Leggende Orientali – IL SAKE’ BIANCO
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
IL SAKE’ BIANCO
Duemila o più anni fa il lago Biwa nella provincia di Omi e il Monte Fuji nella provincia di Suruga nacquero in una sola notte. Malgrado la mia storia riferisca fatti reali, siete perfettamente autorizzati a dire, se vi sentite di farlo: «Quanto sono incredibili le strade della Natura», ma ditelo con rispetto e senza leggerezza, altrimenti rechereste una grave offesa ai principi etici dei racconti folkloristici giapponesi.
Orbene, al tempo di questo straordinario avvenimento geografico, viveva un certo Yurine, un uomo di poveri mezzi perfino per quei tempi. Gli piaceva il saké e difficilmente lasciava passare un giorno senza berne un po’. Yurine viveva vicino al luogo attualmente chiamato Sudzukawa, un po’ a nord del fiume Fujikawa.
Il giorno che seguì alla comparsa di Fuji San, Yurine si ammalò e quindi non poté bere la sua tazza di saké. Le sue condizioni peggiorarono sempre più, e quando alla fine si rese conto che non c’erano speranze per lui, decise di togliersi la soddisfazione di bere una tazza di saké prima di morire. Chiamò quindi il suo unico figlio, Koyuri, un ragazzo di quattordici anni, e gli disse di andargli a prendergliene una tazza o due. Koyuri era molto perplesso. Non c’era saké in casa e non c’era neanche un soldo con cui comperarlo. Ma non ebbe il coraggio di dirlo a suo padre nel timore che una faccenda così spiacevole avrebbe potuto farlo aggravare. E così prese la sua zucca e andò a camminare lungo la spiaggia, chiedendosi in che modo avrebbe potuto esaudire il desiderio del padre. Mentre era preso da questi pensieri, Koyuri udì una voce che lo chiamava per nome. Guardando su verso i pini che circondavano la spiaggia, vide un uomo e una donna seduti sotto un enorme albero, avevano i capelli rosso scarlatto e i loro corpi erano dello stesso colore. In un primo momento Koyuri si spaventò: non aveva mai visto prima gente come quella; ma la voce era gentile, e l’uomo gli faceva segno di avvicinarsi. Koyuri si avvicinò impaurito e tremante, ma con quella freddezza che caratterizza i ragazzi giapponesi.
Non appena Koyuri fu vicino a quelle strane persone, notò che stavano bevendo saké da una grande tazza piatta chiamata sakadzuki, e che sulla sabbia accanto a loro c’era un enorme vaso da cui attingevano il liquore; notò anche che il saké era più bianco di tutti quelli che aveva visto prima.
Pensando sempre al padre, Koyuri liberò la zucca dalla cintura, riferì della malattia del padre e chiese un po’ di saké. L’uomo rosso prese la zucca e la riempì. Dopo aver espresso la propria gratitudine, Koyuri corse via contento.
«Ecco, padre, ecco!», disse quando raggiunse la capanna. «Ti ho preso il saké, il migliore che abbia mai visto, e sono sicuro che il sapore è buono quanto l’aspetto: prova e dimmi!».
Il padre prese la zucca e bevve avidamente dimostrando grande soddisfazione, poi disse che era il migliore che avesse mai assaggiato. Il giorno dopo ne voleva ancora. Il ragazzo ritrovò i due rossi amici, e questi gli riempirono nuovamente la zucca. Per farla breve, Koyuri ottenne di farsi riempire la zucca per cinque giorni di seguito, e il padre riprese energia e si rimise abbastanza bene.
Ora accanto a Yurine viveva un vicino antipatico che apprezzava anche lui il saké, ma era troppo povero per procurarselo. Il suo nome era Mamikiko. Avendo sentito che Yurine aveva bevuto saké per gli ultimi cinque giorni, fu roso da una terribile invidia e, chiamato Koyuri, gli chiese dove e come se l’era procurato. Il ragazzo spiegò di averlo ricevuto da certa strana gente con i capelli rossi che per alcuni giorni avevano soggiornato accanto al grande pino.
«Dammi la tua zucca, voglio assaggiare», esclamò Mamikiko strappandogliela in modo sgarbato. «Credi forse che tuo padre sia l’unico a cui piace il saké?»
Portando la zucca alle labbra cominciò a bere, ma la gettò a terra disgustato dopo un secondo, sputando quello che aveva in bocca.
«Cos’è questa porcheria?» gridò. «A tuo padre dai il miglior saké, e a me rifili dell’acqua putrida! Che significa questo?»
