leggende orientali – IL FIGLIO DI SETTE REGINE
Leggenda dall’India
Tradotta da Dario55
IL FIGLIO DI SETTE REGINE
Un tempo viveva un re che aveva sette regine, ma non aveva figli. Questo per lui era un grande cruccio, soprattutto ogni volta che ricordava che alla sua morte nessuno avrebbe ereditato il suo regno.
Ora accadde che un giorno un povero vecchio fachiro giunse dal re e disse:
«Le tue preghiere sono state ascoltate, il tuo desiderio sarà esaudito, e una delle sette regine darà alla luce un figlio».
La gioia del re nell’udire questa promessa non conobbe limiti e diede ordine che fossero approntati in ogni angolo del paese festeggiamenti adeguati all’evento che si avvicinava.
Nel frattempo le sette regine vivevano nel lusso in uno splendido palazzo, servite da centinaia di schiave, e i loro cuori erano pieni di dolcezza.
Ora il re aveva una grande passione per la caccia e un giorno, prima che vi si recasse, le sette regine gli inviarono un messaggio che diceva:
“Ci sia permesso supplicare il nostro amatissimo signore di non recarsi a caccia verso nord oggi, poiché abbiamo fatto dei brutti sogni e temiamo che gli possa accadere qualcosa di male”.
Il re, per calmare i loro timori, promise che avrebbe seguito i loro consigli e partì con il proposito di recarsi verso sud, ma la sorte volle che non incontrasse selvaggina, malgrado la diligenza con cui la cercava. Non ebbe miglior successo a est o a ovest, per cui, essendo un cacciatore appassionato e deciso a non tornare a casa a mani vuote, dimenticò la promessa fatta alle regine e si diresse a nord. All’inizio non ebbe successo neppure qui, ma non appena decise di rinunciare per quel giorno, una cerva bianca con corna d’oro e zoccoli d’argento passò in un baleno accanto a lui ed entrò in una macchia di alberi. Era passata così in fretta, che l’aveva appena intravista; malgrado ciò un desiderio ardente di catturare e possedere quella splendida e strana creatura s’impadronì del suo cuore. Ordinò subito agli uomini del seguito di formare un cerchio intorno alla macchia di alberi, circondando così la cerva; poi il cerchio, stringendosi un po’ alla volta, avanzò gradualmente finché la cerva bianca fu chiaramente in vista. Si avvicinò sempre di più e, quando pensò che quella bella e strana creatura fosse ormai sua, la cerva fece un gran balzo, saltò al di sopra della testa del re e fuggì verso le montagne. Dimentico di tutto, il re diede di sprone al cavallo e la seguì a tutta velocità. Galoppò e galoppò, lasciando indietro i suoi uomini, senza mai perdere la cerva di vista, senza mai trattenere le briglie, finché, trovandosi in una stretta gola senza uscita, fece fermare il cavallo. Davanti a lui c’era una misera casupola, in cui entrò per chiedere di poter bere un po’ d’acqua, stanco del lungo e inutile inseguimento. Nella capanna una vecchia seduta all’arcolaio rispose alla richiesta chiamando la figlia, e subito da una stanza interna uscì una ragazza tanto bella e affascinante, dalla pelle così bianca e dai capelli così dorati, che il re trasecolò alla vista di tanta bellezza in un simile misero tugurio.
Avvicinò la coppa d’acqua alle labbra del re, che bevendo la guardò negli occhi e non ebbe dubbi: quella ragazza altri non era che la cerva bianca dalle corna d’oro e gli zoccoli d’argento che aveva inseguito tanto lontano.
La sua bellezza lo stregò, tanto che cadde in ginocchio supplicandola di tornare insieme a lui come sua sposa; ma lei si limitò a ridere dicendo che avere a che fare con sette regine era più che abbastanza anche per un re. Ma quando il re, non volendo accettare un rifiuto, la implorò di avere pietà di lui, promettendole che avrebbe esaudito qualsiasi suo desiderio, lei rispose:
«Portami gli occhi delle tue sette regine e allora forse potrò credere alla sincerità delle tue parole».
Il re era così trascinato dal fascino della bellezza della cerva bianca, che appena tornato a casa fece cavare gli occhi alle sette regine e, dopo aver gettato le povere creature cieche in una malsana segreta da cui non sarebbero potute fuggire, si rimise in viaggio alla volta della casupola nella gola, recando con sé l’orribile offerta. Ma la cerva bianca si limitò a ridere con cattiveria quando vide i quattordici occhi e, fattane una collana, la buttò intorno al collo della madre, dicendo:
«Indossa questa per ricordo, mammina, mentre sono lontana nel palazzo del re».
