Leggende Orientali – L’ORCO DI RASHOMON
Leggenda dal Giappone
Tradotta da Dario55
L’ORCO DI RASHOMON
Tanto tanto tempo fa a Kyoto gli abitanti della città erano terrorizzati dalle storie che si raccontavano su un terribile Oni (orco) che, si diceva, frequentasse al tramonto il grande Cancello di Rashomon, catturando chiunque lo attraversasse. Le vittime scomparse non erano mai più state riviste, tanto che si mormorava che l’orco fosse un orrendo cannibale che non solo uccideva le sue infelici vittime ma le mangiava anche. Perciò tutti quanti nella città e nei dintorni avevano molta paura e nessuno osava avventurarsi dopo il tramonto dalle parti del Cancello di Rashomon.
A quel tempo viveva a Kyoto un generale di nome Raiko che era diventato celebre per le sue imprese coraggiose. Qualche tempo prima dei fatti narrati aveva fatto risuonare il suo nome per tutto il paese perché aveva dato l’assalto a Oeyama, dove viveva con il suo capo una masnada di orchi che invece di vino bevevano sangue umano. Raiko li aveva sbaragliati e aveva tagliato la testa al loro mostruoso capo.
Questo intrepido guerriero era sempre seguito da un gruppo di cinque cavalieri molto valorosi a lui fedeli. Una sera, mentre i cinque erano seduti e stavano festeggiando, bevendo sakè, mangiando ogni genere di pesce, e augurandosi a vicenda buona salute e imprese eroiche, il primo cavaliere, Hojo, disse agli altri:
– Avete sentito la voce che ogni sera dopo il tramonto arriva un orco al Cancello di Rashomon e cattura tutti quelli che passano di là?
Il secondo cavaliere, Watanabe, gli rispose e disse:
– Non dire sciocchezze! Tutti gli orchi sono stati uccisi a Oeyama dal nostro capo Raiko! Non può essere vero, perché se anche qualche orco fosse sfuggito a quel massacro, non oserebbero farsi vedere in questa città sapendo che il nostro valoroso capo li attaccherebbe subito se venisse a sapere che uno di loro è ancora vivo!
– Allora non credi a quello che dico e pensi che ti stia raccontando una menzogna?
– No, non penso che tu stia mentendo – disse Watanabe – ma probabilmente hai sentito una storia raccontata da qualche donnetta a cui non vale la pena di prestare fede.
– Ebbene, il modo migliore per dimostrare quello che dico è che tu vada là e ti accerti di persona se e vero oppure no – disse Hojo.
Watanabe, il secondo cavaliere, non poteva sopportare l’idea che il suo compagno credesse che aveva paura e rispose senza esitare:
– Certo, ci andrò subito e mi accerterò di persona!
E Watanabe si preparò per andare. Si affibbiò la lunga spada, indossò una cotta di maglia e allacciò il suo grande elmo. Quando fu pronto a partire, disse agli altri:
– Datemi qualcosa con cui possa dimostrare che sono stato là!
Allora uno degli uomini prese un rotolo di carta per scrivere e la sua scatola di pennelli e inchiostri, e gli altri quattro compagni scrissero i propri nomi su un pezzo di quella carta.
– Porterò questo con me – disse Watanabe – e lo attaccherò al Cancello di Rashomon, così che domani mattina andrete tutti là e lo vedrete. Vi accorgerete se non sono capace di catturare un paio di orchi!
Ciò detto, salì sul suo cavallo e partì pieno di coraggio.
Era una notte molto buia, e non c’erano né la luna né le stelle a far luce a Watanabe sul suo cammino. A rendere ancora peggiore quella oscurità scoppiò una tempesta, la pioggia cadeva violenta e il vento ululava come lupi tra le montagne. Qualunque altro uomo avrebbe tremato al pensiero di uscire dalle porte, ma Watanabe era un guerriero ardito e intrepido, ed erano in gioco il suo onore e la sua parola. E così si affrettava nella notte mentre i compagni ascoltavano il suono degli zoccoli del cavallo spegnersi in lontananza. Quindi chiusero i pannelli e si riunirono intorno al fuoco di braci chiedendosi cosa mai sarebe accaduto e se il loro compagno avrebbe incontrato uno di quei terribili Oni.
Alla fine Watanabe raggiunse il Cancello di Rashomon, ma per quanto scrutasse il più possibile attraverso le temebre, non riuscì a scorgere traccia di orchi.
