Leggende Orientali – COME MASAKUNI RECUPERÒ LA VISTA

0
0 0 Voti
Vota l'opera (solo registrati)

Leggenda dal Giappone

Tradotta da Dario55

COME MASAKUNI RECUPERÒ LA VISTA

Molto tempo fa viveva a Kyoto un famoso fabbricante di spade, nato a Tokushima, nella provincia di Awa. Awanokami Masakuni – questo era il suo nome – viveva a Kyoto per la sua attività e per essere vicino alle case delle persone importanti, che lo pagavano molto bene perché fabbricasse loro le spade. Con lui viveva la sua bella e giovane figlia, Ai, o O-Ai-San (Ai significa “amore”). Aveva quattordici anni ed era ancora una ragazzina, ma la sua bellezza era tale da far innamorare chiunque la vedesse. O-Ai non pensava che a suo padre e provava un profondo amore nei suoi confronti.
Con l’andar del tempo Masakuni divenne così esperto nell’arte di fabbricare spade e di forgiare lame, che gli altri fabbricanti di spade cominciarono a guardarlo con molta gelosia. Costoro, compreso Masakuni, vivevano nel quartiere di Kyoto Karasu-Tengu, dove a quell’epoca era usanza che vivessero tutti questi artigiani. Disgraziatamente per Masakuni la sua bravura e abilità gli costò un occhio! Se è vero che i samurai e coloro che cingevano la spada praticavano i principi etici dell’onore, a quanto pare presso i fabbricanti di spade le cose andavano diversamente. Costoro perpetravano spesso i crimini più vili e orrendi, tra cui quello di cavare un occhio o entrambi ai fabbricanti di spade rivali mentre dormivano. E così una notte accadde che O-Ai-San fu svegliata di soprassalto dal grido lacerante del padre e lo trovò che si contorceva sul pavimento in preda all’agonia, con l’occhio destro trafitto.
O-Ai corse a chiamare aiuto, ma nessuno fu in grado di salvare l’occhio. Era irrimediabilmente danneggiato e, anche se la ferita poté essere curata, Masakuni dovette abbandonare la speranza di poter usare ancora l’occhio destro. Non ebbe nemmeno la soddisfazione di catturare il suo aggressore, poiché non sapeva chi fosse. In queste circostanze fu evidente che Masakuni non poteva continuare a fabbricare spade: dopo la perdita dell’occhio sarebbe stato impossibile per lui eseguire quegli splendidi lavori per mantenere la propria reputazione. Perciò insieme alla figlia fece ritorno al paese natale, Ohara, nella provincia di Awa.
Non era passato molto tempo da quando il povero Masakuni era tornato ad abitare nella sua vecchia casa, quand’ecco che l’occhio sinistro cominciò a dargli dei disturbi, e in meno di una settimana fu chiaro che con ogni probabilità avrebbe perso anche quello.

