazzo tutta la storia della sua nascita e tutto quello che era accaduto a lui e a sua madre.
«Quando sarai sposato», gli disse, «ti riporterò al paese di tuo padre».
Così, due mesi dopo che il principe si fu vendicato sui cognati, Katar gli disse:
«È ora che tu faccia ritorno da tuo padre. Chiedi al re che ti permetta di tornare al tuo paese, e ti dirò cosa fare quando ci saremo arrivati».
Il principe faceva sempre quello che il cavallo gli diceva, e così andò dalla moglie e le disse:
«Desidero moltissimo andare nel mio paese per rivedere mio padre e mia madre».
«Benissimo», disse la moglie, «lo dirò ai miei genitori e chiederò loro di lasciarci andare».
Andò dai genitori e chiese loro di lasciarli andare, e i genitori acconsentirono che lei e il marito li lasciassero. Il re diede alla figlia e al giovane principe un gran numero di cavalli, elefanti e ogni genere di regalo, e anche moltissimi sepoy per proteggerli. Con tutto questo splendore viaggiarono fino al paese del principe, che si trovava a non molte miglia di distanza. Quando vi arrivarono, piantarono le tende nella stessa radura in cui il principe era stato abbandonato nella cassettina dalla balia, dove Shankar e Suri lo avevano inghiottito tante volte.
Quando il re, suo padre, il marito della figlia del giardiniere, vide l’accampamento del principe, si spaventò molto e pensò che un grande re fosse venuto a muovergli guerra.
Quindi mandò uno dei servitori a chiedere che accampamento fosse. Allora il giovane principe gli scrisse una lettera in cui diceva: “Tu sei un grande re. Non aver paura di me, non sono venuto per muoverti guerra. Mi considero come se fossi tuo figlio. Sono un principe che è venuto per vedere il tuo paese e parlare con te. Desidero dare una grande festa in tuo onore, alla quale tutti gli abitanti del tuo paese dovranno partecipare: uomini e donne, vecchi e giovani, ricchi e poveri, di tutte le caste, tutti i bambini i fachiri e i sepoy. Dovrai portarli tutti qui da me per una settimana, e festeggeremo tutti insieme”.
Il re fu lietissimo di questa lettera e ordinò che tutti gli uomini, donne e bambini di tutte le caste, i fachiri e i sepoy del suo paese andassero all’accampamento del principe a una grande festa che avrebbe dato in loro onore. E così giunsero tutti, e il re portò con se le sue quattro mogli. Erano arrivati tutti, tranne la figlia del giardiniere Nessuno le aveva detto di andare alla festa, perché nessuno aveva pensato a lei.
Quando tutti furono radunati, il principe vide che sua madre non c’era e chiese al re:
«Ogni persona del tuo paese è venuta alla mia festa?»
«Sì, ogni persona», rispose il re.
«Ne sei sicuro?» chiese il principe.
«Quasi sicuro», rispose il re.
«Sono certo che una donna non è venuta», disse il principe. «È la figlia del tuo giardiniere, che un tempo fu tua moglie e ora è una serva nel tuo palazzo».
«È vero», disse il re, «mi dono dimenticato di lei».
Allora il principe ordinò ai servi di prendere la sua splendida portantina e andare a prendere la figlia del giardiniere. Avrebbero dovuto farle prendere un bagno, abbigliarla con abiti lussuosi e splendidi gioielli, quindi portarla da lui nella portantina.
Mentre i servitori stavano portando la figlia del giardiniere, il re pensava a quanto bello fosse il giovane principe, e in particolare notò la luna sulla fronte e la stella sulla guancia, chiedendosi in quale paese fosse nato il principe.
Giunse la portantina portando la figlia del giardiniere, e il giovane principe andò ad accoglierla personalmente e la portò nella tenda. S’inchinò più volte a lei. Le quattro mogli cattive osservavano ed erano molto sorprese e molto infuriate. Ricordavano che al loro arrivo il principe non si era inchinato davanti a loro e da quel momento non si era più curato di loro, mentre non smetteva più di occuparsi della figlia del giardiniere e sembrava molto felice di vederla.
Quando fu ora di mangiare, di nuovo il principe onorò molto la figlia del giardiniere e le servì il cibo dai piatti più raffinati. Lei si meravigliava della sua gentilezza e pensava: “Chi è mai questo bel principe con una luna sulla fronte e una stella sulla guancia? Non ho mai visto nessuno così bello. Da quale paese verrà?”
Trascorsero così alcuni giorni in festeggiamenti, e in tutto quel tempo il re e il suo popolo avevano parlato della bellezza del principe e si erano chiesti chi fosse.
Un giorno il principe chiese al re se aveva figli.
«Nessuno», rispose il re.
«Sai chi sono?» chiese il principe.
«No», disse il re. «Dimmi chi sei».
«Sono tuo figlio», disse il principe, «e la figlia del giardiniere è mia madre».
Il re scosse tristemente la testa.
«Come puoi essere mio figlio», disse, «se non ho mai avuto figli?»
«Eppure sono tuo figlio», rispose il principe. «Le tue quattro cattive regine ti hanno raccontato che la figlia del giardiniere aveva dato alla luce una pietra e non un bambino, ma sono state loro a mettere la pietra nel letto, poi hanno tentato di uccidermi».
Il re non riusciva a credergli.
«Mi piacerebbe che tu fossi mio figlio», disse, «ma non ho mai avuto figli, non puoi essere mio figlio».
«Ti ricordi il tuo cane Shankar e come lo hai ucciso? E ti ricordi della tua mucca Suri e di come hai ucciso anche lei? Le tue mogli te li hanno fatti uccidere per causa mia. E», aggiunse portando il re vicino a Katar, «riconosci chi è questo cavallo?»
Il re guardò Katar, poi disse:
«È il mio cavallo Katar».
«Sì», disse il principe. «Non ti ricordi come ha galoppato vicino a te uscendo dalla stalla con me sulla groppa?»
Allora Katar disse al re che il principe era veramente suo figlio e gli raccontò la storia della sua nascita e della sua vita fino a quel momento, e quando il re riconobbe che il bel principe era veramente suo figlio, fu felice, tanto felice. Lo abbracciò e lo baciò e pianse di gioia.
«Ora», disse il re, «devi venire con me a palazzo e vivere con me per sempre».
«No», disse il principe, «non posso farlo, non posso venire nel tuo palazzo. Sono venuto qui solo per prendere mia madre, e ora che l’ho trovata, la porterò con me nel palazzo di mio suocero. Ho sposato una figlia di re e viviamo con suo padre».
«Ma adesso che ti ho trovato, non posso lasciarti andare», disse il padre. «Tu e tua moglie dovete venire nel palazzo e vivere insieme a me e a tua madre».
«Non lo faremo mai», disse il principe, «a meno che tu non uccida le tue quattro cattive regine con le tue mani. Se lo farai, verremo a vivere con te».
Allora il re uccise le quattro regine, dopo di che lui e la moglie, la figlia del giardiniere, e il principe con la moglie andarono tutti a vivere nel palazzo del re, dove vissero felici insieme per sempre dopo quel giorno; e il re ringraziò Khuda per avergli donato un figlio così bello e per averso liberato dalle quatto cattive mogli.
Katar non fece ritorno nel regno della magia, ma rimase sempre con il giovane principe e non lo lasciò mai.
FINE
NOTE
Testo originale e illustrazioni in: Indian Fairy Tales, London, 1892 (edizione elettronica: http://www.gutenberg.org/files/7128/7128-h/7128-h.htm)
Ultimo aggiornamento: Settembre 2015