Leggende Orientali – LA STORIA DI GOMPACHI E KOMURASAKI
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
LA STORIA DI GOMPACHI E KOMURASAKI
Circa duecentocinquanta anni or sono viveva al servizio di uno dei daimio della provincia di Inaba un giovane di nome Shirai Gompachi. Questi, pur avendo solo sedici anni, era già diventato famoso per la sua bellezza, il suo coraggio e l’abilità nell’uso delle armi.
Accadde dunque che un giorno uno dei suoi cani prese ad azzuffarsi con un altro cane che apparteneva a uno del suo clan, e i due padroni, entrambi giovani focosi, cominciarono a discutere su quale dei due cani avrebbe avuto la meglio, ben presto la discussione degenerò in un litigio, e Gompachi uccise l’avversario. In conseguenza di ciò fu costretto a fuggire dal suo paese e a cercare rifugio a Yedo.
E così ebbero inizio i viaggi di Gompachi.
Una sera, stanco e con i piedi indolenziti, entrò in quella che gli sembrava una locanda, ordinò qualcosa per rinfrescarsi e andò a letto, senza rendersi conto del pericolo che incombeva su di lui: infatti il caso volle che quella locanda fosse il luogo di ritrovo di una banda di briganti, nelle cui grinfie era caduto senza saperlo. La borsa di Gompachi conteneva ben poco, ma la spada e il pugnale valevano almeno dieci chili di argento, ed era su quelle che i briganti (che erano dieci) avevano posato i loro occhi avidi, decidendo di uccidere Gompachi per impadronirsene. Lui, non sospettando niente, dormiva credendosi al sicuro.
Nel mezzo della notte il suo sonno fu disturbato da qualcuno che faceva scivolare furtivamente la porta della sua stanza e, svegliandosi a fatica, scorse una bella ragazza di circa quindici anni che, facendogli segno di non muoversi, si avvicinò a lui e gli sussurrò:
«Mio signore, il padrone di questa casa è il capo di una banda di briganti che si sono messi d’accordo per ucciderti stanotte e portarti via i vestiti, la spada e il pugnale. Quanto a me, sono la figlia di un ricco mercante di Mikawa: l’anno scorso i briganti sono entrati nella nostra casa e hanno portato via tutte le ricchezze di mio padre e anche me. Ti prego, mio signore, prendimi con te e fuggiamo da questo luogo terribile».
Mentre parlava piangeva, e Gompachi in un primo momento era troppo spaventato per risponderle; ma poiché era un giovane molto coraggioso e anche abile a combattere con la spada, ritrovò presto il controllo di sé e decise di uccidere i briganti e strappare la ragazza dalle loro mani. Perciò rispose:
«Poiché mi dici questo, ucciderò quel banditi e ti salverò questa notte stessa. Tu però, appena comincerà la battaglia, corri fuori dalla casa, nasconditi in un posto sicuro e rimani nascosta finché non ti raggiungerò».
Dopo che si furono accordati in questo modo, la ragazza lo se ne andò. Lui invece, ormai perfettamente sveglio, tratteneva il respiro e aspettava. E quando i banditi s’introdussero nella stanza senza far rumore, credendolo profondamente addormentato, lui colpì il primo uomo che entrò e lo stese morto ai suoi piedi. Gli altri nove, vedendo ciò, si gettarono su di lui con le spade sguainate, ma Gompachi, combattendo disperatamente, alla fine riuscì a sopraffarli e a ucciderli. Dopo essersi sbarazzato in questo modo dei nemici, uscì dalla casa e chiamò la ragazza, che corse accanto a lui, e insieme s’incamminarono alla volta di Mikawa, dove viveva il padre di lei. Quando raggiunsero la città, Gompachi accompagnò la ragazza alla casa del vecchio e gli raccontò che, quando si era trovato in mezzo ai banditi, lei era venuta ad avvertirlo nell’ora del pericolo e lo aveva salvato, e lui a sua volta, liberandola dalla prigionia, l’aveva riportata a casa.
Quando il vecchio vide la figlia perduta che gli veniva restituita, si avvicinò felice ai due e versò lacrime di pura gioia; poi, ricolmo di gratitudine, insistette perché Gompachi rimanesse con loro. Allestirono una grande festa per lui e lo onorarono con la più squisita ospitalità. Ma la ragazza, che si era innamorata di lui per la sua bellezza e il suo valore cavalleresco, passava i giorni pensando a lui e a lui soltanto. Il giovane tuttavia, malgrado la gentilezza del vecchio mercante che avrebbe voluto adottarlo come figlio e cercava in tutti i modi di convincerlo ad accettare, era impaziente di andare a Yedo per entrare a servizio come ufficiale nella casa di un nobile signore. Così non cedette alle suppliche del padre né alle tenere parole della figlia e si preparò a riprendere il suo viaggio. Il vecchio mercante, vedendo che non sarebbe riuscito a distoglierlo dal suo proposito, gli diede cinque chili d’argento come dono di saluto, poi gli disse tristemente addio.
