Leggende Orientali – LUCCIOLE UMANE
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
Leggenda horror, che può mettere paura ai più piccoli.
LUCCIOLE UMANE
Nel villaggio di Funakami, provincia di Omi, viveva un vecchio contadino di nome Kanshiro. Il suo amore per l’onestà, la carità e la pietà era riconosciuto da tutti, anche dalla classe sacerdotale. Ogni anno Kanshiro compiva pellegrinaggi in diverse parti del paese per elevare le sue preghiere e fare il suo dovere verso le varie divinità, senza mai preoccuparsi della sua età avanzata o dei suoi problemi di salute. Non era robusto e soffriva quasi sempre di dissenteria durante la stagione calda, per cui limitava i pellegrinaggi ai periodi freddi.
Ma nell’ottavo anno di Kwansei, Kanshiro sentì che non sarebbe vissuto un altro anno e, volendo a tutti i costi compiere un altro pellegrinaggio ai grandi templi di Ise, decise di correre il rischio in agosto, il mese più caldo.
La gente del villaggio di Funakami raccolse cento yen per quell’onorevole uomo, in modo che potesse avere l’onore e il merito di offrire una somma dignitosa ai grandi templi.
E così un giorno Kanshiro partì da solo con il danaro in un sacchetto appeso al collo. Aveva camminato per due giorni dall’alba al tramonto, quando il terzo giorno arrivò terribilmente accaldato al villaggio di Myojo, sentendosi quasi morto di debolezza a causa di un altro attacco del suo solito disturbo.
Kanshiro sentiva di non essere in grado di continuare il suo viaggio, soprattutto perché riteneva di essere in una condizione impura, indegno di trasportare il denaro sacro che gli era stato affidato dagli amici di Funakami. Pertanto si recò alla locanda più economica che gli riuscì di trovare e affidò i soldi al padrone, raccontandogli anche la sua storia:
«Mio signore, sono un vecchio malato di dissenteria. Se vorrai prenderti cura di me per un giorno o due, poi mi sentirò meglio. Fino a quando starò bene, conserva questo denaro sacro, perché non vorrei che me lo rubassero mentre sono malato».
Jimpachi, il padrone della locanda, si inchinò e lo rassicurò in tutti i modi che il suo desiderio sarebbe stato esaudito.
«Non temere» disse «metterò il sacchetto con le monete in un posto sicuro e lo sorveglierò personalmente fino a quando starai bene, perché di brave persone come te ce ne sono poche».
Per cinque giorni quel povero vecchio stette molto male, ma con il suo indomabile coraggio si riprese e il sesto giorno decise di ripartire.
Era una bella giornata. Kanshiro pagò il conto, ringraziò il padrone per la sua cortesia, e sulla soglia gli fu restituito il sacchetto di monete. Non guardò dentro il sacchetto, perché intorno c’erano molti operai e pellegrini e non voleva che quegli estranei vedessero che trasportava molto denaro. Invece di appenderlo al collo come aveva fatto in precedenza, lo mise nella tasca del vestito e s’incamminò.
Verso mezzogiorno Kanshiro si fermò per mangiare il suo riso freddo sotto un pino. Controllando il sacchetto si accorse che i cento yen erano stati tolti e al loro posto erano state messe delle pietre dello stesso peso. Il poveretto ne fu terribilmente turbato. Senza perdere tempo a mangiare il riso, tornò alla locanda, dove giunse verso sera. Spiegò i fatti meglio che poteva a Jimpachi, il padrone.
Inizialmente quel bel tipo ascolto la storia con una certa simpatia, ma quando Kanshiro gli chiese di restituirgli il denaro, montò su tutte le furie.
«Tu, vecchio insolente!» disse. «Che bella storia ti sei inventato per cercare di ricattarmi! Ti darò una lezione che non ti dimenticherai».
E detto questo colpì il vecchio con un duro colpo sul petto, poi, afferrato un bastone, lo percosse senza pietà; gli avventori intervennero anch’essi e lo ridussero quasi in fin di vita.
Povero vecchio! Cosa poteva fare? Solo com’era, si trascinò via mezzo morto, ma riuscì comunque ad arrivare ai sacri templi di Ise tre giorni più tardi e dopo aver recitato le sue preghiere, riprese la strada per Funakami.
Ci arrivò gravemente ammalato. Quando raccontò la sua storia, alcuni gli credettero, ma altri no. Vecchio e malato com’era, vendette la sua piccola proprietà per restituire il denaro e con quello che gli rimase continuò i pellegrinaggi ai vari templi e santuari. Alla fine il denaro finì, ma lui continuò lo stesso i pellegrinaggi, mendicando il cibo nei posti dove arrivava.
Tre anni dopo arrivò di nuovo al villaggio di Myojo sulla strada per Ise, e qui apprese che il suo nemico da quella volta aveva fatto fortuna e adesso viveva in una bella casa. Kanshiro andò da lui e gli disse:
«Tre anni or sono mi hai derubato del denaro che ti avevo affidato. Ho venduto la mia proprietà per rimborsare i miei compaesani di quanto mi avevano dato da portare a Ise. Sono diventato un mendicante e ho sempre vagabondato da allora. Non pensare che non sarò vendicato. Lo sarò. Tu sei giovane, io sono vecchio. La vendetta si abbatterà presto su di te».
Jimpachi protestò di nuovo la sua innocenza e cominciò ad arrabbiarsi, dicendo:
«Tu, vecchio mascalzone disonesto, se vuoi un po’ di farina di riso, dillo, ma non osare minacciarmi!»
In quel momento la guardia di ronda scambiò Kanshiro per un vero mendicante e, afferratolo per le braccia, lo trascinò all’estremità del villaggio e gli ordinò di non tornare più, pena l’arresto; e fu così che il pover’uomo morì per la rabbia e la debolezza.
Il buon sacerdote del tempio vicino raccolse il cadavere e lo seppellì con rispetto, pregando per lui.
Intanto Jimpachi, tormentato dalla cattiva coscienza, si ammalò e dopo qualche giorno non fu più in grado di alzarsi dal letto.
Dopo che ebbe perso ogni capacità di muoversi, accadde una cosa strana.
Migliaia e migliaia di lucciole uscirono dalla tomba di Kanshiro e volarono alla camera da letto di Jimpachi.
Circondarono la zanzariera e cercarono di entrare. Si posarono in cima alla zanzariera, l’aria si riempì di loro, il bagliore accecò gli occhi del malato. Era impossibile resistere.
I paesani accorsero e cercarono di ucciderle, ma non combinarono nulla, perché lo sciame di lucciole continuava a uscire dalla tomba di Kanshiro alla stessa velocità con cui le altre venivano uccise.
Le lucciole non andavano da nessuna parte, tranne che nella camera di Jimpachi e circondavano solo il suo letto.
Uno di paesani, vedendo questo, disse:
«Dev’essere vero che Jimpachi ha rubato il denaro di quel vecchio, e questa è la vendetta del suo spirito».
E allora tutti ebbero paura di uccidere le lucciole, che diventarono sempre più fitte, finché alla fine riuscirono a bucare la zanzariera e si posarono tutte su Jimpachi. Gli riempirono la bocca, il naso, le orecchie e gli occhi.
Lui scalciò e gridò e visse in quell’agonia per venti giorni, e dopo la sua morte le lucciole scomparvero completamente.
FINE
Testo originale e illustrazioni in: http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj46.htm