Leggende Orientali – L’ALBERO DI CAMELIE DI YOSOJI

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Leggenda dal Giappone

Tradotta da Dario55

L’’ALBERO DI CAMELIE DI YOSOJI

Durante il regno dell’imperatore Sanjo iniziò un periodo particolarmente infelice. Era circa il 1013 a.C. Quando Sanjo salì al trono, il primo anno di Chowa, scoppiò una pestilenza. Due anni dopo il palazzo imperiale fu distrutto da un incendio, e scoppiò una guerra con la Corea, che allora si chiamava “Shiragi”.
Nel 1016 un altro incendio scoppiò nel nuovo palazzo. Un anno dopo l’imperatore rinunciò al trono a causa della cecità e di altre ragioni. Affidò le redini del potere al principe Atsuhara, che fu chiamato imperatore Go Ichijo e salì al trono nel primo anno di Kwannin, nel 1017 o 1018 circa. Il periodo in cui regnò l’imperatore Go Ichijo – pressappoco vent’anni, fino al 1036 – fu uno dei peggiori nella storia del Giappone. Ci furono guerre, incendi e le peggiori pestilenze di tutti i tempi. Le cose erano nel caos più totale, e perfino Kyoto stentava a salvaguardare la popolazione delle classi povere a causa delle bande di briganti. Nel 1025 scoppiò la più spaventosa epidemia di vaiolo, quasi nessun villaggio e città del Giappone riuscì a sfuggire.
È in questo periodo che ha inizio la nostra storia. L’eroina (se così la si può chiamare) è una divinità, nientemeno che la dea del grande monte Fuji, che quasi tutto il mondo ha udito nominare o ha visto dipinto.
Durante il terribile flagello del vaiolo c’era un villaggio nella provincia di Suruga (l’odierna Prefettura di Shizuoka) di nome Kamiide, che esiste ancora, ma non è molto importante. Questo villaggio soffriva più della maggior parte degli altri villaggi. Neppure un abitante era riuscito a scampare. Un giovane di sedici-diciassette anni era messo a dura prova. La madre era colpita dal male e, dato che il padre era morto, la responsabilità della casa ricadeva interamente su Yosoji, questo era il nome del giovane.
Yosoji forniva tutto l’aiuto possibile alla povera madre, senza nulla risparmiare in medicine e assistenza, ma la madre peggiorava di giorno in giorno, finché alla fine si disperò di salvarle la vita. Non essendogli rimasta altra risorsa, Yosoji decise di consultare un famoso mago e indovino, Kamo Yamakiko.
Kamo Yamakiko disse a Yosoji che esisteva una sola possibilità per poter curare la madre, e che molto dipendeva dal suo coraggio.
«Se tu», disse l’indovino, «ti recherai fino a un ruscelletto che scorre dal lato sudovest del Monte Fuji e troverai presso la sua sorgente un piccolo tempio in cui è venerato Oki-naga-suku-neo [il Dio dal Lungo Respiro], potrai curare tua madre portandole da bere l’acqua di quella fonte. Ma ti avverto che quel luogo è pieno di pericoli a causa di animali feroci e altre cose e che potresti non far ritorno o addirittura nemmeno raggiungerlo».
Yosoji, per nulla scoraggiato, decise che sarebbe partito la mattina seguente e, ringraziato l’indovino, tornò a casa a prepararsi per la partenza.
Alle tre del mattino dopo s’incamminò.
Il cammino era lungo e duro come mai ne aveva percorsi prima, ma pur procedendo a fatica, era lieto e sereno, dato che le sue gambe erano salde e robuste e stava eseguendo un compito della massima importanza.
Verso mezzogiorno Yosoji giunse in un luogo in cui s’incontravano tre sentieri ed era molto indeciso su quale imboccare. Mentre stava cercando di prendere una decisione, gli si avvicinò attraverso il bosco la figura di una bella ragazza vestita di bianco. In un primo momento Yosoji provò l’impulso di fuggire, ma la figura lo chiamò con voce argentina dicendo:
«Non andartene. So perché sei qui. Sei un bravo giovane e un figlio fedele. Ti guiderò alla sorgente e, ti do la mia parola, le sue acque guariranno tua madre. Seguimi, se vuoi, e non aver paura, anche se la strada è brutta e pericolosa».
La ragazza si voltò, e Yosoji la seguì in preda allo stupore.
I due avanzarono in silenzio per quattro miglia, sempre in salita e inoltrandosi in boschi sempre più fitti e oscuri. Infine raggiunsero un piccolo tempio, di fronte al quale c’erano due Torii, e da una fenditura di una roccia gorgogliava una sorgente argentata, di una limpidezza tale che Yosoji non aveva mai visto prima.
«Questa» disse la ragazza vestita di bianco «è la sorgente che stavi cercando. Riempi la tua zucca e bevine tu stesso, perché quest’acqua eviterà che tu sia contagiato dalla malattia. Sbrigati, perché si fa tardi e non sarebbe bene per te rimanere qui di notte. Ti guiderò sulla strada del ritorno fino al luogo in cui ti ho incontrato».
Yosoji fece come lei gli aveva detto, bevendo e poi riempiendo la zucca fino all’orlo.
Il ritorno fu molto più veloce dell’andata, poiché ora la strada era tutta in discesa. Quando raggiunse il punto in cui i tre sentieri s’incontravano, Yosoji fece un lieve inchino alla sua guida e la ringraziò per la sua grande gentilezza; la ragazza a sua volta gli disse che per lei era stato un piacere aiutare un figlio tanto rispettoso.
«Fra tre giorni avrai bisogno di altra acqua per tua madre», aggiunse, «e io sarò allo stesso posto per farti nuovamente da guida».
«Posso chiedere con chi sono in debito di riconoscenza per questa grande gentilezza?», domandò Yosoji.
«No, non devi chiederlo, perché non te lo direi», rispose la ragazza. Inchinandosi nuovamente, Yosoji riprese il cammino il più velocemente possibile, pieno di meraviglia.

