leggende orientali – RAIKO E LE SUE GUARDIE
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
Raiko e le sue guardie
Oltre ottomila lune or sono nella zona montuosa del Giappone viveva un giovane valoroso e abile arciere. Per il suo valore e abilità nell’uso dell’arco era stato chiamato a Kioto per fare la guardia al palazzo imperiale. A quel tempo il Mikado non riusciva a dormire di notte, poiché il suo riposo era disturbato da un orribile animale che terrorizzava perfino le sentinelle armate che facevano la guardia.
Questo orribile animale aveva ali di uccello, corpo e artigli di tigre, testa di scimmia, coda di serpente e le scaglie crepitanti di un drago. Una notte dopo l’altra si posava sul tetto del palazzo ululando e graffiando in modo così terribile che il povero imperatore aveva perduto il sonno, ed era diventato debole e fragile. Nessuna delle guardie osava affrontare il mostro a viso aperto e nessuna era abbastanza abile da colpirlo con una freccia nell’oscurità, malgrado molti degli arcieri dell’imperatore ci avessero provato più volte. Quando il giovane arciere ricevette l’incarico, decise di combattere il drago in ogni modo. Così tese bene la corda del suo arco, affilò le punte di ferro delle frecce e montò di guardia accompagnato solo dal più fidato dei suoi servitori.
Accadde che fosse una notte tempestosa. I fulmini erano molto luminosi, e il demone del tuono suonava tutti i suoi tamburi. Il vento vorticava gelido tutt’intorno, come se gli spiriti del vento stessero svuotando tutti i loro sacchi. Verso mezzanotte l’occhio vigile dell’arciere scorse alla luce di un lampo l’orribile animale seduto in cima alla trave di colmo all’estremità di nord-est del tetto. Ordinò al servitore di tenere pronta una torcia di paglia e sterpi per far luce in qualsiasi momento, di liberare la spada nel fodero e di inumidire l’elsa. Poi incoccò la sua freccia migliore nella corda di seta dell’arco.
Aguzzando la vita vedeva i bagliori ora di un occhio ora dell’altro mentre l’animale si muoveva lentamente dondolando la testa lungo il grande tetto fino al cornicione direttamente sulla camera da letto del Mikado. Qui si fermò.
Era l’occasione per l’arciere. Puntando una trentina di centimetri a destra rispetto a dove vedeva lampeggiare l’occhio, tese il lungo arco e scoccò. Un colpo sordo, un tremendo ululato, un tonfo pesante al suolo e il contorcersi di una creatura tra i sassi fece capire in un attimo che la freccia aveva colpito il bersaglio. L’istante successivo il servitore corse fuori con la torcia accesa e si unì alla battaglia con il suo pugnale. Seguì una lotta breve ma rabbiosa, finché la spada affilata del guerriero finì il mostro tagliandogli la cola. Poi lo scorticarono, e il mattino dopo la pelle fu esibita a sua maestà.
Tutti si congratularono con il valente arciere per il valore e l’abilità nella mira. Molti giovani figli di nobili e guerrieri lo pregarono di prenderli come discepoli nel tiro con l’arco. Il Mikado comandò a un nobile di altissimo lignaggio di presentarsi a lui con la famosa spada chiamata “Il Re dei Cinghiali Selvaggi” e gli concesse in moglie una splendida dama del suo seguito. Fu promosso al grado di capitano della guardia e gli fu attribuito un titolo altamente onorifico. Ma era anche chiamato Raiko, e con questo nome era molto conosciuto da tutti i giovani e le ragazze del Grande Giappone, che narravano molte storie sulla sua abilità e valore. Agli ordini del capitano Raiko c’erano tre coraggiosi soldati della guardia, uno dei quali si chiamava Tsuna. Compito di questi armati era vigilare sui cancelli che conducevano al palazzo.