O-Ai-San prega sotto la cascata

Ai era disperata. Per il suo amato padre la perdita di entrambi gli occhi era una cosa tremenda. Lo amava teneramente e sapeva che gli unici piaceri che ancora gli rimanevano nella vita erano la vista di lei e del bel paesaggio circostante. Ma cosa poteva fare, povera piccola? Vegliò accanto a lui giorno e notte, cucinò e gli fece da infermiera.
Quando ebbe esaurito tutte le risorse in suo potere per assisterlo, e l’occhio sinistro del padre peggiorava sempre di più, si dedicò alla preghiera. Ogni giorno si arrampicava sulla montagna selvaggia e rocciosa di Shiratake su cui sorgeva un piccolo tempio dedicato a Fudo, che alcuni ritenevano fosse il dio della saggezza. Qui un giorno dopo l’altro pregava perché le fosse concesso il potere di curare suo padre e, benché fosse il gelido mese di gennaio, dopo aver pregato si spogliava e stava per quasi mezz’ora sotto la cascata da cui la montagna prende il nome, come usavano fare tutti quelli che desideravano dimostrare alla divinità la serietà e la sincerità delle proprie preghiere.
E così per tre mesi O-Ai salì ogni giorno sulla montagna per pregare e sottoporsi al freddo tremendo della cascata, ma le sue preghiere sembravano senza risposta e il padre non accennava a migliorare. Ma O-Ai non si perse d’animo. Verso la fine di febbraio salì di nuovo sulla montagna. Malgrado il freddo pungente (la maggior parte delle rocce era coperta dal ghiaccio) O-Ai, dopo aver pregato Fudo San, si spogliò e si diresse verso la cascata per continuare a pregare fino a quando riuscisse a reggersi in piedi e finché avesse vita. Il freddo era tremendo, tanto che in pochi attimi perse conoscenza e scivolò nel bacino della cascata picchiando forte la testa.
Proprio in quel momento per una fortunata coincidenza un vecchio seguito dal suo servitore saliva sulla montagna e stava guardando con ammirazione la cascata. Vide allora il corpo candido di O-Ai-San sbattuto qua e là nel bacino della cascata a neppure trenta piedi dal luogo dove si trovava. Il vecchio e il servitore si affrettarono a tirar fuori la ragazza dall’acqua, cominciarono a strofinarla e si accorsero che era ancora viva. O-Ai era intirizzita e semiaffogata, e il sangue sgorgava dalla ferita.
Decisero che quella bella ragazza doveva essere salvata e si misero alacremente all’opera. Accesero un fuoco e fecero asciugare gli abiti, la rivestirono, e in meno di venti minuti O-Ai aprì gli occhi e fu in grado di parlare. Quando il vecchio se ne accorse, chiese:
«È stato per caso che ti abbiamo trovata quasi morta oppure hai cercato di toglierti la vita?»
«No», rispose la ragazza, «non voglio togliermi la vita. È per salvare la vista di mio padre che sono venuta qui a pregare. Oggi è il centesimo giorno della mia preghiera. Domani e tutti i giorni che verranno sarò qui a pregare ancora e continuerò a pregare, perché disperare va contro gli insegnamenti di Buddha».
Quindi O-Ai raccontò la storia della cecità di suo padre.
Il vecchio rispose dicendo:
«Se è vero, mia giovane donna, che l’attaccamento al dovere ha la sua ricompensa, questa ricompensa è arrivata. Il mio nome è Uozumi, dottor Uozumi. Sono il dottore supremo a Kyoto e sono l’unico attualmente ad aver superato tutte le severe prove dell’antica arte medica. Sono appena stato al palazzo di Yedo e ora sto ritornando a Kyoto. Ho fatto scalo qui oggi con la mia nave e sono salito su questa montagna per ammirare il panorama. Ora ho trovato te, e la tua afflizione mi ha tanto colpito che mi fermerò una o due settimane per vedere cosa posso fare per tuo padre. Non perdiamo tempo. Finisci di vestirti e andiamo a casa tua».
O-Ai-San fu molto contenta. Finalmente, pensò, le sue preghiere erano state esaudite da Fudo San. Con la gioia nel cuore scese dalla montagna quasi di corsa, dimenticandosi completamente di essersi salvata per un pelo e della brutta ferita alla testa. Il dottor Uozumi faticò non poco a tener dietro a quella ragazza piena di vita e di entusiasmo.
Giunti a casa Uozumi esaminò il paziente e prescrisse rimedi secondo l’antica arte, per preparare i quali fortunatamente aveva con sé gli ingredienti. Giorno dopo giorno il dottore e O-Ai assistettero Masakuni, e alla fine del decimo giorno il suo occhio era perfettamente guarito.
Masakuni fu felice di aver ricuperato parzialmente la vista e, come sua figlia, attribuì il fortunato arrivo del famoso dottore alla misericordia di Fudo San. Dopo aver purificato corpo e anima con una dieta vegetariana e con abluzioni nell’acqua fredda per dieci giorni, cominciò a fabbricare due spade che terminò qualche tempo dopo. Ne offrì una al dio Fudo e l’altra a dottor Uozumi. Queste spade furono in seguito conosciute come le celebri spade fabbricate dal semi-cieco Masakuni.
Il dottore pensò che era un peccato permettere che un artista di talento come Masakuni restasse in quello sperduto villaggio della provincia di Awa e che la bella O-Ai rimanesse lì ad avvizzire. Perciò li convinse ad andare con lui a Kyoto. Poi ottenne per O-Ai-San un posto di damigella d’onore al palazzo del signore di Karasumaru, dove la ragazza visse perfettamente felice.
Cinque anni dopo Masakuni morì e fu sepolto nel cimitero di Toribeyama a est di Kyoto.

FINE

Immagine tratta da: http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj28.htm

0 Commenti
Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
0
Lascia una recensione!x