Poi andò a palazzo con il re ormai stregato, come sua moglie. Il re le regalò i ricchi vestiti e i gioielli delle sette regine perché li indossasse, il palazzo delle sette regine perché ci vivesse e gli schiavi delle sette regine perché la servissero; e così lei ebbe tutto ciò che una strega può desiderare.
Ora, non molto tempo dopo che alle sette povere e sfortunate regine erano stati cavati gli occhi ed erano state gettate in prigione, la più giovane di esse diede alla luce un bambino. Era un bimbo bellissimo, ma le altre regine erano molto gelose del fatto che la più giovane di loro fosse così fortunata. Tuttavia, malgrado all’inizio detestassero quel bel bambino, ben presto gli si affezionarono tanto da considerarlo come un loro figlio. Poco dopo che ebbe imparato a camminare, il bambino cominciò a grattare la parete fangosa della cella e in un tempo incredibilmente breve aveva scavato un buco grande abbastanza per poterlo attraversare strisciando. Scomparve attraverso il buco e ricomparve dopo un’ora o giù di lì con dei dolci che divise in parti uguali tra le sette regine cieche.
Quando fu cresciuto, allargò il buco e scivolava fuori due o tre volte al giorno per giocare con i piccoli nobili della città. Nessuno sapeva chi fosse quel ragazzino, ma piaceva a tutti, ed era così pieno di trovate e scherzi divertenti, che era certo che sarebbe stato ricompensato con dolci, grano arrostito o altre ghiottonerie. Portava tutto alle sue sette madri, come amava chiamare le sette regine cieche, che con il suo aiuto sopravvissero nella segreta, mentre tutti credevano che fossero morte da tanto tempo.
Infine un giorno, ormai cresciuto e diventato un ragazzo, prese arco e frecce e uscì per giocare. Giunto per caso vicino al palazzo dove la cerva bianca viveva nel lusso e nello splendore, vide alcuni piccioni svolazzare intorno alle torrette di marmo bianco e, presa bene la mira, ne uccise uno. Cadendo a terra rotolò molto vicino alla finestra dove era seduta la regina bianca; lei si alzò per vedere di che si trattava e guardò fuori. Appena posò lo sguardo sul bel giovane in piedi con l’arco in mano, capì con i suoi poteri che quello era il figlio del re.
Si sentì travolgere dall’invidia e dal dispetto e decise di annientare subito il ragazzo; quindi lo fece portare da un servo alla sua presenza e gli chiese se voleva venderle il piccione che aveva appena ucciso.
«No», rispose risoluto il ragazzo, «il piccione è per le mie sette madri cieche, che vivono nella malsana segreta e morirebbero se non portassi loro del cibo».
«Povere creature!» esclamò l’astuta strega bianca. «Non ti piacerebbe restituire loro gli occhi? Dammi il piccione, mio caro, e ti prometto solennemente di mostrarti dove si trovano».
Udendo ciò, il ragazzo fu contento oltre misura, e le diede subito il piccione. Al che la regina bianca gli disse di andare a cercare sua madre senza indugio e domandarle gli occhi che indossava come una collana.
«Non mancherà certamente di dartela», disse la crudele regina, «se le mostrerai questo oggetto su cui ho scritto ciò che voglio sia fatto».
Così dicendo diede al ragazzo un coccio di vaso, su cui erano incise queste parole: “Uccidi subito il latore di questo messaggio e fai schizzare il suo sangue come acqua!”
Ora, dal momento che il figlio delle sette regine non sapeva leggere, prese con piacere il messaggio fatale e partì alla ricerca della madre della regina bianca.
Mentre era in viaggio, attraversò una città, dove ogni abitante aveva un aspetto così triste, che volle chiedere loro qual era il motivo. Gli abitanti risposero che il motivo era il fatto che l’unica figlia del re rifiutava di sposarsi, e così suo padre sarebbe morto senza eredi al trono. Temevano che fosse pazza, perché sebbene le fosse stato presentato ogni giovane di bell’aspetto che abitava nel regno, lei aveva dichiarato che avrebbe sposato solo uno che fosse figlio di sette madri, e chi aveva mai udito una cosa del genere? Il re, disperato, aveva ordinato che ogni uomo che avesse attraversato le porte della città fosse portato dinanzi alla principessa, e così, con suo grande disappunto perché aveva una gran fretta di trovare gli occhi delle sue madri, il ragazzo fu trascinato nella sala delle udienze.
Non appena la principessa posò lo sguardo su di lui, arrossì e, volgendosi al re, disse:
«Amato padre, scelgo lui!»
Nessuno mai fu tanto felice, quanto il re all’udire queste parole.
Anche gli abitanti impazzivano di gioia, ma il figlio di sette regine disse che non avrebbe sposato la principessa, se prima non avesse ricuperato gli occhi delle madri. Quando la principessa udì questo racconto, chiese di vedere il coccio di vaso, perché lei era istruita e intelligente. Alla vita di quelle parole traditrici non disse nulla, ma prese un altro coccio di forma simile e scrisse su di esso queste parole: “Prenditi cura di questo ragazzo e dagli tutto ciò che desidera”, poi lo restituì al figlio delle sette regine, che senza accorgersi di nulla lo prese e continuò la sua ricerca.