Ma quale non fu il dolore della ragazza che sedeva piangendo tutto il suo cuore e disperandosi per la partenza del suo amato! Lui, innamorato malgrado l’ambizione che lo spingeva, andò da lei e la consolò dicendole:
«Asciuga gli occhi, mia dolcezza, e non piangere più, perché presto tornerò da te. Nel frattempo resta fedele e sincera verso di me e prenditi cura di tuo padre con la pietà di una figlia».
Quando lei udì questa promessa, asciugò le lacrime e ricominciò a sorridere pensando al ritorno di lui. Gompachi si avviò sul suo cammino e presto arrivò a Yedo.
Ma i pericoli non erano finiti. Una sera, quando arrivò in una località di nome Suzugamori, nelle vicinanze di Yedo, s’imbatté in sei banditi che lo assalirono credendo che sarebbe stata una cosa da niente ucciderlo e derubarlo. Per nulla spaventato, Gompachi sguainò la spada e ne uccise due; ma era stanco ed estenuato per il lungo viaggio e stava per soccombere sotto l’aggressione, quand’ecco che passò da quelle parti un uomo su un carro. Non appena vide la zuffa, l’uomo saltò giù dal carro ed estratto il pugnale, si gettò al salvataggio, tanto che insieme a Gompachi riuscì a mettere in fuga i banditi.
Bisogna sapere che quel gentile mercante che era venuto così opportunamente in aiuto di Gompachi altri non era che Chôbei di Bandzuin, il capo degli Otokodaté ossia l’associazione di amici delle guardie di Yedo, un uomo celebre negli annali della città, la cui vita, imprese e avventure sono narrate ancor oggi.
Non appena i briganti furono scomparsi, Gompachi, rivolgendosi al suo salvatore, disse:
«Non so chi tu sia, mio signore, ma devo ringraziarti per avermi salvato da questo grande pericolo».
E mentre continuava a esprimergli la propria gratitudine, Chôbei replicò:
«Non sono che una povera guardia, un uomo umile sul mio cammino, signore; e se i briganti sono scappati, è stato merito più della buona sorte che mio. Tuttavia sono pieno di ammirazione per il modo in cui ti ho visto lottare: dimostri un coraggio e un’abilità ben superiori alla tua età».
«A dire la verità», replicò il giovane sorridendo di piacere nel sentirsi lodare, «sono ancora giovane e inesperto e mi vergogno un po’ del mio modo maldestro di maneggiare la spada».
«E adesso» disse l’altro «posso chiederti se sei sposato o promesso?»
«No, mio signore, sono un rônin e non ho alcun progetto per il futuro».
«È un brutto lavoro» disse Chôbei che sentiva compassione per il giovane. «Tuttavia, se vuoi scusare la mia audacia nel farti una proposta del genere, dal momento che sono una semplice guardia, fino al momento in cui non entrerai a servizio di qualcuno, metterei volentieri la mia povera casa a tua disposizione».
Gompachi accettò con gratitudine l’offerta del suo nuovo ma fidato amico. Chôbei dunque lo condusse a casa sua dove gli diede alloggio e ospitalità per alcuni mesi.
Avvenne che Gompachi, poiché era senza lavoro e non aveva niente di cui occuparsi, imboccò la cattiva strada e cominciò a condurre una vita dissoluta, senza pensare ad altro se non a soddisfare capricci e passioni; prese a frequentare lo Yoshiwara, il quartiere della città con le case da tè e frequentato da giovani irresponsabili. Qui il suo viso gradevole e la sua bella presenza attirarono l’attenzione, tanto che ben presto diventò il favorito di tutte le bellezze dei dintorni.
All’incirca in quel periodo la gente aveva cominciato a tessere le più grandi lodi della bellezza di Komurasaki, una ragazza arrivata di recente a Yoshiwara e la cui bellezza e talento avevano superato tutte le rivali. Gompachi, come tutti, sentì dire tante e tali cose su di lei, che decise di recarsi alla casa dove abitava, all’insegna de “Le Tre Spiagge”, e giudicare di persona se meritava veramente tutto quello che la gente diceva di lei.
Recatosi dunque un giorno alle “Tre Spiagge”, chiese di vedere Komurasaki e quando gli fu mostrata la stanza in cui era solita soggiornare, entrò e si diresse verso di lei. Ma quando i loro occhi s’incontrarono, entrambi fecero un passo indietro con un grido di stupore: Komurasaki, la celebre bellezza di Yoshiwara, altri non era che la ragazza che Gompachi aveva salvato alcuni mesi prima nel covo dei banditi e aveva riportato ai genitori a Mikawa.
Quando l’aveva lasciata viveva nella prosperità e nella ricchezza, era la figlia amata di un padre benestante quando si erano scambiati promesse di amore e fedeltà, e adesso… la ritrovava a Yoshiwara come una qualunque! Che cambiamento! Che contrasto! L’oro era diventato piombo, le promesse si erano trasformate in bugie!
«Che storia è questa?» esclamò Gompachi non appena si fu ripreso dalla sorpresa. «Come mai ti trovo qui a Yoshiwara a fare questo abietto mestiere? Spiegami, ti prego, perché sento che c’è sotto un mistero che non riesco a capire».