Lo spirito del Fuji mostra a Yosoji la sorgente che ridona la salute

Giunto a casa, trovò che la madre era peggiorata. Le diede una tazza dell’acqua e le raccontò le sue avventure. Durante la notte Yosoji si svegliò come al solito per assistere la madre e darle un’altra tazza d’acqua. Il mattino dopo constatò che stava decisamente meglio. Durante il giorno le somministrò altre tre dosi di acqua e il mattino del terzo giorno si avviò per incontrarsi con la gentile signora in bianco, che trovò ad aspettarlo seduta su una roccia all’incontro dei tre sentieri.

«Tua madre sta meglio, lo capisco dal tuo viso felice», disse. «Ora seguimi come l’altra volta, e fa’ presto. Ritorna fra tre giorni e m’incontrerai. Dovrai fare cinque viaggi in tutto, perché l’acqua deve essere fresca. Ne potrai dare un po’ anche ad altri tuoi paesani malati».
Yosoji fece il viaggio cinque volte. Alla fine del quinto la madre era perfettamente guarita ed estremamente grata al figlio per la propria guarigione; insieme a lei furono curati anche molti dei paesani ancora in vita. Yosoji diventò l’eroe del giorno. Tutti furono meravigliati e si chiesero chi fosse la ragazza vestita di bianco; malgrado avessero udito del tempio di Oki-naga-suku-neo, nessuno di essi sapeva dove fosse, e ben pochi avrebbero avuto il coraggio di recarvisi, anche se lo avessero saputo. Naturalmente tutti sapevano che Yosoji aveva un debito di riconoscenza soprattutto nei confronti dell’indovino Kamo Yamakiko, al quale l’intero villaggio inviò doni. Ma Yosoji non era tranquillo. Malgrado il bene che aveva fatto, pensava tra sé che era interamente debitore alla sua gentile guida per essere riuscito a trovare e portare al villaggio l’acqua, e sentiva di non averle dimostrato sufficiente gratitudine. Si era sempre affrettato a casa non appena aveva attinto la preziosa acqua, limitandosi a un inchino di ringraziamento. Questo era tutto, e ora sentiva di essere debitore di qualcosa di più. Di sicuro avrebbe dovuto recarsi al tempio a pregare, e inoltre chi era quella signora in bianco? Doveva ritrovarla. La curiosità lo spinse a farlo. E così Yosoji decise di fare un’altra visita alla sorgente e il mattino partì.
Ormai la strada gli era familiare, per cui non si fermò all’incrocio dei tre sentieri, ma proseguì direttamente in direzione del tempio. Era la prima volta che percorreva la strada da solo, e suo malgrado si sentiva spaventato, anche se non sapeva perché. Forse era l’opprimente oscurità della misteriosa e cupa foresta, ombreggiata dall’alto monte Fuji, ancor più misterioso, che riempiva di sensazioni superstiziose e religiose e di paura reverenziale nello stesso tempo. Ancor oggi nessuno riesce ad avvicinarsi a questo monte anche solo con la fantasia senza provare una di queste emozioni o tutte insieme
