leggende orientali – I DUE GIOCOLIERI

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Racconto popolare cinese

Tradotta da Dario55

I DUE GIOCOLIERI

Una bella mattina di primavera due uomini passeggiavano nella pubblica piazza di una famosa città della Cina. Erano vestiti in modo semplice e avevano l’aspetto due paesani qualunque venuti a visitare i monumenti. A giudicare dai lori volti, dovevano essere padre e figlio. Il più vecchio, un uomo con molte rughe, forse di una cinquantina d’anni, aveva una rada barba grigia. Il più giovane aveva una cassa sulle spalle.
Nell’ora in cui i due stranieri entrarono nella pubblica piazza, una grande folla vi si era già radunata, poiché era un giorno di festa, e tutti volevano divertirsi. La gente sembrava essere molto felice. Alcuni, seduti in padiglioni all’aria aperta, stavano mangiando, bevendo e fumando. Altri acquistavano cianfrusaglie nelle bancarelle, giocavano a battimuro e tentavano la sorte in giochi di fortuna.
I due uomini passeggiavano senza meta. Sembrava che non avessero amici tra la gente che si divertiva. Ma alla fine, mentre stavano leggendo un avviso pubblico appeso all’ingresso dello yamen, ossia il municipio, uno degli astanti chiese loro chi fossero.
«Siamo giocolieri di una provincia lontana», disse il più vecchio, sorridendo e indicando la cassa. «Possiamo fare tanti trucchi per il divertimento della gente».
In un attimo tra la folla si diffuse la voce che due famosi giocolieri erano appena arrivati dalla capitale e che sapevano fare un sacco di cose meravigliose. Accadde allora che il mandarino, ossia il capo della città, proprio in quel momento stava intrattenendo un certo numero di ospiti nello yamen. Avevano appena finito di mangiare, e gli ospiti erano curiosi di sapere cosa avrebbe fatto il mandarino per divertirli, quando un servitore gli riferì dei due giocolieri.
«Chiedi loro cosa sanno fare», disse il mandarino tutto eccitato. «Li pagherò molto bene, se sapranno veramente divertirci, ma voglio qualcosa di più dei vecchi giochetti come mangiare spade e numeri di equilibrismo. Devono farci vedere qualcosa di nuovo».
Il servitore andò dai giocolieri e disse loro:
«Il grande mandarino mi ha ordinato di chiedervi cosa sapete fare. Se siete capaci di divertire i suoi ospiti, li porterà nel grande padiglione e vi farà esibire davanti a loro e alla gente che si è radunata».
«Riferisci al tuo onorevole padrone», disse il vecchio che chiameremo Chang, «di metterci liberamente alla prova, non se ne pentirà. Digli che veniamo dal paese sconosciuto dei sogni e delle visioni, che possiamo trasformare le rocce in montagne, i fiumi in oceani, i topi in elefanti, insomma, che nessuna magia è troppo difficile per noi».
Il mandarino fu molto contento quando il servitore andò a riferirgli il colloquio.
«Possiamo divertirci un po’», disse agli ospiti, «qui fuori ci sono dei giocolieri che eseguiranno per noi i loro fantastici giochi».
Gli ospiti si trasferirono nel grande padiglione di fianco alla pubblica piazza. Il mandarino ordinò di tendere una corda in modo che rimanesse uno spazio aperto perché la folla potesse vedere bene l’esibizione dei due Chang.
Per un po’ i due giocolieri intrattennero la gente con un po’ dei giochi più semplici, come i piatti che giravano in aria, giochi con palline, bacchette che sparivano e fiori che sbocciavano da vasi vuoti, e trasformando un oggetto in un altro. Ma alla fine il mandarino esclamò:
«Questi trucchi sono molto belli, ma come la mettiamo con quelle vanterie di trasformare fiumi in oceani e topi in elefanti? Non avete detto che venite dalla terra dei sogni? I trucchi che avete fatto sono vecchi e polverosi. Non avete niente di nuovo che io possa regalare ai miei ospiti in questo giorno di festa?»
«Ma certamente, vostra eccellenza! Ma di sicuro non avete servitori disposti a fare più di quanto il loro padrone richiede. E questo sarebbe del tutto contrario agli insegnamenti dei nostri padri. Perciò state certo, mio signore, che tutto ciò che volete, noi lo faremo. Basta una sola parola».
Il mandarino rise di gusto a questo linguaggio millantatore.