– Era l’occasione per l’arciere –
Accadeva che la Capitale dei Fiori era caduta in una terribile condizione, perché la guardia agli altri cancelli era stata trascurata. I ladri erano numerosi e gli omicidi frequenti, cosicché molta gente onesta aveva paura a uscire per strada di notte. Ma la cosa peggiore di tutte erano le voci secondo cui demoni delle colline si aggiravano nell’oscurità per afferrare la gente per i capelli e trascinarla via verso le montagne, strapparle la carne dalle ossa e mangiarla.
Il luogo peggiore di Kioto in cui quei demoni con due corna si presentavano più spesso era il cancello di sudovest. Raiko, dunque, mandò i quel luogo Tsuna, la più valorosa delle sue guardie.
Era una notte buia, piovosa e lugubre, quando Tsuna, ben armato, partì per montare di guardia al cancello. Il suo fedele elmo era annodato sotto il mento, e ogni parte della sua armatura era ben legata. I sandali erano strettamente allacciati ai suoi piedi, e nella cintura era infilata l’inseparabile spada, appena affilata fino a farla diventare tagliente come un rasoio e con cui Tsuna era capace di tagliare in pezzi un capello che volava nell’aria.
Arrivato alla colonna rossa del cancello, Tsuna percorse avanti e indietro il sentiero sassoso con occhi e orecchi bene aperti. Il vento soffiava gelido, la tempesta ululava e la pioggia cadeva torrenziale, tanto che ben presto i lacci dell’armatura di Tsuna e i suoi vestiti furono completamente fradici.
La grande campana di bronzo del tempio sulla collina batteva le ore una dopo l’altra, finché un unico rintocco comunicò a Tsuna che era giunta mezzanotte.
Trascorsero due ore e Tsuna era ancora sveglio. La tempesta si era calmata, ma le tenebre erano ancora fitte. Suonarono le ore, e le note calde e morbide della campana del tempio si affievolirono come una ninnananna che invitava a dormire, nonostante la volontà e il giuramento.
Il guerriero, quasi senza accorgersene, divenne sempre più assonnato e cadde addormentato. Si destò con un sussulto. Si scosse, fece tintinnare l’armatura, si pizzicò e addirittura, estratto il suo piccolo coltello dal fodero di legno, si punzecchiò la gamba con la punta per tenersi sveglio, ma tutto fu inutile. Sopraffatto dalla sonnolenza, si piegò contro il pilastro del cancello e si addormentò.
Questo era proprio ciò che il demone desiderava. Per tutto il tempo era stato nascosto sulla traversa in cima al cancello aspettando la sua occasione. Ora scivolò dolcemente come una scimmia e con i suoi artigli di ferro afferrò Tsuna per l’elmo e cominciò a trascinarlo in aria.
In un attimo Tsuna fu sveglio. Afferrando il polso peloso della creatura malefica con la mano sinistra, con la destra estrasse la spada, la roteò intorno alla testa e troncò il braccio del demone. Terrorizzata e urlando dal dolore, la creatura saltò via dal pilastro e scomparve tra le nuvole.
Tsuna attese con la spada affilata in mano, nel caso il demone potesse tornare, ma dopo poche ore spuntò l’alba. Il sole sorse sulle pagode, sui giardini e i templi della capitale e sui nove cerchi delle Colline Fiorite. Era tutto bello e luminoso. Tsuna tornò per fare rapporto al capitano, portando trionfalmente il braccio del demone. Raiko lo esaminò e lodò ad alta voce Tsuna per il suo coraggio e lo ricompensò con una fascia di seta.
Ora si dice che se il braccio di un demone viene troncato non può essere nuovamente unito al corpo, se è tenuto lontano da esso per una settimana. Così Raiko avvertì Tsuna di rinchiuderlo e sorvegliarlo giorno e notte, per evitare che il demone lo rubasse.
Tsuna si recò dai tagliapietre che scolpivano le immagini di Buddha, mortai per macinare il riso e casse per seppellire il denaro e acquistò una cassa robusta intagliata da solida pietra. Aveva un pesante coperchio, che scivolava in un solco e usciva solo toccando una molla segreta. In essa mise il braccio troncato. Poi la sistemò nella sua camera da letto, dove la custodiva giorno e notte, tenendo il cancello e tutte le porte chiuse a chiave. Non permetteva a nessuno che non conoscesse di vedere il trofeo.
