Leggende Orientali – LO SCOGLIO DI SAIGYO HOSHI
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
LO SCOGLIO DI SAIGYO HOSHI
A circa dodici miglia a sud di Shodo shima (Isola di Shodo) si trova la grande isola di Nao o Naoshima, sul lato occidentale dell’incantevole Mare Interno. Naoshima ha pochissimi abitanti, non più di un centinaio, ma al tempo della nostra storia, intorno al 1156, ce n’erano solo due, Sobei e sua moglie O Yone. Vivevano da soli su una piccola e graziosa insenatura, dove avevano costruito una capanna da pescatori e coltivavano circa tremila tsubo di terra (circa un ettaro) con i cui prodotti, insieme a una illimitata fornitura di pesce, erano perfettamente felici, senza preoccuparsi delle dispute del momento, che erano particolarmente gravi, essendo quello il periodo Hogen che tra il 1156 e il 1160 vide la ribellione, o per meglio dire la rivoluzione, Hogen, da cui prese il nome. Fu durante questo periodo che l’ex imperatore Shutoku (1124-1141), sospettato di essere a capo della ribellione, fu esiliato per sicurezza dalla classe al governo nell’isola di Naoshima.
Sulla spiaggia, abbandonato con nulla più dei vestiti che aveva indosso, si trovava in una condizione non certo invidiabile. Per quanto ne sapeva, l’isola era deserta. Dopo che lo ebbero lasciato solo, si mise a passeggiare sulla spiaggia, chiedendosi cosa avrebbe fatto. Avrebbe dovuto conservare la vita o sarebbe stato meglio abbandonarla? Mentre meditava su questi interrogativi, la notte lo sorprese prima che avesse il tempo di cercare un riparo, per cui si mise a sedere riandando al tempo passato e ascoltando il suono triste delle onde.
Il mattino seguente, quando il sole sorse sopra l’orizzonte, l’ex imperatore cominciò a incamminarsi. Aveva deciso di continuare a vivere. Non aveva percorso molta strada lungo la spiaggia, quando trovò impronte di piedi e poco più avanti, dietro un piccolo promontorio roccioso, vide del fumo salire nell’aria silenziosa. Illuminandosi in cuor suo l’ex imperatore allungò il passo e dopo una ventina di minuti di dura arrampicata arrivò giù alla baia dove c’era la capanna di Sobei e di sua moglie. Facendosi coraggio disse loro chi era e in che modo era stato abbandonato ed esiliato e pose loro molte domande.
«Signore» disse Sobei «mia moglie e io siamo gente molto modesta. Viviamo in pace, per cui nessuno viene qui a molestarci, e stiamo trascorrendo le nostre vite nella massima felicità. Ti diamo il benvenuto sincero alla nostra umile mensa. La nostra capanna è piccola, ma troverai in essa un rifugio mentre noi ne costruiremo un’altra migliore per te, e nel frattempo saremo tuoi servitori».
L’ex imperatore fu compiaciuto nell’udire queste parole di amicizia e diventò uno della famiglia. Diede una mano a costruire una capanna per sé e aiutò l’anziana coppia nella pesca e nel lavoro dei campi, affezionandosi profondamente a loro.
In autunno si ammalò e fu assistito nel corso di una pericolosa febbre; le medicine erano preparate da O Yone con foglie, alghe e altri prodotti naturali dell’isola, e verso la primavera cominciò a guarire. Un giorno, durante la convalescenza, l’ex imperatore andò a sedersi sulla spiaggia per ammirare il panorama, e la sua attenzione fu talmente rapita da uno stormo di gabbiani che stava inseguendo un banco di sardine, che non fece caso a quanto stava accadendo intorno a lui. Quando guardò improvvisamente verso l’alto, si trovò circondato da non meno di quattordici cavalieri in armatura.
Non appena questi si accorsero che l’ex imperatore li aveva visti, il più anziano, un vecchio dai capelli grigi e dallo sguardo gentile, avanzò verso di lui e, inchinandosi, disse:
«Mio amato sovrano, finalmente ti ho trovato! Il mio nome è Furuzuka Iga, e con rammarico sono costretto a comunicarti che sono stato mandato dal Mikado per portargli la tua testa. Egli teme, se sei vivo, sia pure in esilio, per la pace del paese. Ti prego, dammi la possibilità di prendermi la tua testa nel modo più rapido e meno doloroso possibile. Per mia disgrazia sono costretto a farlo».
L’ex imperatore non sembrò affatto sorpreso di queste parole. In silenzio si preparò e allungò il collo per ricevere il colpo mortale dalla spada di Iga.
Iga, colpito da tutto il suo comportamento, cominciò a piangere ed esclamò:
«Oh, che sovrano coraggioso! Che samurai! Quanto mi rattrista dover essere proprio io il suo carnefice!»
Ma il suo dovere era chiaro: perciò si fece forza e tagliò con un colpo solo la testa dell’ex imperatore.
Non appena la testa cadde sulla sabbia, gli altri cavalieri si fecero avanti e con rispetto misero la testa in un sacchetto di seta, quindi aspettarono ordini dal loro comandante.
«Amici miei», disse Furuzuka Iga, «tornate alla nave e portate la testa di Shutoku all’imperatore». Ditegli che il suo comando è stato eseguito e che in futuro non dovrà temere. Andate senza di me, io rimarrò qui a piangere sull’azione che ho dovuto compiere».
I cavalieri erano stupiti, ma se ne andarono, e Iga diede sfogo al suo dolore.
Non passò molto che Sobei e la moglie vennero a cercare l’ex imperatore, perché era stato assente a lungo. Conoscevano il punto in cui gli piaceva sedere e osservare il bel panorama. Fu così che trovarono Iga in lacrime.