“Proprio come pensavo” disse tra sé Watanabe “qui non ci sono di sicuro orchi, è solo la storia di una donnicciola. Attaccherò questo pezzo di carta al cancello, così gli altri vedranno che sono stato qui quando verranno domani, poi riprenderò la strada di casa e andrò a ridere di tutti loro”.
Fissò al cancello il pezzo di carta firmato dai suoi quattro compagni, quindi girò il cavallo verso casa.
Mentre così faceva, si rese conto che c’era qualcuno dietro di lui, e nello stesso tempo una voce gli gridò di aspettare. Poi il suo elmo gli fu afferrato da dietro. – Chi sei? – chiese Watanabe per nulla spaventato.
Quindi stese le mani e cercò a tentoni intorno per scoprire chi o che cosa lo stava tenendo per l’elmo. Così facendo toccò qualcosa che gli sembrò un braccio: era coperto di peli ed era grande e rotondo quanto il tronco di un albero!
Watanabe capì subito che si trattava del braccio di un orco e perciò estrasse la spada e calò un violento fendente.
Si sentì un fortissimo grido di dolore, dopo di che l’orco si gettò contro il guerriero.
Gli occhi di Watanabe si allargarono per lo stupore poiché vedeva che l’orco era più alto del grande Cancello, i suoi occhi lampeggiavano come specchi al sole e la sua bocca gigantesca era completamente aperta, e quando il mostro respirava, dalla bocca uscivano lingue di fuoco.
L’orco credeva di terrorizzare il suo nemico, ma Watanabe non si tirava mai indietro.
Attaccò l’orco con tutta la sua forza, e in questo modo lottarono faccia a faccia per un bel po’. Alla fine l’orco, rendendosi conto che non riusciva né a spaventare né a colpire Watanabe, e che anzi correva il rischio di essere colpito lui stesso, si diede alla fuga.
Ma Watanabe, ben determinato a non lasciare scappare il mostro, diede di sprone al cavallo e si gettò all’inseguimento.
Ma anche se il cavaliere correva molto veloce, l’orco correva ancora più veloce, tanto che Watanabe si rese conto con disappunto che non avrebbe raggiunto il mostro che pian piano spariva alla vista.
Watanabe dunque fece ritorno al Cancello dove si era svolta la violenta lotta e scese da cavallo. Appena a terra inciampò in qualcosa che giaceva al suolo.
Piegandosi per raccogliere l’oggetto, vide che si trattava di una delle gigantesche braccia dell’orco che gli aveva strappato via durante la lotta. Si rallegrò moltissimo di aver guadagnato un simile bottino, perché era la migliore prova della sua avventura con l’orco.
Perciò la raccolse con cura e la portò a casa come trofeo della sua vittoria.
Non appena fece ritorno, mostrò il braccio ai suoi compagni, che lo nominarono all’unanimità eroe del loro gruppo e gli fecero una grande festa. La sua strabiliante impresa fece presto il giro di Kyoto, e la gente arrivava da vicino e da lontano per vedere il braccio dell’orco.
Watanabe cominciò allora a sentirsi inquieto pensando a come mettererlo al sicuro, poiché sapeva che l’orco a cui apparteneva era ancora vivo. Era certo che un giorno o l’altro l’orco, appena gli fosse passata la paura, sarebbe arrivato per cercare di riprendersi il suo braccio.
Watanabe allora costruì una cassa di legno robusto e la rinforzò con bande di ferro. Vi mise l’arma e sigillò il pesante coperchio, rifiutandosi di aprirlo per chicchessia. Custodì la cassa nella sua stanza e se ne prese cura personalmente senza mai perderla di vista.
Una notte udì qualcuno che bussava alla porta e chiedeva di entrare.
Quando il servitore andò alla porta per vedere chi era, vide che si trattava semplicemente di una vecchia dall’aspetto molto venerabile.
Quando le fu chiesto chi era e cosa desiderava, la vecchia rispose con un sorriso che era stata la nutrice del padrone di casa quando era un bambino. Se il padrone era in casa sarebbe stata lieta se le avessero concesso di vederlo.
Il servitore lasciò la vecchia alla porta e andò a riferire al padrone che la sua vecchia nutrice era venuta per vederlo.
Watanabe trovò strano il fatto che arrivasse a quell’ora di notte, ma pensando alla sua vecchia nutrice che era stata per lui come una seconda madre e che non vedeva da tanto tempo, il suo cuore si intenerì.