Malgrado ciò Yosoji si affrettò alla massima velocità possibile e quando giunse al tempio di Oki-naga-suku-neo trovò che la sorgente si era asciugata. Non era rimasta neppure una goccia d’acqua. Yosoji si gettò in ginocchio davanti al tempio e ringraziò il Dio dal Lungo Respiro che gli aveva dato la possibilità di curare la madre e la gente sopravvissuta del villaggio. Pregò affinché colei che gli aveva fatto da guida alla sorgente rivelasse la sua presenza e di poterla incontrare ancora una volta per ringraziarla della sua gentilezza. Quando si alzò, Yosoji vide la sua guida in piedi accanto a lui e fece un lieve inchino. La donna fu la prima a parlare.
«Non avresti dovuto tornare qui», disse. «Te lo avevo detto. Questo è un luogo di grande pericolo per te. Tua madre e la gente del villaggio sono stati curati. Non c’era motivo per cui tu tornassi qui».
«Sono tornato», rispose Yosoji, «perché non ti ho espresso a sufficienza i miei ringraziamenti e perché desidero dirti quanto ti sono grato e quanto ti è grata mia madre e tutta la gente del villaggio. Inoltre tutti, me compreso, vorrebbero sapere verso chi hanno un debito di gratitudine per avermi fatto da guida fino alla sorgente. Benché Kamo Yamakiko mi avesse detto della sorgente, non l’avrei mai trovata se non fosse stato per la gentilezza che tu mi hai dimostrato per cinque settimane. Sono certo che ci dirai verso chi abbiamo un debito così grande, in modo che possiamo almeno erigere un altare nel tuo tempio».
«Tutto ciò che domandi è inutile. Sono lieta che tu sia riconoscente. Sono certa che un figlio fedele come te lo sia, ed è perché sei un figlio buono e devoto che ti ho fatto da guida fino a questa sorgente che ridà la salute e che ora, come vedi, è asciutta, dal momento che attualmente non serve. Non è necessario che tu sappia chi sono. Ora dobbiamo lasciarci: addio. Finisci la tua vita così come l’hai incominciata e sarai felice».
La bella ragazza roteò un ramo di camelia selvatica al di sopra del proprio capo come se stesse facendo un cenno a qualcuno, e una nuvola scese dalla cima del monte Fuji, circondandola di nebbia. Poi si alzò mostrando la sua immagine al piangente Yosoji, che ora cominciava a rendersi conto che la figura che se ne stava andando non era altro che l’immagine della grande Dea del Fujiyama. Yosoji cadde in ginocchio e la pregò, e la dea, apprezzando quella preghiera, gettò giù verso di lui il ramo di camelia selvatica.
Yosoji lo portò a casa, lo pianto e lo accudì con la massima attenzione. Il ramo crebbe a velocità prodigiosa fino a diventare un albero di oltre sei metri di altezza in due anni. Fu costruito un altare e la gente si recava a venerare l’albero; e si diceva che le gocce di rugiada che cadevano dalle sue foglie fossero un rimedio per tutte le malattie degli occhi.

FINE

Immagine e testo originale in: http://www.sacred-texts.com/shi/atfj/atfj33.htm

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