Trascorsero sei giorni e Tsuna cominciò a pensare che il suo premio fosse sicuro: forse che le porte non erano tutte ben chiuse? Così tirò fuori la cassa e la mise nel centro della stanza, e intrecciando con gioia qualche frangia di paglia di riso in segno di vittoria sicura, sedette a suo agio davanti a essa. Si tolse l’armatura e indossò le vesti di corte. Durante la sera, ma piuttosto tardi, si udì al cancello esterno un colpo debole, come quello di una vecchia.
Tsuna gridò:
«Chi è”?»
La voce stridula di sua zia (come sembrava), che era una donna molto anziana, rispose:
«Voglio vedere mio nipote e lodarlo per il suo coraggio nel troncare il braccio del demone».
Così Tsuna la fece entrare e chiudendo con attenzione la porta dietro di lei, aiutò la vecchia a entrare nella stanza, dove sedette sulle stuoie davanti alla cassa e molto vicino a essa. Poi diventò sempre più loquace e lodò l’impresa del nipote, fino a quando Tsuna si sentì molto orgoglioso.
Per tutto il tempo la spalla sinistra della vecchia donna rimase coperta dal vestito, mentre la mano destra era fuori. Infine pregò ardentemente di poter vedere l’arto. Tsuna in un primo momento rifiutò educatamente, ma lei continuò a insistere fino a quando lui fece scivolare leggermente indietro il coperchio di pietra.
«Questo è il mio braccio!» esclamò la vecchia strega, trasformandosi in un demone, e trascinandolo fuori dalla cassa.
Volò su fino al soffitto e uscì attraverso il foro per il fumo sul tetto, scomparendo in un bagliore. Tsuna si precipitò fuori di casa per colpirlo con una freccia, ma vide solo un demone lontano tra le nuvole che sogghignava in modo orribile. Mentre guardava, vide il braccio troncato unirsi di nuovo con il corpo, e il demone agitò entrambi pugni contro di lui in segno di vittoria.
Mentre il demone volava lontano con il suo braccio, Tsuna notò che si dirigeva a nord-ovest. Riferì a Raiko dell’incidente, e furono subito elaborati piani per snidare e distruggere i demoni delle colline. Ma proprio allora Raiko si ammalò di una strana malattia e ogni giorno diventava sempre più debole e più pallido. Non appena i demoni vennero a saperlo, mandarono una creatura maligna con tre occhi per tormentarlo.
Questa creatura, che aveva un muso come un maiale, tre mostruosi occhi blu e una bocca piena di zanne, era contenta che il coraggioso soldato non potesse più combattere i demoni. Si avvicinò al malato nella sua camera, lo squadrò con malignità, gli tirò fuori la lingua e gli abbasso le palpebre, fino a quando la vista di Raiko divenne sempre più debole.
Ma Raiko, sano o malato che fosse, dormiva sempre con la sua fidata spada sotto il cuscino. Finse di essere molto spaventato e si nascose sotto le lenzuola. Allora la creatura si fece sempre più audace, ma quando fu vicino al letto, Raiko estrasse la lama e divise in due la testa del nemico attraverso il suo enorme muso suino. La creatura lanciò un urlo terribile e fuggì via lasciando una scia di sangue.
Quando Tsuna e i suoi udirono dell’impresa del loro maestro, si congratularono con lui e si offrirono di dare la caccia alla creatura maligna per distruggerla.
Seguirono le gocce rosse fino ad arrivare a una caverna nella montagna. Quando vi entrarono, videro nell’oscurità un ragno alto tre metri con le zampe come canne da pesca e grosso come un enorme ravanello. Due grandi occhi gialli brillavano come lampade. Notarono una grande ferita slabbrata, come se una spada gli fosse stata calata con forza sul muso.