Ammollò al povero Koyuri un sonoro ceffone e gli ordinò di accompagnarlo dalla gente rossa sulla spiaggia, dicendo:
«Te ne darò ancora, se non otterrò del buon saké!»
Koyuri lo accompagnò, lamentandosi nel frattempo per la perdita del saké che Mamikiko aveva buttato via e temendo che i suoi amici rossi si arrabbiassero.
Al solito posto ritrovò gli stranieri che stavano bevendo in silenzio.
Mamikiko fu meravigliato dal loro aspetto: non aveva mai visto nessuno come loro prima di allora. I loro corpi erano rosa come i fiori di ciliegio che brillano al sole, mentre i loro lunghi capelli rossi gli facevano quasi paura; erano entrambi nudi, a parte una cintura verde intrecciata con qualche strana alga.
«E allora, piccolo Koyuri, cos’è che ti fa piangere, e come mai sei tornato così presto? Tuo padre ha già bevuto il saké? Se è così, deve piacergli quasi quanto a noi».
«No, no, mio padre non l’ha bevuto: Mamikiko, qui, me l’ha preso e ne ha bevuto un po’, poi l’ha sputato e ha detto che non era saké, ha buttato via il resto e si è fatto accompagnare qui. Posso averne ancora un po’ per mio padre?»
L’uomo rosso riempì nuovamente la zucca dicendogli di non preoccuparsi, anzi, sembrava divertito dalla storia di Koyuri su Mamikiko che sputava.
«Il saké piace anche a me come a tutti!», esclamò Mamikiko. «Ne daresti un po’ anche a me?»
«Ma certo, naturalmente», disse l’uomo rosso, «serviti pure».
Mamikiko riempì la più grande delle tazze, ne odorò il profumo, che era delizioso, ma un attimo dopo che lo ebbe portato alle labbra, lo sputò di nuovo, perché il sapore era nauseabondo.
«Che significa questo?» gridò infuriato, e l’uomo rosso rispose ancora più infuriato.
«Mi pare proprio che tu non ti renda conto con chi hai a che fare. Ebbene sappi che io sono uno Shojo di alto rango e vivo nelle profondità dell’oceano vicino al palazzo del Re Drago. Di recente ci è giunta voce che è sorta una montagna sacra sulla riva del mare, e dal momento che si tratta di un presagio favorevole e di un segno che l’Impero del Giappone vivrà in eterno, sono venuto qui a vederla. Mentre godevo il magnifico panorama della costa di Suruga, ho incontrato questo bravo ragazzo, Koyuri, che mi ha chiesto del saké per il suo povero padre ammalato, e glie ne ho dato un po’. Ebbene, questo non è un saké qualunque, è un saké sacro, e coloro che lo bevono vivranno in eterno e conserveranno la loro giovinezza, e inoltre guariranno da tutte le malattie anche nella vecchiaia. Ma come ben sai ogni medicina contiene un po’ di veleno, e questo dolce e sacro saké bianco è buono e fa bene solo per le persone virtuose, mentre ha un cattivo sapore ed è velenoso per i malvagi. Quindi, dato che trovi disgustoso il suo sapore, so che sei un uomo cattivo e malvagio, avido ed egoista».
E i due Shojo scoppiarono a ridere guardando Mamikiko che, udendo che le poche gocce che aveva inghiottito avrebbero avuto un effetto velenoso e presto lo avrebbero ucciso, cominciò a urlare di paura e a pentirsi della sua condotta. Pregò e implorò pietà e di risparmiargli la vita, e giurò che sarebbe cambiato se solo gli avessero dato una possibilità. Lo Shojo, prendendo un po’ di polvere da un cofanetto, la diede a Mamikiko e gli disse di inghiottirla sciolta in un po’ di saké:
«Sempre meglio», disse, «che tu ti penta e cambi vita da vecchio, piuttosto che mai».
Mamikiko bevve fino all’ultima goccia e questa volta trovò il sakè dolce e delizioso, si sentì meglio e più forte, poi cambiò vita e diventò una brava persona. Riallacciò l’amicizia con Yurine e cominciò a trattare bene Koyuri.
Alcuni anni dopo Mamikiko e Yurine costruirono una capanna ai piedi di Fuji San e cominciarono a produrre saké bianco con la ricetta che aveva dato loro lo Shojo, dandolo da bere a tutti quelli che manifestavano avvelenamento da saké. Sia Mamikiko che Yurine vissero 300 anni.
FINE.
Testo originale e immagine in: http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj40.htm