«Attento, mio caro! Non spingerti troppo lontano con le tue promesse. Intorno a me ci sono troppi impostori, perché io creda a qualunque straniero. Ascoltami bene! Non mentire in presenza dei miei ospiti, perché se osi mentire davanti a loro, ti farò bastonare con il massimo piacere».
«Le mie parole sono la pura verità», ribadì serio Chang. «Che guadagno potremmo trarre dall’inganno, proprio noi, che abbiamo fatto i nostri prodigi davanti agli innumerevoli ospiti del lontano Cielo dell’Ovest?»
«Ha, ha! Sentite un po’ questi spacconi!» esclamarono gli ospiti. «Cosa possiamo ordinar loro di fare?»
Per un momento si consultarono tra loro, sussurrando e ridendo.
«Ho trovato!» esclamò infine uno degli ospiti. «La nostra festa ha pochi frutti, dato che siamo fuori stagione. Chiediamo a costui di procurarcene. Ehi tu, fai comparire una pesca, e fai presto! Non abbiamo tempo per gli scherzi».
«Come, mio padrone, una pesca?» esclamò il Chang più vecchio con un certo disappunto. «In questa stagione non potete certo sperare di avere una pesca».
«Battuto al suo stesso gioco!» risero gli ospiti, e la gente cominciò a prenderlo in giro.
«Ma, padre mio», intervenne il figlio, «hai promesso di fare qualunque cosa ti venisse chiesta. Se ti si chiede una pesca, come puoi rifiutare senza perdere la faccia?»
“Senti un po’ che dice il ragazzo”, mormorò il padre, “forse ha ragione”.
«Molto bene, mio padrone», disse, e rivolto alla folla: «se ciò che volete è una pesca, ebbene, avrete una pesca, a costo di andare a raccoglierla nel giardino del Cielo dell’Ovest».
La gente tacque, e gli ospiti del mandarino smisero di ridere. Il vecchio, ancora borbottando, aprì la cassa da cui aveva tirato fuori le palle magiche e gli altri oggetti. «Gente che vuole pesche in questa stagione! Dove andremo a finire di questo passo?»
Dopo aver armeggiato nella cassa per qualche istante, ne estrasse una matassa di filo d’oro sottile come una ragnatela. Appena ebbe dipanato un tratto di quel filo, lo sollevò in aria sopra le teste degli spettatori. Sempre più veloce il vecchio faceva ruotare la matassa magica, sempre più in alto l’estremità libera si sollevava nel cielo, finché, per quanti sforzi facessero gli occhi, nessuno dei presenti poté più vedere in quale lontana regione fosse scomparsa.
«Meraviglioso, meraviglioso!» esclamò la gente all’unisono, «questo vecchio è un mago».
Per un attimo dimenticarono il mandarino, i giocolieri e la pesca, tanto erano affascinati dallo spettacolo del volo del filo magico.
Infine il vecchio parve soddisfatto della distanza a cui si era sollevato il filo e, inchinandosi agli spettatori, legò l’estremità a una grande colonna di legno che serviva a sostenere il tetto del grande padiglione. Per un attimo la struttura tremò e oscillò come se volesse essere trasportata nel cielo blu, gli ospiti impallidirono e si afferrarono alle sedie per sostenersi, ma nemmeno il mandarino osò parlare, tanto erano sicuri di trovarsi in presenza di una creatura fatata.
«Tutto è pronto per il viaggio», disse tranquillo il vecchio Chang.
«Ma come! Ci lasci?» chiese il mandarino ritrovando la voce.
«Io? Oh, no. Le mie vecchie ossa non sono abbastanza agili per arrampicarmi in fretta. Mio figlio qui ci porterà la pesca magica. Lui è abbastanza giovane e bello per entrare nel giardino del cielo. Ricordi certamente i versi della poesia: “Oh quanto, quanto aggraziato è quel pesco, e quanto aggraziato dev’esser colui che raccoglie i suoi frutti”».
Il mandarino fu ancor più meravigliato che il giocoliere conoscesse una famosa poesia della letteratura classica. Questo rafforzò lui e i suoi amici nella convinzione che i nuovi arrivati fossero veramente creature fatate.
A un cenno del padre il giovane strinse la cintura attorno ai fianchi, poi con un gesto aggraziato per stupire gli astanti, saltò sul filo magico, si tenne in equilibrio su di esso per qualche istante, infine si arrampicò veloce come avrebbe fatto un marinaio su una scala di corda. Si arrampicò sempre più in alto fino ad apparire non più grande di un’allodola che salisse nel cielo blu, poi come un granellino, sempre più lontane nell’orizzonte dell’occidente.