Era una cosa pelosa orrenda e difficile da combattere con le spade, dal momento che per avvicinarsi abbastanza avrebbero potuto essere colpiti dagli artigli della creatura. Allora Tsuna andò ad abbattere un albero largo come la gamba di un uomo, lasciando le radici, mentre i suoi compagni preparavano una corda per legare il mostro come una mosca in una rete. Poi con un forte grido Tsuna si slanciò sul ragno, lo abbatté con un colpo, e lo tenne fermo a terra con l’albero e le radici in modo che non potesse mordere o usare gli artigli. Vedendo questo, i compagni di Tsuna si precipitarono e legarono strettamente le zampe del mostro al suo corpo in modo che non potesse muoversi. Estratte le spade, trafissero il corpo del ragno e lo finirono. Tornando trionfanti in città, trovarono il loro amato capitano guarito dalla malattia.
Raiko ringraziò i suoi coraggiosi guerrieri per le loro gesta, diede una festa in loro onore e li colmò di doni. Mentre mangiavano, disse loro che aveva ricevuto ordine dal Mikado di marciare contro la tana dei demoni, ucciderli tutti e salvare i prigionieri che vi avrebbero trovato. Poi mostrò loro l’ordine scritto a grandi lettere:
“Raiko, ti ordino di punire i demoni.”
In quel tempo molte famiglie di Kioto erano in lutto per la perdita dei loro figli, e anche mentre Tsuna era stato lontano molte belle fanciulle erano state rapite e portate alla tana dei demoni.
Affinché i demoni non li udissero arrivare e fuggissero, i quattro fidi si travestirono da sacerdoti itineranti delle montagne. Coprirono gli elmi con enormi cappelli di paglia intrecciata così fitta che nessuno poteva vedere i loro volti. Poi coprirono l’armatura con abiti molto semplici e comuni e, dopo aver venerato i simulacri delle divinità, iniziarono il cammino.
Le montagne deserte erano quasi prive di sentieri, poiché nessuno si era mai inoltrato in esse tranne, di tanto in tanto, un povero taglialegna o un carbonaio; malgrado ciò Raiko e i suoi uomini si misero in marcia con cuore saldo. Non c’erano ponti sui torrenti, e dovunque si aprivano spaventosi precipizi. Una volta dovettero fermarsi per costruire un ponte abbattendo un albero e camminando su di esso su un pericoloso abisso. Un’altra volta arrivarono a una roccia ripida, per scendere dalla quale dovettero costruire una scala di viti rampicanti. Infine raggiunsero un fitto bosco sulla sommità di una rupe alta fino alle nuvole che sembravano racchiudere il castello dei demoni.
Avvicinandosi, trovarono una bella fanciulla che stava lavando alcuni vestiti macchiati di sangue. Le chiesero:
«Sorella, perché sei qui e cosa stai facendo?»
«Ah», disse lei con un sospiro profondo, «non dovete venire qui. Questo è il ritrovo dei demoni. Mangiano carne umana e mangeranno la vostra. Guardate là», proseguì indicando un mucchio di ossa bianche di uomini, donne e bambini, «dovete scendere dalla montagna il più velocemente possibile».
Dicendo questo scoppiò in lacrime.
Ma invece di essere spaventati o addolorati i guerrieri quasi danzavano per la gioia.
«Siamo venuti qui per ordine del Mikado, per distruggere i demoni», disse Raiko battendosi il petto, dove all’interno del suo vestito conservava l’ordine imperiale in una borsa ricamata.
Udendo questo la fanciulla asciugò le lacrime e sorrise così dolcemente che il cuore di Raiko fu colpito dalla sua bellezza.
«Ma come sei arrivata a vivere tra questi demoni cannibali?» chiese Raiko.
Arrossì profondamente rispondendo con tristezza:
«Anche se mangiano vecchi uomini e donne, tengono le giovani fanciulle per servirli».