La vecchia fu condotta nella camera e dopo i consueti inchini e saluti, disse:
– Padrone mio, il resoconto della tua coraggiosa lotta con l’orco al Cancello di Rashomon è talmente noto che perfino la tua povera vecchia nutrice lo ha udito. È proprio vero quello che dicono tutti, che hai strappato all’orco una delle sue braccia? Se hai fatto questo, la tua impresa deve essere grandemente lodata!
– Sono stato molto contrariato – disse Watanabe – di non essere riuscito a prendere prigioniero quel mostro. Era questo che volevo fare, non semplicemente strappargli un braccio!
– Mi riempie di orgoglio – rispose la vecchia – pensare che il mio padrone sia stato tanto valoroso da osare di strappare un braccio all’orco. Non c’è nulla a cui possa essere paragonato il tuo coraggio. Prima di morire, il più grande desiderio della mia vita è di vedere quel braccio – aggiunse in tono implorante.
– No – disse Watanabe – mi dispiace, ma non posso esaudire la tua richiesta.
– Ma perché? – chiese la vecchia
– Perché – rispose Watanabe – gli orchi sono creature molto vendicative, e se apro la cassa potrebbe comparire all’improvviso l’orco e portare via il suo braccio. Ho costruito apposta una cassa con un coperchio molto robusto e vi ho messo al sicuro il braccio dell’orco, e non la mostrerò mai a nessuno, qualunque cosa accada.
– Hai ragione di essere così prudente – disse la vecchia – ma io sono la tua vecchia nutrice e sono sicura che non rifiuterai di mostrare quel braccio a me. Appena ho sentito raccontare della tua impresa coraggiosa, non sono stata capace di aspettare fino a domattina per venire a chiederti di mostrarmi quel braccio.
Watanabe fu molto commosso dalla supplica della vecchia, ma continuò a rifiutare. Allora la vecchia disse:
– Sospetti forse che io sia una spia mandata dall’orco?
– No, naturalmente. Non sospetto che tu sia una spia dell’orco, perché sei la mia vecchia nutrice – rispose Watanabe.
– Allora non puoi certo più rifiutare di mostrarmelo – pregò la vecchia – perché il mio cuore desidera grandemente di vedere per una volta nella vita il braccio di un orco.
Watanabe non riuscì più a persistere nel suo rifiuto e alla fine si arrese dicendo:
– Ebbene ti mostrerò il braccio dell’orco, visto che lo desideri così ardentemente. Vieni, seguimi! – e la guidò fino alla sua camera.
Quando furono nella camera, Watanabe chiuse con cura la porta, poi si diresse verso una grande cassa che si trovava in un angolo della stanza e sollevò il pesante coperchio. Poi disse alla vecchia di avvicinarsi e guardare, perché non tirava mai il braccio fuori dalla cassa.
– Com’è fatta? Fammela vedere bene – disse la vecchia nutrice con un viso lieto.
Si fece sempre più vicina, come se fosse spaventata, fino a quando fu proprio davanti alla cassa.
Improvvisamente infilò la mano nella cassa e afferrò il braccio, gridando con una voce spaventosa che fece tremare la stanza:
– O gioia! Ho ripreso il mio braccio!
E la vecchia si trasformò repentinamente nella torreggiante figura del terribile orco!
Watanabe fece un salto all’indietro e per un attimo non fu in grado di muoversi, tanto era grande il suo stupore.
Ma riconoscendo l’orco che lo aveva aggredito al Cancello di Rashomon, decise con il suo solito coraggio che questa volta l’avrebbe tolto di mezzo. Afferrò la spada, la sguainò in un baleno e cercò di abbattere l’orco.
Watanabe era stato così veloce che la creatura aveva ben poche possibilità di scampo.
Ma l’orco spiccò un salto verso il soffitto e irruppe fuori dal tetto scomparendo tra la nebbia e le nuvole.
E così l’orco era riuscito a scappare con il braccio. Il cavaliere digrignò i denti con disappunto, ma era tutto quello che poteva fare.
Aspettò con pazienza un’altra occasione per uccidere l’orco, ma questi, spaventato dalla grande forza e ardimento di Watanabe, non diede mai più fastidio a Kyoto.
E così da allora in poi la gente della città poté uscire senza paura anche di notte e le valorose imprese di Watanabe non furono mai dimenticate.
FINE
Da: “Japanese Fairy Tales”, raccolti da Yei Theodora Ozaki
Le immagini sono tratte dai siti: http://durendal.org