Ma Komurasaki – che dopo quell’incontro così inatteso con il suo amante che tanto aveva desiderato, era divisa tra la gioia e la vergogna – rispose piangendo:
«Ahimè! La mia è una triste storia, e sarebbe lungo raccontarla. L’anno scorso, dopo che ci hai lasciati, la disgrazia e la rovina si sono rovesciate sulla nostra casa, e quando i miei genitori sono caduti in miseria, non sapevo più cosa fare per aiutarli, così ho venduto questo mio povero corpo al padrone di questa casa per mandare un po’ di soldi a mio padre e mia madre. Malgrado questo però guai e malasorte si sono abbattuti sempre più su di loro, e alla fine sono morti di dolore e di stenti. E così sono rimasta a vivere sola e disgraziata in questo vasto mondo! Ma adesso che ti ho ritrovato, tu che sei così forte, aiuta me che sono tanto debole. Mi hai già salvato una volta, ti supplico, non abbandonarmi ora!»
E mentre pronunciava queste parole pietose, le lacrime le scorrevano dagli occhi.
«Questa è davvero una triste storia», disse Gompachi, molto turbato dal racconto. «La malasorte deve aver infierito terribilmente per portare una simile disgrazia sulla tua casa che ricordo ricca e prospera non molto tempo fa. Ma non temere, non ti abbandonerò. È vero che sono troppo povero per riscattarti dalla tua schiavitù, ma in ogni caso troverò un modo perché tu non debba più soffrire. Amami e fidati di me».
Quando lei lo senti parlare con tanta gentilezza, ne fu consolata e non pianse più, anzi gli aprì tutto il suo cuore dimenticando le pene trascorse per la grande gioia di averlo ritrovato.
Quando giunse il momento di separarsi, la abbraccio teneramente e fece ritorno alla casa di Chôbei. Ma non riusciva a togliersi Komurasaki dalla mente, e per tutto il tempo non faceva altro che pensare a lei, tanto che si recava a Yoshiwara ogni giorno per vederla, e se qualche imprevisto lo tratteneva, lei gli scriveva preoccupata e gli chiedeva il motivo per cui non era venuto a farle visita. Alla fine, a causa di queste visite continue, i risparmi di Gompachi finirono e dal momento che era un rônin e quindi senza un impiego fisso, e non aveva modo di rinnovare le sue scorte, si vergognò di presentarsi alle “Tre Spiagge” senza un soldo. Fu così che uno spirito maligno s’impadronì di lui, uscì di casa e uccise un uomo, poi, dopo averlo derubato, portò il denaro a Yoshiwara.
Dal male al peggio il passo è breve, e la tigre che ha già assaggiato il sangue, è pericolosa. Accecato e infatuato dal suo smodato amore, Gompachi continuò a uccidere e derubare, tanto che, mentre all’esterno sembrava un uomo dolce e gentile, il cuore dentro di lui era quello di un orribile demone. Alla fine il suo amico Chôbei non poté più sopportarne la vista e lo cacciò di casa. E dal momento che presto o tardi la virtù e il vizio trovano il premio o il castigo, avvenne che i delitti di Gompachi furono conosciuti e il governo, che aveva mandato degli uomini sulle sue tracce, riuscì a prenderlo con le mani nel sacco e ad arrestarlo. I suoi crimini furono tutti provati, fu portato nel luogo dell’esecuzioni di Suzugamori, il “Bosco delle campane” e decapitato come un delinquente comune.
Dopo la morte di Gompachi, Chôbei ritrovò l’antico affetto per il giovane e, da quell’uomo gentile e devoto che era, si presentò per reclamare il cadavere e la testa e li seppellì a Meguro, nel terreno del tempio chiamato Boronji.
Quando Komurasaki udì raccontare dalla gente di Yoshiwara la fine del suo amore, la sua disperazione non ebbe più freno, tanto che fuggì di nascosto dalle “Tre Spiagge”, andò a Meguro e si gettò sulla tomba. Pregò a lungo e pianse amaramente sulla tomba di colui che, malgrado tutti i suoi sbagli, aveva tanto amato. Poi, estratto un pugnale dalla cintura, se lo conficcò nel petto e morì.
Il sacerdote del tempio, quando vide cosa era accaduto, fu preso dello stupore e dall’ammirazione per la fedeltà in amore di quella bella ragazza e, mosso a compassione, la seppellì in una tomba a fianco di Gompachi e vi collocò una lapide su cui si legge “La Tomba degli Shiyoku”.
E ancor oggi la gente di Yedo visita il luogo e loda la bellezza di Gompachi e l’amore filiale e la fedeltà di Komurasaki.
FINE
Note.
– “Ko-murasaki” (o “Ko-shikibu”) è il nome giapponese della Callicarpa dichotoma, una pianta della famiglia delle verbenacee dal gradevole profumo. Per alcune immagini:http://southeasternplants.com/view_flora.asp?plantid=722
– Gli Shiyoku sono uccelli leggendari che vivono l’uno all’interno dell’altro – una misteriosa dualità contenuta all’interno di un solo corpo – e sono simbolo dell’amore coniugale e della fedeltà.
E’ una storia bella, ma anche tanto triste.