Poco tempo dopo giunse alla casupola nella gola dove la madre della strega bianca, un’orribile vecchia, borbottò minacciosa leggendo il messaggio, soprattutto quando il ragazzo le chiese la collana di occhi. Nonostante questo se la tolse e gliela diede dicendo:
«Ce ne sono solo tredici perché ne ho perso uno la settimana scorsa».
Il ragazzo fu comunque contento di quello che aveva ricevuto e si affretto verso casa più veloce che poteva per raggiungere le sue sette madri, qui giunto diede due occhi ciascuna alle regine più anziane, ma alla più giovane ne diede uno solo dicendo:
«Amatissima mammina mia! Sarò io il tuo secondo occhio, per sempre!»
Dopodiché partì per sposare la principessa come aveva promesso, ma quando passò vicino al palazzo della regina bianca, vide alcuni piccioni sul tetto. Preso l’arco, ne colpì uno, che attraversò volando la finestra. La cerva bianca guardò fuori e… oh! Il figlio del re era vivo e vegeto!
Gridò con odio e disappunto, ma fece chiamare il ragazzo e gli chiese come mai fosse ritornato così presto, e quando venne a sapere che aveva riportato i tredici occhi e li aveva restituiti alle sette regine cieche, riuscì a malapena a trattenere il suo furore. Malgrado ciò si sforzò di essere gentile con lui e gli disse che se le avesse dato quel piccione, l’avrebbe ricompensato con la meravigliosa mucca dello Jogi, il cui latte scorreva giorno e notte formando un lago grande quanto un regno. Il ragazzo, senza sospettare di nulla, le diede il piccione; al che lei, come la volta precedente, lo esortò a recarsi da sua madre e chiederle la mucca e gli diede un coccio di vaso su cui era scritto: “Uccidi questo ragazzo senza esitare e fai schizzare il suo sangue come acqua!”
Ma sul cammino il figlio di sette regine andò a far visita alla principessa solo per dirle che avrebbero dovuto rimandare ancora, e lei, dopo aver letto il messaggio sul coccio, glie ne diede un altro in cambio. Così, quando il ragazzo arrivò alla capanna della vecchia strega e le chiese la mucca dello Jogi, questa non poté rifiutare, ma indicò al ragazzo dove avrebbe potuto trovarla ed esortandolo a non aver paura dei diciottomila demoni che sorvegliavano e custodivano il tesoro, gli disse di andarsene, infuriata con la pazzia della figlia, che gettava via tante cose preziose.
Allora il ragazzo fece con coraggio quello che gli era stato detto. Viaggiò finché giunse a un lago bianco come il latte, sorvegliato dai diciottomila demoni. Erano davvero orribili a vedersi, ma il ragazzo, raccogliendo tutto il suo coraggio, passò tra loro fischiettando un motivetto senza guardare né a destra né a sinistra. Un po’ alla volta arrivò alla mucca dello Jogi, grande, bianca e bella, mentre lei, che era il re di tutti i demoni, produceva latte giorno e notte, e il latte scorreva dalle sue mammelle riempiendo il lago bianco.
Vedendo il ragazzo lo Jogi lo apostrofò duramente:
«Che sei venuto a fare qui?»
Il ragazzo rispose, seguendo i consigli della vecchia strega:
«Voglio la tua pelle, perché il re Indra sta facendo fabbricare un nuovo tamburo e dice che la tua pelle è bella e resistente».
A queste parole lo Jogi cominciò a fremere e tremare (perché nessun Jinn o Jogi può permettersi di disobbedire a un ordine del re Indra) e gettandosi ai piedi del ragazzo gridò:
«Se mi risparmierai ti darò tutto quello che possiedo, anche la mia bella mucca bianca!»
Allora il figlio di sette regine, dopo aver simulato un po’ di esitazione, accettò dicendo che dopo tutto non sarebbe stato difficile trovare da un’altra parte una pelle bella e resistente come quella dello Jogi. E così, spingendo davanti a lui la mucca meravigliosa, riprese la strada di casa. Le sette regine furono felici di possedere un animale così splendido e malgrado lavorassero dalla mattina alla sera per produrre formaggio e siero, oltre a vendere latte ai pasticcieri, non riuscivano a usare nemmeno la metà di quello che la mucca produceva e diventavano sempre più ricche giorno dopo giorno.