«È una grande disgrazia», disse Raiko, «ma ora vendicheremo i nostri compagni sudditi del Mikado così come la vergogna e il trattamento crudele che subite, se ci mostrerai la strada che sale dalla rupe alla tana».
«Volentieri», rispose lei, «se non avete paura».
Cominciarono a scalare la montagna, ma non erano arrivati molto lontano che incontrarono un mostro che era un cuoco nella cucina del demone capo. Stava trasportando un arto umano per il pranzo del suo padrone. Gli uomini di Raiko digrignavano silenziosamente i denti, stringendo le spade sotto i mantelli, ma salutarono cortesemente il cuoco cannibale e chiesero di conferire con il capo. Il demone sorrise nella manica e li invitò ad andare avanti, pensando che buona cena avrebbe fatto il suo padrone con quei quattro uomini.
Pochi metri più in là una svolta nel sentiero li portò davanti alla facciata del castello del demone capo. Tra alti e possenti massi rocciosi che incombevano fino alle nuvole, nella fitta vegetazione c’era un’apertura ricoperta di rampicanti e muschio come una pergola. Da questo punto la vista sulla pianura sottostante dominava uno spazio di centinaia di chilometri. In lontananza erano visibili le pagode rosse, i templi bianchi e le torri del castello di Kioto.
All’interno della grotta c’era una sala per banchetti abbastanza grande da ospitare un centinaio di persone. Il pavimento era pressoché coperto di stuoie di paglia di riso verde mare nuove e pulite su cui poggiavano tavoli, cuscini di seta, appoggi per le braccia, tazze, bottiglie e molti altri oggetti per la comodità. Le pareti di pietra erano riccamente decorate con cortine e tendaggi di seta pregiata.
In fondo alla lunga sala, su una pedana sopraelevata, i nostri eroi videro, al sollevarsi di una cortina, il demone capo, di aspetto solenne ma spaventoso. Era seduto su un mucchio di cuscini lussuosi fatti di crespo blu e cremisi, imbottiti di piumino di cigno. Stava appoggiato su un bracciolo dorato. Il suo corpo era piuttosto rosso ed era rotondo e grasso come un bambino cresciuto. Aveva capelli nerissimi tagliati come quelli di un ragazzino, e sulla parte superiore della sua testa, appena sporgenti attraverso i capelli, c’erano due corna molto corte. Intorno a lui c’era una ventina di deliziose fanciulle, le più belle di Kioto, sui cui bei visi era impressa l’infelicità che non osavano mostrare completamente, ma non riuscivano a nascondere del tutto. Lungo il muro sedevano o erano completamente sdraiati altri demoni, ognuno con la sua ancella seduta accanto a lui in attesa per versare altro vino. Tutti i demoni avevano un aspetto orribile, il che rendeva ancora più evidente la bellezza delle fanciulle. Vedendo i nostri eroi avanzare nella sala guidati dal cuoco, ogni partecipante al banchetto era felice come un ragno, quando in agguato nel suo buco sente vibrare la tela in segno che una mosca è stata catturata. Ognuno di essi versò subito un piattino fresco di sakè e lo bevve.
Raiko e i suoi uomini si separarono e cominciarono a parlare liberamente con i demoni, fino a quando le pareti divisorie in un angolo scivolarono di lato, ed entrò un folto gruppo di piccoli demoni che fungevano da camerieri. Recarono molti piatti, e i mostri cominciarono a mangiare. Il rumore delle loro mascelle sembrava il martellamento delle risaie.
I nostri eroi stavano quasi per svenire alla vista di quel banchetto, perché consisteva principalmente di carne umana, mentre le tazze di vino erano fatte di teschi umani svuotati. Tuttavia risero e chiacchierarono, e si scusarono perché non mangiavano dicendo che avevano appena pranzato.
I demoni bevevano sempre di più e diventavano sempre più vivaci, risero fino a quando la grotta riecheggiò e cantarono canzoni chiassose. Ogni volta che sorridevano, mostravano le loro terribili zanne e i denti aguzzi. Tutti avevano corna, anche se la maggior parte di esse erano molto corte.