i due giocolieriLa gente guardava a bocca aperta per lo stupore. Erano ammutoliti e pieni di una paura senza nome; osavano appena guardare verso il mago che se ne stava tranquillo in piedi in mezzo a loro, fumando la sua pipa dalla lunga canna.
Il mandarino, che provava vergogna per aver deriso e minacciato quell’uomo che era senza dubbio una creatura fatata, non sapeva che dire. Si mordeva le lunghe unghie delle dita e guardava i suoi ospiti in muto stupore. Gli ospiti bevevano il tè in silenzio, e la folla di visitatori allungava il collo nel vano tentativo di cogliere con lo sguardo il mago che era svanito. Solo uno tra tutti loro, un ragazzino di otto o nove anni con gli occhi brillanti, osò rompere il silenzio, provocando un’esplosione di allegria esclamando:
«Oh, papà, perché quel ragazzo cattivo è volato in cielo è ha lasciato il suo povero padre tutto solo?»
Il vecchio rise rumorosamente insieme agli altri, e lanciò una moneta di rame al ragazzino.
«Che bravo ragazzo», disse sorridendo, «è stato educato bene ad amare suo padre; non ha paura di dimostrare la sua pietà filiale».
Dopo un po’ il Chang vecchio posò la pipa accanto a sé e fissò lo sguardo ancora una volta sul cielo dell’ovest.
«Sta arrivando», disse calmo. «Tra poco la pesca sarà qui».
Improvvisamente alzò le mani, come se dovesse afferrare un oggetto, ma, per quanto guardasse, la gente non riuscì a vedere nulla. Swish! Thud! Scese come una striscia di luce, ed ecco che tra le dita del mago c’era una pesca, il più bell’esemplare di pesca che la gente avesse mai visto, grande e rosea.
«Dritta dritta dal giardino degli dei», disse Chang porgendo il frutto al mandarino, «una pesca durante la seconda luna, con la neve che ricopre la terra».
Tremando di eccitazione il mandarino prese la pesca e la tagliò. Era abbastanza grande perché tutti gli ospiti potessero assaggiarla, e che sapore! Schioccavano le labbra e ne chiedevano ancora, pensando tra sé che non avrebbero mai più mangiato un frutto qualsiasi.
Ma per tutto quel tempo il vecchio giocoliere, mago, creatura fatata o come volete chiamarlo, stava guardando con ansia verso il cielo. Il risultato del suo trucco magico era stato superiore a quello che si era aspettato. Certo, era riuscito a produrre la pesca magica che il mandarino gli aveva chiesto, ma suo figlio, dov’era finito suo figlio? Si fece ombra agli occhi e scrutò lontano nel cielo blu, e lo stesso fece la gente, ma non riuscì a scorgere neppure l’ombra del giovane che vi era salito.
«Oh, figlio mio, figlio mio», piangeva disperato il vecchio, «quanto è crudele il destino che ti ha rapito a me, tu, l’unico sostegno della mia vecchiaia! Oh, ragazzo mio, ragazzo mio, non ti avessi mai mandato in un viaggio così pericoloso! Chi custodirà ora la mia tomba quando me ne sarò andato?»
All’improvviso il filo di seta su cui il giovane era salito con tanta audacia verso il cielo diede un balzo improvviso che la fece vacillare sul punto dove era appesa e, proprio davanti agli occhi della gente, cadde a terra, un mucchio di seta sul suolo di fronte a loro.
Il vecchio lanciò un forte grido e si coprì il viso con le mani.
«Ahimè! Adesso è tutto chiaro», singhiozzò. «Mio figlio è stato catturato mentre raccoglieva la pesca magica nel giardino degli dei, e questi lo hanno gettato in prigione. Povero me! Ah! Povero me!»
Il mandarino e i suoi amici erano profondamente colpiti dal dolore del vecchio e cercavano inutilmente di consolarlo.
«Forse tornerà», dicevano. «Fatti coraggio!»
«Sì, ma in quale forma?» rispondeva il mago. «Guardate! Proprio ora lo stanno restituendo al padre».
La gente guardò e vide il braccio del giovane scendere roteando e oscillando attraverso l’aria. Cadde a terra di fronte a loro ai piedi del mago. Poi arrivò la testa, una gamba, il tronco. Uno alla volta davanti alla gente senza fiato e scossa da brividi le parti dello sfortunato giovane furono restituite al padre.