Vedendole comodamente sistemate, il figlio di sette regine partì con il cuore rasserenato per sposare la principessa, ma quando passò vicino al palazzo della cerva bianca, non poté resistere alla tentazione di tirare ad alcuni piccioni che tubavano sul parapetto. Uno di essi cadde proprio sotto la finestra dove sedeva la regina bianca. Guardando fuori vide il ragazzo in perfetta salute in piedi davanti a lei e diventò più bianca che mai per la rabbia e il disappunto.
Lo fece chiamare e gli chiese come aveva fatto a tornare così presto e quando venne a sapere del dono che le sue madri avevano ricevuto, stava per scoppiare, ma dissimulò come poteva i suoi sentimenti e sorridendo con dolcezza si disse ben lieta di aver potuto mantenere la sua promessa e che, se le avesse dato questo terzo piccione, avrebbe fatto per lui ancora di più di quanto aveva fatto in passato, donandogli il riso da un milione di sacchi che matura in una notte.
Il ragazzo fu molto contento all’idea e, dandole il piccione, partì alla ricerca del riso, fornito anche questa volta di un coccio di vaso su cui era scritto: “Non fallire questa volta. Uccidi il ragazzo e fai schizzare il suo sangue come acqua!”
Ma quando rivide la sua principessa, lei nuovamente gli chiese di vedere il coccio e come sempre lo sostituì con un altro su cui era scritto: “Ancora una volta dai a questo ragazzo tutto ciò che chiede, poiché il suo sangue sarà come il tuo sangue!”
Quando la vecchia strega vide ciò e udì che il ragazzo voleva il riso da un milione di sacchi che matura in una notte, montò su tutte le furie, ma dal momento che aveva molta paura della figlia, si controllò e indicò al ragazzo come trovare il campo sorvegliato da diciotto milioni di demoni, avvertendolo di non guardarsi indietro dopo aver raccolto l’alta spiga di riso che cresceva al centro del campo.
E il figlio di sette regine partì e ben presto giunse al campo dove, sorvegliato da diciotto milioni di demoni, cresceva il riso da un milione di sacchi. Camminò con coraggio, senza guardare né a destra né a sinistra, finché raggiunse il centro del campo e raccolse l’altissima spiga, ma mentre ritornava sui suoi passi, migliaia di dolci voci si levarono dietro di lui esclamando con tono accattivante:
«Raccogli anche me! ti prego, raccogli anche me!»
Guardò indietro e… puf! non rimase nulla di lui, solo un mucchietto di cenere!
Ora poiché il tempo passava e il ragazzo non faceva ritorno, la vecchia strega diventava inquieta ricordando il messaggio: “il suo sangue sarà come il tuo sangue”; e così si mise in cammino per scoprire cos’era accaduto.
Appena trovò il mucchietto di cenere e con le sue arti capì di cosa si trattava, prese un po’ d’acqua e impastando la cenere le diede l’aspetto di un uomo, poi, facendogli cadere in bocca una goccia di sangue del suo dito mignolo, soffiò su di lui, e immediatamente il figlio di sette regine si alzò vivo e sano come prima.
«Non disobbedire di nuovo ai miei ordini!» borbottò la vecchia strega, «altrimenti la prossima volta ti abbandonerò. E ora sparisci, prima che mi penta della mia gentilezza!»
E così il figlio di sette regine tornò felice dalle sue sette madri, che grazie al riso da un milione di sacchi diventarono ben presto le persone più ricche del regno. Dopodiché festeggiarono con grande sfarzo il matrimonio del figlio con la furba principessa. Ma la sposa voleva ancora far conoscere il marito al re suo padre e far punire la crudele strega bianca. Così fece costruire al marito un palazzo identico a quello in cui avevano vissuto le sette regine e in cui ora viveva tra i lussi la strega bianca. Poi, quando tutto fu pronto, esortò il marito a dare una grande festa per il re. Ora il re aveva sentito parlare molto del misterioso figlio di sette regine e della sua straordinaria ricchezza, per cui accettò l’invito. Ma quale non fu la sua meraviglia quando, entrando nel palazzo, vide che era la copia esatta del suo in tutti i particolari! E quando il suo ospite, riccamente vestito, lo condusse nel salone privato, dove su troni regali sedevano le sette regine, vestite come l’ultima volta che le aveva vista, fu ammutolito dalla sorpresa, finché la principessa, fattasi avanti, si gettò ai suoi piedi e gli raccontò tutta la storia. Allora il re si risvegliò dall’incantesimo e il suo furore montò contro la cerva bianca che lo aveva stregato per tanto tempo, finché non riuscì più a trattenersi. Così fu messa a morte e sulla sua tomba fu seminato, dopodiché le sette regine fecero ritorno al loro splendido palazzo, e tutti vissero felici.
FINE
NOTE
Testo originale e illustrazioni in:
http://www.mirrorservice.org/sites/gutenberg.org/7/1/2/7128/7128-h/7128-h.htm
Ultimo aggiornamento: Gennaio 2016