Leggende Orientali – IL CILIEGIO ALLA MEMORIA
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
IL CILIEGIO ALLA MEMORIA
A Kyoto, nel recinto del tempio chiamato Bukoji, a Takatsuji, che un tempo si chiamava Yabugashita (che significa “sotto il cespuglio”), c’era il negozietto di un certo Kihachi, un commerciante di cose curiose.
Kihachi non aveva un gran che da vendere, ma quel poco che aveva di solito erano cose buone. Perciò quasi tutti, quando venivano al tempio a pregare, non mancavano di fare una visitina al suo negozio per vedere e anche per comprare, perché sapevano bene che se c’era qualcosa di buono da comprare, Kihachi la comprava. Era un po’ un Christie ante litteram, tranne il fatto che la merce non era venduta all’asta.
Un giorno, il giorno in cui comincia la nostra storia, Kihachi era seduto nel suo negozio, disposto sia a vendere che a fare quattro chiacchiere, quando si affacciò un giovane cavaliere o nobile di corte. A quei tempi i giapponesi li chiamavano Kuge, ed erano molto differenti dai cavalieri di un signore feudale o di un Daimio, che di solito erano molto più minacciosi. Quel cavaliere in particolare era venuto al tempio per pregare.
«Hai molte cose graziose e interessanti qui», disse. «Posso entrare a dare un’occhiata finché non smette di piovere? Mi chiamo Sakata e sono un membro della corte».
«Ma certo, avanti, avanti», disse Kihachi. «Molte delle mie cose sono graziose, e non c’è dubbio che tutte quante sono buone, ma la gente oggi tende a non volersene separare. Bisognerebbe vivere due vite di cento anni ciascuna: i primi cento di dolori, rivoluzioni e sofferenze, in cui comprare le cose a buon mercato; gli altri cento di pace, in cui poterle vendere e goderne i guadagni. I miei affari vanno male e non rendono come dovrebbero, e malgrado questo, sono affezionato alle cose che vendo e spesso le osservo a lungo prima di metterle in vendita. Ma tu, signore, dove sei diretto? Dai vestiti che indossi vedo che sei in viaggio».
«È vero», rispose Sakata, «sei molto perspicace. Mi sto recando a Toba, nella provincia di Yamato, per vedere un mio carissimo amico che si è ammalato all’improvviso di un male misterioso. Ho paura che non sopravviverà fino al mio arrivo».
«A Toba!» disse il vecchio commerciante. «Scusami se te lo domando: come si chiama il tuo amico?»
«Il mio amico si chiama Matsui».
«Ah», disse il commerciante, «è il nome del nobile che si dice abbia ucciso lo spirito del vecchio ciliegio nei pressi di Toba, il ciliegio che cresceva nel terreno del tempio in cui lui ora vive insieme ai sacerdoti. La gente dice che quel ciliegio è vecchio quanto lo spirito che lo ha lasciato. Era apparso con l’aspetto di una bella donna, e Matsui, per paura o perché non gli piaceva, lo ha ucciso, con il risultato, dicono, che proprio da quella sera, una decina di giorni fa, il tuo amico Matsui si è ammalato. E posso aggiungere che quando lo spirito è stato ucciso, l’albero e avvizzito ed è morto».
Sakata, ringraziato Kihachi per questa informazione, riprese il cammino e infine trovò l’amico Matsui assistito dalle cure dei sacerdoti del tempio Shonen, presso Toba, con in quali era in stretti rapporti.
Il giovane cavaliere si era da poco congedato da Kihachi ed era uscito dal suo negozio, quando cominciò a nevicare e continuò tanto che sembrava non avrebbe smesso per un bel po’. Kihachi quindi alzò le persiane e andò a letto.
Non molto più tardi quella stessa sera qualcuno bussò alle persiane. Kihachi, che non aveva voglia di alzarsi dal letto caldo, gridò:
«Chi è? Tornate domani mattina. Non me la sento di alzarmi stanotte».