Dopo il primo scoppio di selvaggio, convulso dolore il vecchio con un grande sforzo riprese ilo controllo delle sue emozioni e cominciò a raccogliere quei pezzi e a riporli delicatamente nella cassa di legno.
Molti degli astanti piangevano alla vista del dolore del padre.
«Coraggio», disse infine il mandarino, profondamente commosso, «offriamo a questo vecchio denaro sufficiente per dare al figlio una dignitosa sepoltura».
Tutti i presenti acconsentirono volentieri. poiché in Cina nulla genera più compassione di un vecchio genitore che la morte priva del suo unico figlio. Una pioggia di monete cadde ai piedi del giocoliere, e ben presto le sue lacrime di gratitudine si mescolarono con quelle di dolore. Raccolse il denaro e lo legò in un grande panno nero. Poi sul suo viso avvenne una meravigliosa trasformazione. Sembrò aver improvvisamente dimenticato il suo dolore. Rivolto alla cassa, ne sollevò il coperchio, e la gente lo udì dire:
«Vieni, figlio mio, la gente sta aspettando i tuoi ringraziamenti. Affrettati! Sono stati tanto gentili con noi».
In un attimo la cassa si aprì con un botto, e davanti al mandarino e ai suoi amici, davanti agli occhi di tutti gli spettatori il giovane, forte e di nuovo tutto intero , balzò fuori e s’inchinò, riunendo le mani nel saluto tradizionale.
Per qualche istante tutti rimasero in silenzio. Poi, non appena si rese conto pienamente del prodigio a cui avevano assistito, la gente proruppe in un tumulto di di grida, risate e complimenti.
«Le creature fatate ci hanno certamente fatto visita!» esclamarono. «La città sarà benedetta dalla buona sorte! Forse il Vecchio Ragazzo Magico in persona è venuto in mezzo a noi!»
Il mandarino si alzò e si rivolse ai giocolieri, ringraziandoli a nome dell’intera città e per il sapore della pesca del frutteto celeste che avevano regalato a lui e ai suoi ospiti.
Proprio mentre stava parlando, la cassa magica si aprì nuovamente; le due creature fatate scomparvero al suo interno, il coperchio si chiuse e la cassa si sollevò sopra la testa della gente. Per qualche istante galleggiò in cerchio come un piccione che cerca di trovare la direzione prima di riprendere la via del ritorno. Poi, con un improvviso slancio di velocità, schizzò in cielo e scomparì agli sguardi di quelli che osservavano dal basso, e non rimase più traccia degli strani visitatori, tranne il nocciolo della pesca magica sulla tavola del mandarino accanto alle tazze del tè.
Secondo gli scrittori più antichi non è rimasto nessuno di coloro che hanno raccontato questa storia. Tuttavia studiosi successivi hanno dichiarato che il mandarino e i suoi amici che avevano mangiato la pesca magica da quel momento cominciarono a sperimentare dei cambiamenti nella loro vita. Mentre prima dell’arrivo delle creature magiche avevano vissuto commettendo ingiustizie, accettando di farsi corrompere e partecipando a maneggi disonorevoli, dopo aver assaporato il frutto celeste cominciarono a diventare migliori. La gente cominciò ben presto ad apprezzarli e onorarli, dicendo:
«Di certo questi uomini non sono come gli altri del loro rango, poiché questi ci trattano con giustizia e onestà. Non danno certo l’impressione di governare per il loro esclusivo interesse!»
Come che sia, quella città divenne il più grande centro di produzione di pesche di tutta la Cina, e quando gli stranieri entravano nei loro frutteti e ammiravano gli splendidi frutti profumati, talvolta gli abitanti dicevano con orgoglio:
«Non avete mai udito parlare della pesca meravigliosa che ha dato origine a tutti i nostri frutteti, la pesca magica che le creature fatate ci hanno portato dal Cielo dell’Ovest?»

FINE


NOTE

Testo originale in:
http://zeluna.net/chinese-fairytales-thetwojugglers.html

Ultimo aggiornamento: Marzo 2016

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