«Cos’è questo?» gridarono. «Che significa questo sangue sulla sabbia? Chi siete, signore, e dov’è il nostro ospite?».
Iga spiegò che era stato mandato dal Mikado e che era stato suo triste compito uccidere l’ex imperatore.
L’ira di Sobei e della moglie non ebbero freni. Senza pensarci decisero che dovevano morire nel vendicare l’ex imperatore uccidendo Iga. Si lanciarono contro di lui con i loro coltelli, Sobei di fronte e la moglie da dietro.
Iga li evitò grazie alla propria abilità nel jujitsu. In due secondi li teneva entrambi per i polsi, poi disse:
«Buona gente – perché so che lo siete – ascoltate la mia storia. L’ex imperatore, che è stato in esilio su quest’isola per quasi un anno e che voi avete aiutato e salvato dalla morte per fame, freddo e caldo, non era il vero ex imperatore, ma mio figlio Furuzuka Taro!»
Sobei e la moglie lo guardarono confusi e chiesero una spiegazione.
«Ascoltate, e vi racconterò», disse Furuzuka Iga. «Come conseguenza della rivoluzione nella casa imperiale, l’ex imperatore Shutoku fu considerato nemico dell’imperatore regnante e condannato all’esilio su quest’isola, che si credeva disabitata, come in effetti è, a parte voi. L’ex imperatore sarebbe dovuto morire, se non ci foste stati voi ad aiutarlo, e, malgrado io sia affezionato alla corte imperiale, non mi piaceva che un uomo che era stato mio sovrano morisse così. Era mio dovere portare qui l’ex imperatore e abbandonarlo. Al suo posto abbandonai invece mio figlio, che gli assomigliava moltissimo ed era lieto di prendere il posto dell’ex imperatore. Disgraziatamente durante l’inverno la mente del Mikado è divenuta inquieta nel timore che fino a quando l’ex imperatore fosse rimasto vivo, avrebbe potuto essere di nuovo un pericolo, per cui sono stato rimandato all’isola Naoshima, questa volta per portargli la testa dell’ex imperatore. Sapete quello che ho dovuto fare. È mai un padre stato costretto a un compito così tremendo? Abbiate compassione di me, non siate in collera. Voi avete perduto il vostro amico, e io mio figlio; ma l’ex imperatore è ancora vivo; inoltre conosce la mia lealtà verso di lui e tra non molto sarà qui in segreto e travestito. Il motivo per cui sono rimasto è il fatto che avevo da raccontare tutta la storia, e voi due dovevate sapere quanta gratitudine provo verso di voi per la grande gentilezza che avete dimostrato a mio figlio Taro».
Il povero samurai s’inchinò fino a terra, e i due vecchi, troppo ingenui per sapere cosa fare, restarono in silenzio, mentre lacrime di compassione e solidarietà scendevano loro sul viso.
Per una buona mezz’ora nessuno disse niente. Restarono a piangere sulla spiaggia macchiata di sangue, aspettando che la marea salisse e lo lavasse via, e sarebbero potuti restare anche più a lungo se non avessero udito all’improvviso la dolce melodia del biwa (uno strumento musicale a quattro corde, una specie di liuto). Allora Iga si alzò e, asciugandosi gli occhi, disse:
«Ecco, amici miei, arriva il vero ex imperatore, anche se travestito. Non va da nessuna parte senza il suo liuto e mi trasmette dei segnali suonando determinate melodie. Adesso mi sta chiedendo se è sicuro avvicinarsi e se non rispondo, vuol dire che è sicuro. Ascoltate e guardatelo avvicinarsi!»
Sobei e la moglie non avevano mai udito prima di allora una melodia così dolce e incantevole e, con i cuori pieni di dolore, sedettero ad ascoltare. La musica si faceva sempre più vicina, fino a quando videro arrivare lungo la spiaggia un uomo vestito poveramente, che avrebbero quasi potuto scambiare per il loro amico morto, tanta era la somiglianza.
Quando arrivò più vicino, Iga gli andò incontro e s’inchinò, poi accompagnò lo straniero dal pescatore e la moglie, a cui li presentò, raccontando all’ex imperatore quanta gentilezza avevano mostrato verso suo figlio Taro. L’ex imperatore fu compiaciuto e disse che era profondamente grato e li considerava parte di quel gruppo di fedeli che si era adoperato per salvargli la vita. Proprio in quel momento una nave fu vista doppiare l’estremità della baia. Era la nave su cui era arrivato Iga, quella nave che aveva portato via la testa di suo figlio. L’ex imperatore, seguito da Iga, Sobei e la moglie, s’inginocchiò sulla sabbia vicino alla macchia di sangue e pregò a lungo per la pace dello spirito di Taro.
Il giorno dopo l’ex imperatore espresse la propria intenzione di restare per il resto della sua vita sull’isola di Naoshima con Sobei e O Yone. Iga fu riaccompagnato sulla terraferma da Sobei e fece ritorno alla capitale.
L’ex imperatore, assistito dalla fedele anziana coppia, visse sull’isola per un anno. Trascorse il tempo suonando il biwa e pregando per lo spirito di Taro. Trascorso l’anno morì di tristezza. Sobei e la moglie dedicarono tutto il loro tempo libero alla costruzione di un tempietto alla sua memoria. Si dice che quel tempietto esista ancora oggi.
Nel terzo anno di Ninnan il celebre ma stravagante sacerdote e poeta Saigyo, imparentato con la famiglia imperiale, trascorse diciassette giorni sull’isola pregando giorno e notte. In quei giorni sedette sullo scoglio preferito di Taro e dell’ex imperatore. Lo scoglio è conosciuto ancora oggi con il nome di “Saigyo iwa” (lo scoglio di Saigyo).
FINE
Testo originale e illustrazione in: http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj29.htm