«Ma devi, devi alzarti! Sono stato mandato per venderti un bel kakemono [dipinto]», disse la voce di una ragazza con tanta dolcezza e insistenza che il vecchio commerciante si alzò e dopo aver armeggiato parecchio con le dita intorpidite, aprì la porta.
La neve era caduta fitta, ma ora splendeva la luna piena, e Kihachi vedeva davanti a sé una bella ragazza di quindici anni, scalza, con in mano un kakemono per metà srotolato.
«Guarda», disse. «Mi hanno mandata per vendertelo». Disse di essere la figlia di Matsui di Toba.
Il vecchio la fece entrare e vide che il dipinto raffigurava una bella donna in piedi. Era di ottima fattura, e il vecchio gli si affezionò subito.
«Ti darò un ryô [antica moneta giapponese] per questo», disse, e con sua somma meraviglia, la ragazza accettò l’offerta con impazienza, tanto che lui pensò che il dipinto potesse essere rubato. Ma dato che era un commerciante, non disse niente e pagò il prezzo. La ragazza corse via in fretta-
«Sì», mormorò il vecchio, «lo ha rubato, lo ha sicuramente rubato. Ma a me cosa importa? Questo kakemono vale almeno 50 ryô, e non mi capitano spesso occasioni del genere.
Kihachi era più che soddisfatto del suo acquisto. Accese la lampada, appese il dipinto nell’angolo riservato ai kakemono e si sedette a osservarlo. Era una donna veramente bella e dipinta molto bene, e valeva sicuramente più di quei ryô che aveva pensato in un primo momento. Ma, santo cielo!, sembrava che stesse cambiando. Ma certo! Non era più una bella donna. Il viso si era tramutato in quello di una figura orrenda e spaventosa. Il volto della donna era spiritato e coperto di sangue. Gli occhi erano aperti e sbarrati, la bocca ansimante. Kihachi sentiva del sangue gocciolargli sul capo: proveniva da una ferita fra le spalle della donna. Per sfuggire a quella visione terrificante, Kihachi corse a letto, mise la testa sotto le coperte e rimase così, senza dormire, fino all’alba.
Quando riaprì gli occhi, il kakemono era come quando l’aveva comprato: il ritratto di una bella donna. Pensò che il piacere provato per aver fatto un buon affare avesse avuto la conseguenza opposta di fargli fare un brutto sogno.
Ma Kihachi si sbagliava. Ogni notte il kakemono lo svegliava e gli mostrava lo stesso viso insanguinato, a volte lanciava anche delle grida. Kihachi non riusciva più a dormire e capì che il suo non era stato un acquisto a buon mercato, ma una grossa spesa. Si rese conto che doveva andare a Toba e restituire il dipinto a Matsui senza chiedere il rimborso del prezzo pagato.
Dopo due interi giorni di viaggio, Kihachi arrivò al tempio Shonen, presso Toba. Qui chiese di vedere Matsui e fu condotto con ogni cerimonia nella stanza del malato. Matsui stava meglio, ma quando gli fu consegnato il kakemono con dipinta la figura della donna, impallidì, lo fece a pezzi e lo gettò nell’irori [fuoco del tempio]. Poi anche lui e sua figlia si gettarono nel fuoco e morirono bruciati entrambi.
Kihachi, dopo avere visto questo, rimase malato molti giorni. La storia si diffuse per tutte le terre dei dintorni.
Il principe Nijo, governatore di Kyoto, fece svolgere una inchiesta accurata sulle circostanze del caso, e fu assodato al di là di ogni dubbio che tutto ciò che era capitato a Matsui e alla sua famiglia era derivato dall’aver ucciso lo spirito del vecchio ciliegio. Lo spirito, per punirlo e dimostrare che c’è una vita invisibile nelle vecchie cose morte, gli appariva con l’aspetto di una giovane donna mentre veniva uccisa. Lo spirito quindi si era materializzato in quel bel dipinto e lo perseguitava.
Il principe Nijo, in memoria del fatto, fece piantare un giovane ciliegio sul punto in cui si trovava quello vecchio, e da allora quel ciliegio è chiamato il “Ciliegio alla Memoria”.
FINE
Testo originale e illustrazione in: http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj49.htm.