Il demone capo diventò particolarmente allegro e bevve la salute di ciascuno dei suoi quattro ospiti in un cranio pieno di vino. Per riempirlo c’era un tino pieno di sakè a portata di mano, e la sua coppa era una tazza che sembrava grande come una luna piena.
Raiko si offrì allora di ricambiare le cortesie esibendosi nella “danza di Kioto”, per la quale era famoso. Portandosi al centro della sala con il ventaglio in una mano, danzò con grazia e con tanta abilità, che i demoni gridavano di gioia e battevano le mani, dicendo di non aver mai visto nulla di simile. Persino le fanciulle, perse nell’ammirazione dell’elegante uomo di corte, dimenticarono le loro pene e si sentirono come se stessero danzando nelle loro case.
Finita la danza, Raiko estrasse dal petto una bottiglia di sakè e ne offrì in dono al demone capo, dicendo che era il miglior vino di sakè. Il mostro bevve estasiato e diede un sorso a ciascuno degli altri dicendo:
«Questo è il miglior liquore che abbia mai assaggiato. Dovete berlo alla salute dei nostri amici».
Ora Raiko aveva comprato presso i più abili erboristi della capitale una potente pozione soporifera e l’aveva mescolata con il vino, rendendolo molto gradito al palato. In pochi minuti tutti i demoni si erano addormentati e il loro russare sembrava il tuono tra le montagne.
Allora Raiko si alzò e diede il segnale ai compagni. Sussurrando alle fanciulle di uscire in silenzio dalla sala, estrassero le spade e senza fare il minimo rumore uccisero i demoni addormentati uno dopo l’altro. Il capo che giaceva come un leone sui suoi cuscini era ancora addormentato, il russare gli usciva dal naso come un tuono da una nuvola. I quattro guerrieri gli si avvicinarono per ultimo e da fedeli sudditi prima di tutto volsero i visi in direzione di Kioto, resero onore al Mikado e pregarono benedicendo gli dei che avevano creato il Giappone. Poi Raiko si avvicinò e misurando con la spada la larghezza del collo del demone, capì che sarebbe stato facile. Poi sollevò l’arma, la calò con tutte le sue forze e tagliò di netto il collo da parte a parte.
In un attimo la testa volò in aria digrignando i denti e roteando gli occhi gialli, mentre le corna crebbero a una lunghezza orribile e le mascelle si aprirono e chiusero come bordi del cratere di un terremoto. Volò in alto e girò intorno alla sala per sette volte. Poi con uno slancio volò fino alla testa di Raiko e morse il cappello di paglia fino all’elmo di ferro sotto di esso. Ma questo sforzo finale aveva esaurito le sue energie. I movimenti cessarono e cadde pesantemente sul pavimento.
I compagni preoccupati aiutarono il loro capo caduto a rialzarsi e gli esaminarono la testa. Ma non era ferito, non aveva neanche un graffio. Gli eroi si congratulavano l’un l’altro e, dopo aver disperso i demoni più piccoli, s’impadronirono di tutto il tesoro e lo divisero in parti uguali. Poi incendiarono il castello e seppellirono le ossa delle vittime, innalzando una lapide per segnare il luogo. Tutte le fanciulle e i prigionieri furono riuniti e fecero ritorno a Kioto con grande pompa e fasto. Le fanciulle furono restituite ai genitori, e in molte case la gioia prese il posto della disperazione, e molti segni di lutto furono tolti. Raiko fu onorato dal Mikado con la nomina a nobile di corte e comandante di tutta la guarnigione di Kioto. Tutti furono riconoscenti per il suo valore. Anche i suoi tre luogotenenti ricevettero cariche onorifiche. E il paese fu libero per sempre da spiriti malvagi.
Testo originale e illustrazione in:
http://www.mainlesson.com/display.php?author=griffis&book=oldjapan&story=guards&PHPSESSID=17f9886784c16e71cf446b1d50852778
Ultimo aggiornamento: Gennaio 2018